ebook di Fulvio Romano

domenica 8 ottobre 2017

Castro il politico, Guevara l’idealista: così è sopravvissuto e si è consolidato il mito

LA STAMPA

Cultura

Castro il politico, Guevara l’idealista:

così è sopravvissuto e si è consolidato il mito

Dopo la morte è diventato l’incarnazione del potere che rinuncia a sé stesso

A 50 anni dalla morte del Che, la genealogia delle rivoluzioni si propone ancora una volta come la copia stupida d’una stampante della storia, che ripete sempre sé stessa: fu più rivoluzionario Robespierre o Georges Danton? Oppure Lenin piuttosto che Trotzkij? O qui, e più contigui a noi, lo è stato il Che o invece Fidel Castro?

In questa scomposizione che traversa il destino di popoli e mondi, la linea di frattura passa sempre lungo la spartizione obbligata dei ruoli, che nella tentazione visionaria degli estremismi assegna identità non sempre corrispondenti all’azione politica realizzata: il destino di tutte le rivoluzioni segue percorsi amaramente ripetitivi, che all’avvio della rivolta, nello slancio dei furori ribelli, esaltano il «progetto», la palingenesi salvifica diretta a squarciare il ventre della storia; però poi nell’esercizio concreto del potere, quando il controllo delle istituzioni e dei microcosmi della società è compiuto, quel progetto si irrigidisce, dogmatizza comportamenti e relazioni, si fa «regime».

E allora, di nuovo, il Che o Fidel? La rivoluzione cubana - dopo tanti anni, e tanti fallimenti - ha ancora avuto la forza di avvolgere nel velo mistificante del mito le difficoltà del proprio cammino, riuscendo perfino a coprire il costo tragico che ha dovuto pagare per radicare il proprio insediamento dopo quell’esaltante capodanno del ’59. Nessuna rivoluzione perdona i propri nemici, il suo obiettivo è stracciar via il passato, cancellarne perfino la memoria. E il Che, il martire degli ideali più alti, la purezza dell’impegno che non si piega agli opportunismi obbligati della politica, comandò tribunali e plotoni d’esecuzione che, fino alla Baia dei Porci, eliminarono - a migliaia - uomini e donne ch’erano stati all’ombra della dittatura di Batista.

Il mito che l’accompagna e lo ritrae ha dimenticato questa prima fase della vita del guerrigliero fattosi uomo di Stato, con tutto il gravame della responsabilità che quei compiti intanto gli hanno imposto, presidente del Banco Central e poi ministro dell’Industria. In quei primi anni di potere, Che Guevara è solo un «comandante» guerrigliero come tanti, anche se già il secondo di Fidel. È invece Castro a rivestirsi del fascino della rivoluzione vittoriosa: il suo carisma, la sua oratoria torrenziale, la spregiudicatezza con cui si muove nel nuovo palcoscenico dei poteri lo fanno il simbolo irresistibile d’una forza che pare cambiare il mondo. Solo che la politica impone poi le sue regole, e di fronte alla difficoltà d’una gestione economica sempre più asfittica - e all’irrigidimento yanqui che provocano le nazionalizzazioni e la riforma agraria - l’isola della libertà diventa poco alla volta l’insediamento d’un regime comunista fortemente centralizzato.

È qui che si apre la frattura dei ruoli, imposta dai fatti più che dalla volontà: Fidel il politico, che vuol salvare il proprio «progetto», e Che l’idealista, che vuol recuperare i princìpi che ha perfino fissato in un testo dogmatico, Guerra de guerrillas: un método. Da ora, e per sempre, lui non avrà nulla da condividere con la fallimentare genealogia comunista del ’900.

La sua sparizione dalla vita pubblica di Cuba, nel ’65, avvia il percorso della fondazione del mito, lui diventa l’incarnazione virtuale del potere che rinuncia a sé stesso pur di perseguire il proprio ideale. E il mito potrà sopravvivere, e consolidarsi, anche dopo la morte del Che; anzi, sarà proprio la sua morte da «Ettore» a dargli eternità.

L’asse della cultura si sta intanto spostando verso la «videosfera», l’immagine domina la lettura della realtà; e una foto di Korda, il basco, i riccioli ribelli, la sua bellezza d’uomo di carne, lo farà icona universale, modello estetico, e lo imprimerà per sempre nella pagina più ideale della storia. Ancora oggi, cinquant’anni dopo.

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Mimmo Cándito


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