C
iak, si gira. Andrey Konchalovskiy stacca l’occhio dalla macchina da presa con cui sta filmando il kolossal d’autore Il Peccato sulle colline di Firenze e inquadra la Storia: 24 ottobre 1917, il primo dei dieci giorni che sconvolsero il mondo. È passato un secolo dal blitz bolscevico ma i fantasmi di quell’incipit del ’900 seguitano ad aggirarsi per l’Europa, più reali dei concittadini di Michelangelo in pausa tra gli ulivi dell’antico Spedale del Bigallo. Ottant’anni di cui oltre metà nel cinema, il dissacrante regista russo che ha firmato pellicole sovversive, blockbusters e dure satire del presente, non si appassiona all’eredità rivoluzionaria come fa il fratello Nikita Mikhalkov, ma neppure a quella del dissenso. T-shirt, bretelle e gambe sul tavolo della roulotte con l’aureola del «maestro», ascolta, ride, chiede se sarà riportato tutto quanto dice.
Leningrado è tornata San Pietroburgo: cosa resta del 1917? «Resta la vera cortina di ferro, quella che precede la contrapposizione tra capitalismo e comunismo. La rivoluzione del ’17 non può essere estrapolata dalla storia. Ciò che è ancora qui, dopo secoli di lotte, è il conflitto tra la cristianità ortodossa e cattolica. Spero che l’Europa dell’est e dell’ovest sanino questa frattura originaria perché le forze che la vogliono e che oggi si manifestano come ideologia americana minacciano l’Europa più dell’immigrazione». Marx è morto ma Dio vive? «Le religioni formano le tradizioni. Il cristianesimo latino è storicamente “sociale”, ha incoraggiato la nascita della borghesia e dei piccoli mercati dove si vende il raccolto dei campi. In Russia il clima è duro, il territorio sconfinato e disabitato, non ci sono strade per andare al mercato né mercati. L’uomo russo lavora la terra senza piacere. L’assenza del mercato ha impattato molto sulla mentalità russa: geneticamente siamo Europa, ma la testa è diversa». Vuol dire che la rivoluzione poteva compiersi solo in Russia?«Quella bolscevica sì. Ma la produsse il mondo occidentale. Già nel 1800 Lord Palmerston diceva che la vita era dura quando la Russia non combatteva con nessuno. La Gran Bretagna voleva smantellare la Russia, una terra immensa, con pochi abitanti e tante risorse. Lenin non sperava tanto. Fu un evento orchestrato come lo fu la caduta dell’Urss: qualcuno oggi vorrebbe il tris in Russia». Alla sua nascita Lenin è morto, Trotsky vive in Messico, Stalin regna con le purghe. Cosa ricorda? «Ero un bambino, c’era la guerra, fuggimmo da Mosca. Oggi però so che la propaganda sovietica ci ha intontito di leggende sulla rivoluzione, Lenin, Stalin, miti che, dopo l’89, sono diventati mostruosi. La verità dev’essere in mezzo. Da ragazzo ero anti-comunista e avversavo Stalin, ma 10 anni dopo la Perestrojka la Russia era al collasso ed è arrivato Putin. I russi sono alieni al business. Una differenza che potrebbe essere positiva alla luce di quanto scriveva Huxley 70 anni fa: “L’occidente va verso l’abisso in Rolls-Royce e la Russia in utilitaria”. L’Europa è stufa della civiltà, la Russia non ancora e senza l’Europa sopravviverà. Siamo certi del contrario? Parliamoci: noi abbiamo l’energia, voi la cultura». Crede nella politica, o l’ha fatto? «Mi ha interessato. Ma l’arte non è politica. Michelangelo pensò il David come opera politica, voleva fosse il simbolo della Repubblica e invece è rimasto solo il David. Peccato che in questi anni l’arte sia in declino, i musei espongono gli artisti più quotati, le opere sono un investimento. Aveva ragione Marx quando vaticinava l’alienazione del consumatore dal prodotto».Rimpiange quando era peggio? «L’Ottobre 1917 apre un periodo molto crudele: ma quale non lo è stato nella storia russa? Quel regime crudele ha anche prodotto risultati straordinari, ha sollevato un popolo analfabeta all’85%, ha macinato economia, ha piegato la Germania. Tutti i russi, tranne i dissidenti e le vittime dei campi, ammettono che l’Urss era stabile, sicura, il cibo costava poco. Non giudico, è così. Per i russi non conta la libertà di un blog: ignorano la democrazia o la borghesia, non sono fatti per il capitalismo, hanno sempre delegato il potere al leader forte, lo zar, Stalin, Putin». Dopo le avanguardie, cosa è successo tra intellettuali e Soviet? «La specificità russa non è l’avanguardia ma l’intelligencija. Dovunque ci sono gli intellettuali, a volte critici del potere altre no. Da noi c’è l’intelligencija che, in quanto tale, si oppone. O sei contro o sei un traditore. Per me gli intellettuali sono Puškin, Tolstòj, Dostoevskij. Io, sebbene mio fratello mi consideri wishy-washy, sono un artista, sono libero da tutto ciò». Però non cita mai la libertà... «La libertà non serve all’arte! I grandi capolavori sono nati sotto le dittature. Cosa crea la libertà? C’è una scena di Sordi che, alla Biennale, spiega alla madre l’arte astratta: geniale». La fine del cinema epico e il ricorso all’inquadratura soggettiva alla «Dunkirk» è legata alla crisi delle grandi ideologie del 900? «Costa solo meno. Non ho visto Dunkirk ma non so associare epica e ideologia. Ce n’era dietro Ben Hur? Semplicemente andava il cinemascope. Il grande cinema non è morto, è diventato svago da teenagers con i popcorn. Se in una multisala si proiettano solo film d’azione americani, c’è libertà di scelta? Ma sono ottimista. Il video on demand apre nuove libertà». Quando lasciò l’Urss immaginava l’implosione dopo 9 anni? «No, volevo solo viaggiare. Non sono mai stato un dissidente politico, o meglio, tutti lo erano in cuor loro ma quasi nessuno lo diceva. Mi ero formato negli anni di Krusciov, l’Urss si apriva. Partii perché ero stufo di chiedere visti, cambiare i rubli. Poi, lavorandoci, ho capito che Hollywood non m’interessava». I comunisti europei hanno capito il comunismo sovietico? «Lo capivano ma economicamente dipendevano troppo da Mosca per dirlo. Poi una parte si allontanò. Io sono un marxista latente: Marx era un genio, il secondo dopo Cristo. Credo che l’Europa tornerà al comunismo, magari nella forma di una socialdemocrazia di sinistra: il neoliberismo è agli sgoccioli». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI