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Su 10 medicinali venduti sono solo due. E i produttori disertano le aste degli ospedali
Su 10 medicinali venduti sono solo due. E i produttori disertano le aste degli ospedali
Sicuramente i loro nomi, presi dai principi attivi che li compongono, non li aiutano. Quasi tutti sanno cos’è l’anti virale Oki. Pochi che il suo equivalente generico è il ketoprofene. Così come è uno scioglilingua pronunciare Abciximab, il nome del gemello antivirale Aciclovir. Però i prezzi dovrebbero essere dalla loro parte, visto che sono almeno del 50% inferiori alla fotocopia griffata. Eppure il mercato dei generici, pur in costante crescita, in Italia non decolla. Basti pensare che da noi acquistiamo solo due scatole su 10 senza griffe, che in Germania hanno la metà del mercato. Non sfondano né in farmacia, nè in ospedale, dove stanno andando deserte due aste di acquisto su dieci, denunciano gli industriali delle pillole low cost.
Un sistema sull’orlo di una crisi di nervi che fa sperperare risorse utili a fronteggiare l’onda d’urto dei farmaci innovativi dai prezzi stratosferici. Proprio in questi giorni la Food and Drug Administration americana ha sdoganato due trattamenti genetici. Yescarta, contro le neoplasie maligne dei tessuti linfatici e Kymriah indicato per forme gravi di leucemia. Il primo trattamento ha un costo di 373mila dollari, il secondo di 475mila. Davanti a queste cifre il Fondo speciale di 500 milioni per i medicinali innovativi rischia di essere prosciugato anzitempo, lasciando fuori dal nostro mercato terapie che promettono di combattere più efficacemente malattie come cancro, Alzheimer o Hiv.
E poi i generici farebbero bene anche alle nostre tasche, visto che ogni anno spendiamo circa un miliardo di quel ticket occulto che è il differenziale, non rimborsato dallo Stato, tra il prezzo del generico e del suo analogo griffato. Non simili, ma proprio uguali, per principio attivo, via di somministrazione, forma farmaceutica (pillola piuttosto che supposta) e persino eccipienti.
Tre terapie su cinque somministrate in ospedale - denuncia Assogenerici, l’associazione dei produttori delle pillole senza griffe - sono a base di farmaci fuori brevetto e il 24% sono generici. E già così si perdono per strada un po’ di soldi, perché non sempre il medicinale venduto con il nome di fantasia abbassa il prezzo a livello del fratello gemello senza griffe. Come dimostra appunto quel miliardo di euro sborsato dai cittadini per pagare il sovraprezzo. Ma il problema, come denuncia sempre Assogenerici, è che il 20% dei bandi resta deserto, e quindi in mano ai prodotti più costosi griffati. Per gli industriali “genericisti” la colpa è nello schiacciamento sempre più al ribasso dei prezzi, che metterebbero a rischio la sostenibilità delle imprese. A tal punto da farle battere in ritirata.
Il direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco, Mario Melazzini, a sua volta spiega: «Per trarre il massimo vantaggio dai generici le aziende che controllano sia la produzione degli originali che degli equivalenti devono operare nella consapevolezza della loro responsabilità sociale». Detto in altre parole: occorre superare il conflitto di intessi tra chi produce entrambe le categorie di farmaci e privilegia quelli più costosi con “firma”. E questo proprio mentre da qui a fine anno andranno fuori brevetto 16 medicinali super-star, tra cui il Cialis, con un mercato di oltre un miliardo di euro. Per capire il potenziale effetto in termini di risparmio basta dare un’occhiata ai numeri dell’Imatinim, uno dei primi anti-cancro intelligenti, disponibile da marzo in formato “generico”. Se prima per un mese di terapia ci volevano 1.800 euro, ora ne bastano 45, per un risparmio di oltre 200 milioni. Ossigeno utile a finanziare i farmaci innovativi.
Paolo Russo