ebook di Fulvio Romano

martedì 31 gennaio 2017

Sorgi: la minaccia all'ex premier

LA STAMPA

Cultura

La minaccia

all’ex premier

Per capire cosa sta accadendo nel Pd non bisogna andare troppo lontano.

E neppure troppo indietro nel tempo. Come nel 1993, dopo il referendum del 18 aprile che sancì la fine della Prima Repubblica, il maggior partito di governo è scosso da tensioni politiche, orizzontali, verticali, trasversali, che non riguardano solo la maggioranza renziana e la minoranza bersaniana, ma tutte le correnti al loro interno, per gli esiti del voto referendario del 4 dicembre 2016. Che ha sancito una sorta di inversione a “U” della politica italiana, dalla Seconda Repubblica alla Prima, dal maggioritario al proporzionale, dall’epoca delle leadership forti, a quella, durata quarantacinque anni, dal 1948 appunto al ’93, della partitocrazia e dei governi nati in Parlamento.

Ventiquattro anni fa i Popolari (ex Dc) e il Pds (ex Pci), cioè i due principali soci del Pd, arrivarono all’appuntamento del referendum consapevoli, ma impreparati. E pur avendo contribuito all’approvazione della nuova legge elettorale, il «Mattarellum», che inoculava nel meccanismo maggioritario scelto dagli elettori una quota del vecchio proporzionale, alla resa dei conti si dimostrarono incapaci di partecipare al gioco, presentandosi divisi nelle elezioni del 27 marzo 1994 e favorendo la vittoria di Berlusconi.

Subito dopo, abili nella manovra parlamentare di cui erano maestri nella Prima Repubblica, detronizzarono l’ex Cavaliere, capovolgendo, grazie a un «ribaltone», la sua maggioranza nelle Camere, e lo sconfissero, stavolta coalizzati, nelle urne nel ’96, approfittando della scelta di Bossi di rompere l’alleanza di centrodestra. Fin qui, è ormai storia. Come lo è il fatto che solo Prodi, nel ’96 e nel 2006, sia riuscito a vincere su Berlusconi, mentre i leader della coalizione giunti alla guida del governo per vie parlamentari, come D’Alema e Amato, non poterono presentarsi con la loro faccia, e anche gli altri, vedi Rutelli e Veltroni, pur conseguendo risultati elettorali lusinghieri, nella partita uno contro uno risultarono sconfitti.

Era poi evidente, in tutti questi anni, che una larga parte del centrosinistra rimpiangesse la vecchia partitocrazia. Lo si intuiva dal modo in cui si erano battuti contro le riforme costituzionali e soprattutto contro la legge maggioritaria a due turni proposte da Renzi, e se n’è avuta conferma in occasione del referendum del 4 dicembre, quando il Pd, formalmente, aveva preso posizione per il «Sì», ma una larga fetta del suo apparato, D’Alema e Bersani in testa a tutti, s’è schierata con il «No».

Ma il paradosso è che di fronte a una situazione nuova - o vecchia, secondo i punti di vista - come quella del ritorno al proporzionale, Renzi rischi di fare un errore eguale, ancorché opposto, a quello compiuto da Occhetto e Martinazzoli nel ’93. Mentre Berlusconi ha subito intuito il cambiamento, ha raffreddato di molto i rapporti con i suoi ex alleati e si prepara a correre per Forza Italia, costi quel che costi, sapendo che la partita vera si aprirà dopo il voto, il segretario del Pd si muove ancora con la logica dell’uomo forte con cui ha guidato il partito e il governo. Sottovalutare le numerose candidature alla guida del suo partito, gli annunci di scissione, le promesse di collaborazione che seguono alle separazioni, significa non aver capito che tutto ciò che sta accadendo è frutto della riedizione (o brutta copia) del sistema partitocratico, in cui ognuno porta la sua piccola dote a un ammasso di cui niente si sa, ma di cui presto o tardi salterà fuori un federatore. Può darsi, come Renzi si augura, che il suo Pd, benché acciaccato, raggiunga il 40 per cento, conquistando a dispetto di ogni previsione il premio di maggioranza che la Corte costituzionale ha collocato nell’iperuranio. Ma se non ci riesce, il rischio vero, per il Rottamatore, è ritrovarsi all’opposizione, sepolto dalle macerie della Seconda Repubblica.

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Marcello Sorgi


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lunedì 30 gennaio 2017

Macaluso: Renzi, Bersani e D'Alema hanno portato il PD al capolinea.

LA STAMPA

Italia

“È un partito al capolinea, colpa di Renzi

Ma il fallimento è anche di Bersani e D’Alema”

Macaluso: “Il segretario non ha capito il mondo nuovo, la vecchia dirigenza ex Pci 

viene da una sconfitta elettorale e politica. Tra Massimo e Matteo gara fra bugiardi” 

Emanuele Macaluso (nella segreteria politica del Pci con Palmiro Togliatti poi con Luigi Longo ed Enrico Berlinguer, parlamentare per sette legislature, direttore dell’Unità e del Riformista) ricorda di non essersi iscritto al Pd perché «contrariamente a quanto scrisse Eugenio Scalfari, che Ds e Margherita dovevano fondersi perché erano due partiti al capolinea, ritenevo che due partiti al capolinea, se si fondono, al capolinea restano. E così è successo».

Le due manifestazioni di sabato, di Matteo Renzi a Rimini e di Massimo D’Alema a Roma, sembrano infatti preludere a una scissione. «Fino a quando ha prevalso il vecchio gruppo che aveva origini nel Pci - D’Alema, Bersani e Veltroni - il Pd ha avuto un po’ di solidità, ma questo gruppo dirigente ha sottovalutato la parte proveniente dalla Dc, che s’è ricompattata. E come nasce Renzi? Dal fallimento di D’Alema e Bersani, dalla loro incapacità di essere davvero gruppo egemone». E dall’incapacità di avere successo alle elezioni. «E’ così. Nasce soprattutto dall’insuccesso elettorale e di leadership di Bersani che, intendiamoci, è anche una brava persona, è stato un bravo ministro. E pure D’Alema è stato un buon ministro, non come Bersani ma buono. E loro due non possono adesso tirarsi fuori dalla storia del Pd, dal suo fallimento». Sono sempre stati fieri oppositori di Renzi.«D’Alema è uno dei massimi responsabili: lui è uno di quelli che ha voluto il Pd. All’inizio poi ci andava da Renzi, hanno presentato un libro assieme, sono andati al ristorante, lì Renzi gli ha promesso un posto di commissario europeo, e poi certo, bugiardo contro bugiardo ha prevalso il bugiardo più grosso. E Bersani che si indigna per i capilista nominati? Sono d’accordo con lui, è una vergogna, ma Bersani che battaglie ha fatto contro il Porcellum, che era la sublimazione dei nominati? Lui si mise d’accordo con Silvio Berlusconi per tenerselo, e nel 2013 grazie al Porcellum la sua coalizione ha preso il 55 per cento dei deputati col 29 per cento dei voti. Ora che vuole? Bersani e D’Alema non sono fuori dalla tempesta, non sono due vergini». Faranno la scissione? «Dico solo che il fallimento sarebbe la base per fare un altro partitino». Senza elettori? «Ma il problema non è tanto un nuovo partito ma farsi delle domande su quello vecchio. E cioè: viviamo in una società in cui cambia tutto, con la globalizzazione, l’economia digitale, giovani che hanno bisogni diversi, un altro approccio alla politica, un cultura che non è la nostra, e questa nuova generazione doveva essere il nucleo nuovo del Pd. Dov’è questa generazione? Siamo ancora alle due vecchie componenti, comunista e democristiana. Come è possibile? Poi si stupiscono che i giovani, gli operai, gli studenti, i ricercatori votano Beppe Grillo. E per forza». E allora perché Renzi nel 2014 prese il 41 per cento?

«Ma è la dimostrazione di quello che dico. Lui era una speranza per un mondo che la politica non ha compreso, ma è stata una speranza andata delusa, perché Renzi a quel mondo non ha dato risposte. E qui nessuno che si chieda per quali ragioni il Pd abbia perso il referendum e tanti consensi. Non c’è un’analisi, né di D’Alema né di Renzi».

Che dovrebbe fare Renzi? «Intanto non può andare a votare. Se voleva andare a votare doveva dirlo al capo dello Stato subito dopo essersi dimesso. Il governo lo ha voluto e sostenuto e non può buttarlo quando gli pare. Non è da statista. E poi a maggio c’è il G7. Si può affrontare un G7 in campagna elettorale? Perché i G7 sembrano cosucce da niente, ma in questo G7 si presenteranno Stati Uniti e Inghilterra per la prima volta dichiaratamente contro l’Europa unita. Non so se la cosa sia stata ben compresa». Vero. E poi? «E poi Renzi deve indire un congresso in cui finalmente ci si chiede che cosa è il Pd e che cosa deve essere domani. Che cosa intende fare, a chi intende rivolgersi e come. Ma queste sono le basi. Se non capiscono questo non hanno proprio capito niente, né l’uno né l’altro». Bè, D’Alema cita Piketty e Atkinson, filosofi della politica di una sinistra più radicale. A parte il percorso ondivago dai funerali di Breznev all’Ulivo mondiale fino a questa nuova svolta a sinistra, sembra una posizione di cui discutere. «Ma quelle di D’Alema sono frasi senza conseguenze, per mostrare una cultura dentro quella che è la sua storia, tradita o almeno mai rinnovata. Non c’è mai corrispondenza fra quello che D’Alema dice e quello che vuole fare». E, se sarà scissione, saremo alle solite: la sinistra che si sfalda davanti al nemico, da Mussolini nel ’21 a oggi, con Grillo.

«Gli apriranno delle autostrade, a Grillo. È così evidente. Ma io che ci posso fare? Sono così vecchio: a marzo compirò 93 anni. Ma loro, che hanno l’età per ragionare...».

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mattia feltri


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sabato 28 gennaio 2017

Nuova neve precede i "giorni della merla"


Putti: ormai non ne potevamo più di obbedire a un algoritmo

LA STAMPA

Italia

Putti: ormai non ne potevamo più

di obbedire a un algoritmo

L’esponente genovese, tra i primi eletti M5S in Italia, va via 

e accusa le pratiche di comando e propaganda dello staff

Nel 2012 Paolo Putti era stato il candidato sindaco del M5S a Genova. Un antesignano del Movimento. Uno che ci credeva davvero, uno dei primi “No Gronda”, uno che veniva dalla sinistra, dal lavoro in cooperativa, dall’idea che «la gente andava convinta al di là del consenso». Ma a pochi mesi dalle nuove elezioni comunali lo scenario è molto cambiato: colui che per anni ha rappresentato l’essenza stessa del Movimento, giovedì sera è uscito dal M5S insieme ad altri due consiglieri, fondando il gruppo “Effetto Genova”. Storia di un addio annunciato, verrebbe da dire. «Non ne potevamo più di obbedire ad un algoritmo, di non avere la libertà di pensiero e di parola, di essere delegittimati con un semplice post scriptum sul blog» spiega ora Paolo Putti. «La mia priorità sono i cittadini e se li devo difendere li difendo anche da questo Movimento».

Alla fine lo strappo è arrivato davvero e a pochi mesi dalle elezioni comunali. Perché? «I motivi sono tanti. Ero entrato in un Movimento che chiedeva molte cose, anche sacrifici a noi esponenti, ma c’erano punti fermi e non solo la ricerca del consenso. Ora invece la stella polare è la ricerca del consenso, in consiglio comunale ci viene chiesto di votare no a prescindere. E poi la delegittimazione, insopportabile: ci sono le comunali, no? Organizziamo un’assemblea, stabiliamo un percorso e subito dopo arriva un post scriptum sul blog di Grillo che ci sconfessa». La goccia che ha fatto traboccare il vaso? «Veramente il vaso è esploso. Tutti i miei comunicati dovevano essere vagliati da non so chi, poi si dice che Trump e Putin sono grandi statisti e io me ne devo stare? La verità è che si è rotto il feeling sulla voglia di fare comunità. Noi non vogliamo fare i televenditori». “Effetto Genova” sa tanto di “Effetto Parma”. Dica la verità: c’è lo zampino di Pizzarotti? «Assolutamente no. Federico l’ho sentito a cose fatte: noi eravamo in sofferenza da tempo. “Effetto Genova” perché spero che non vada perso il nostro lavoro per Genova». A sinistra lei è molto corteggiato, per la sua storia passata e per le sue posizioni in Comune. Si candiderà? «Sicuramente non mi candiderò a sindaco della mia città perché c’è anche una valutazione tecnica. Spero che lo faccia qualcuno con forti competenze. E poi io non ho in testa niente: ringrazio chi mi ha contattato, ma mi fermo qui. Io ho la tranquillità della mia famiglia e del mio lavoro, non devo per forza fare delle cose. Non la disturba pensare che ora, quanto meno a Genova, il M5S è in mano ad un algoritmo della politica? «Sono molto preoccupato per il M5S. Ma nello stesso tempo la mia priorità sono i cittadini e se devo difenderli lo farò anche da ciò che è diventato il Movimento». A sinistra sta nascendo Campo Progressista. Le interessa? «In generale non mi interessa tutto quello che ha il sapore radical chic. La scommessa è riuscire a parlare alla gente comune, agli artigiani e agli operai, a quelli che non arrivano a fine mese, ma anche agli ingegneri, agli avvocati, agli intellettuali. Questa era la cosa interessante del M5S prima maniera. E comunque non potrei mai essere alleato del Pd, che ho combattuto per anni». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

alessandra costante


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giovedì 26 gennaio 2017

La Stampa - Prima Pagina ( Mattia Feltri)



Prima Pagina

Viva i traditori

C’è stato un tempo in cui Beppe Grillo invocava «la soppressione dei partiti politici» citando un monumento della democrazia europea, Simone Weil. Forse una lettura lontana, perché Simone Weil voleva la soppressione dei partiti per liberare i parlamentari dal dominio del capo, o della struttura, che imponesse come pensare e votare. Chi pensa e vota da sé, diceva Weil, sarà accusato «di tradimento. I meno ostili direbbero: “Perché allora hai aderito a un partito?”». Che oggi Grillo, alimentando inconsapevolmente i timori di Weil, voglia l’introduzione del vincolo di mandato, e cioè l’obbligo di dimissioni all’eletto che fa secondo coscienza (se ne ha una), non stupisce: fa parte di una visione politica, per quanto inafferrabile. Che si associ Silvio Berlusconi col suo partito, che secondo una teoria ormai annacquata sarebbe liberale, preoccupa di più. In Europa soltanto il Portogallo ha vincolo di mandato; ma soprattutto ci si chiede a che servirebbe il Parlamento, dove si parla e si discute, appunto, per esporre idee con cui cambiare quelle altrui. Se le idee per legge non possono cambiare, il Parlamento non serve. Fin qui la parte nobile. Poi ce n’è una ignobile: è vero che molti dei nostri parlamentari non hanno mutato pelle per elevata caratura etica, ma per bassa convenienza. Però finché c’è libertà ci sono anche i traditori, quando di traditori non ce ne sono più significa che è finita la libertà. Viva i traditori, dunque, ma anche questo lo aveva già detto Simone Weil. 

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Mattia Feltri



giovedì 19 gennaio 2017

Europa sommersa dalla neve da Est..

Un terzo dell'Italia bianca di neve .. Da noi nel Nord Ovest ritorna domenica (20-30 cm?) ...