ebook di Fulvio Romano

martedì 31 ottobre 2017

i pericoli del contagio per l’europa

LA STAMPA

Cultura


A quando risale l’ultimo governo in esilio in Europa? Come fa ad essere tale quello di uno Stato che non esiste? La fuga di Carles Puigdemont e dei suoi ministri a Bruxelles farebbe sorridere, se non rischiasse di esportare al resto dell’Europa le ricadute del confronto fra indipendentismo catalano e governo nazionale spagnolo: regioni contro Stato nazione. Il terreno europeo è fertile di fermenti regionali, velleità autonomo-indipendentiste e malcelate simpatie, a cominciare dall’Alleanza Neo-Fiamminga (Nva) - partito di governo. 

Con quest’improvvisa, e imprevista, piega la crisi catalana ne innesca altre due. La prima istituzionale; la seconda fra regioni e Stati dell’Ue. Nell’una è in prima linea il Belgio, se l’ex-presidente (è destituito) della Catalogna gli chiede asilo politico. Il procuratore generale di Madrid l’ha già accusato, insieme ad altre massime autorità catalane, di ribellione e sedizione, più altri reati minori. Cosa farà il governo belga nel momento in cui fosse emesso il mandato di cattura europeo?

Eseguirlo pedissequamente (la legge prima di tutto) o riconoscere una qualche natura politica dei reati e non consegnare gli accusati alla giustizia spagnola? 

Fin qui i leader europei hanno fatto quadrato intorno a Madrid, limitandosi a sommessi inviti di non usare la forza al governo spagnolo; Mariano Rajoy si aspetta che la solidarietà continui senza smagliature. Anche su un eventuale mandato d’arresto; altrimenti a che scopo i pesanti capi d’accusa? Madrid vuol dare una lezione a chi ha risvegliato il nazionalismo catalano. 

Per ora le autorità belghe evitano persino di confermare la presenza di Puigdemont a Bruxelles (ma, nell’Ue della libera circolazione, chi potrebbe impedirglielo?). Il primo ministro belga, Charles Michel, ne farebbe volentieri a meno. Ha subito negato la prospettiva di concessione di qualsiasi asilo politico ma quando la richiesta vi fosse dovrà anche tenersi buono il suo governo. L’Nva potrebbe opporsi alla consegna alla Spagna. La politica belga è fatta di acrobazie consensuali, ma questa non è facile. Mettiamo pure che Michel ci riesca.

Il problema vero è il cattivo esempio catalano ai regionalismi e nazionalismi latenti in Europa che non chiedevano di meglio di una scintilla per accendersi. Sbarcando, con i suoi ministri, proprio nella capitale d’Europa, Carles Puigdemont allarga il confronto che da un mese lo oppone a Madrid a tutti i compagni di cordata e simpatizzanti regionali. Troverà manifestazioni di simpatia e appoggio, quanto meno verbale, dovunque allignano sentimenti d’insofferenza verso le capitali nazionali - e verso Bruxelles. L’Ue non ha saputo coltivare la «sussidiarietà» del livello locale, col risultato che è spesso vista come un alleato del centralismo dello Stato nazione. La rivolta regionalista, spesso con pulsioni populiste, ha spesso per bersaglio tanto l’una e l’altro. Carles Puigdemont ne diventa l’improbabile eroe. 

Per il leader catalano questa è l’ultima carta da giocare. C’è un che di umiliante nella sua fuga. Arriva a Bruxelles perdente a Barcellona. Rajoy è riuscito a spiazzarlo con il bastone dell’art.155 della Costituzione e con la carota delle elezioni catalane il 21 dicembre. Madrid non toglie l’autonomia alla Catalogna. La sospende per meno di due mesi. Intanto si libera dello scomodo e petulante Puigdemont.

La vittoria di Madrid dimostra senz’altro la perdurante forza dello Stato nazione, specie se usata con l’inflessibile determinazione mostrata da Mariano Rajoy. Il controllo ristabilito sulla Catalogna gli costa però una spaccatura a metà della popolazione fra indipendentisti e unionisti. 
La spaccatura è profonda e non basteranno le urne del 21 dicembre a rimarginarla. Se non ci riuscirà, l’art.155 sarà stata una vittoria di Pirro. Inoltre chiudendo ogni valvola di sfogo ai sentimenti indipendentisti a casa, Rajoy ha dato le ali al nazionalismo catalano al di fuori dei confini spagnoli. 

L’ex-ministro degli Esteri sovietico, Eduard Shevardnadze, ci avvertì nel dicembre del 1990, solo due giorni prima delle sue drammatiche dimissioni: «State attenti, può toccare anche voi». Lo diceva all’ambasciatore d’Italia, Ferdinando Salleo, che gli portava un messaggio dell’allora Cee, di cui l’Italia aveva la presidenza. È passato più di un quarto di secolo. Le pulsioni disgreganti hanno continuato a covare sotto la cenere. Il contagio della folle corsa a improbabili e insostenibili «indipendenze» è ora un problema europeo - l’ultimo di cui l’Ue di Brexit, del populismo e dell’immigrazione aveva bisogno.

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Stefano Stefanini


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