ebook di Fulvio Romano

lunedì 31 ottobre 2016

Maggiani. Madre Natura che non scende a patti con l’uomo

LA STAMPA

Cultura


La Veronica, la matriarca che mi ha cresciuto, è scesa al mare dall’Appennino perché i suoi figli l’hanno legata e caricata su un camion assieme al suo materasso, aveva passato due terremoti e una guerra, era viva e voleva restare. Per la guerra non c’è preghiera, mi diceva, per il terremoto ci sono sette santi; aveva i suoi sette santi tutti in fila sul comò, mi ricordo solo di San Biagio perché proteggeva anche dal mal di gola. Pregava i suoi santi perché il terremoto lasciasse in piedi la sua casa e non uccidesse i suoi animali, aveva paura per loro non per sé, aveva paura anche per quelli, come il suo pronipote, che facevano dei gran discorsi, e pregava per loro senza risparmio. La montagna, mi diceva, an ne sta a sentir i to discorsi, la montagna a disa quer che a ga da dir e basta. 

La montagna era il terremoto, non sapeva dividerli in due, e lei era viva perché stava a sentire cosa aveva da dire la montagna non perché ci si incaponiva contro. La Veronica era una scienziata molto superstiziosa, si affidava a sette santi ma era donna di scienza. Il pronipote ci ha messo decenni per capirlo, per capire quanto fosse semplice, sorgiva verità il fatto nudo e crudo che l’appennino non viene a patto con gli uomini, sono loro che devono mettersi d’accordo con lui, se vogliono vivere con lui, se non vogliono soccombergli. L’Appennino e il terremoto, che non si possono dividere in due, e sono l’uno e l’altro voci. 
La Veronica non ha mai perdonato ai suoi figli di averla tradotta via dalla sua casa, la Veronica aveva la piana certezza di poter vivere nel timore e prosperare, ascoltando, i suoi figli non avevano voluto farlo, per questo i suoi figli erano stati presi dal terrore. Non si può vivere nel terrore, nessuno può farlo, gli animali si uccidono quando sono presi dal terrore, così sentenziava la Veronica. Il pronipote stava a sentire e non stava a sentire, vivere nella pratica di un timorato ascolto gli appariva una faccenda da vecchi, e, giovane com’era, pensava di avere il diritto di essere risparmiato dal terrore. Quarant’anni dopo che la Veronica se ne è tornata all’appennino il pronipote ha trovato scritto il suo pensiero per mano di uno scienziato non superstizioso come lei ma come lei piuttosto pratico, sir Francis Bacon: « Il dominio dell’uomo consiste solo nella conoscenza: l’uomo tanto può quanto sa; nessuna forza può spezzare la catena delle cause naturali; la natura infatti non si vince se non ubbidendole». Bacon e la Veronica sono vecchi di secoli ma le loro verità, come ogni buona verità, sono sempre appena nate

Maurizio Maggiani


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Il cuore medievale dell’Italia ridotto in polvere

LA STAMPA

Cultura


Almeno un miliardo di danni, i più gravi a Norcia 

C’è la bellezza italiana ridotta in polvere e c’è soprattutto per la prima volta un profondo senso di impotenza di fronte ai crolli dei capolavori medievali che rendono unica l’Italia. A fine giornata il bilancio di una manciata di secondi di scossa di terremoto è un miliardo di euro, forse anche due, di danni in più al patrimonio culturale italiano. Una cifra enorme se si pensa che soltanto la scossa di mercoledì scorso aveva aumentato del 70% i danni portandoli a un miliardo. Antonia Pasqua Recchia, segretario generale del ministero dei Beni Culturali, ammette le difficoltà. Se pensiamo solo alle segnalazioni, dopo le precedenti scosse erano state circa 3000. Dopo l’ultimo terremoto mi aspetto almeno altre 2000 segnalazioni. Pensiamo che sia stato il più violento». 

Ma non è la sua violenza a dare un senso di impotenza, è il protrarsi nel tempo senza lasciar vedere una fine. «Intervenire ora e mettere in sicurezza i beni danneggiati non è un’operazione che il ministero può assicurare», spiega. La dirigente sa di non avere alternative: «Avevamo ricominciato le verifiche e gli interventi dopo la scossa e i crolli di mercoledì 26. Eravamo entrati venerdì nella basilica di San Benedetto. Volevamo portare via le pale dell’altare ma ci siamo resi conto che avremmo rischiato troppo perché saremmo dovuti rimanere a lungo all’interno della basilica. Ci eravamo messi d’accordo per vederci lunedì mattina e effettuare un intervento di messa in sicurezza del tetto dall’esterno. Purtroppo la scossa di stamattina ha fatto crollare tutto, ma sarebbe stato impossibile fare più in fretta». 

La pala della Madonna è stata ritrovata fra le macerie ieri mattina dai Vigili del Fuoco e portata in uno dei depositi allestiti dal ministero per il recupero delle opere danneggiate. Il resto è lì, un simbolo dell’Italia medievale in polvere. 

Possibilità di recupero? Secondo gli esperti, ci troviamo di fronte a una delle situazioni più difficili per i beni culturali italiani degli ultimi decenni. E un eventuale recupero dipende da come sono avvenuti i crolli: se i pezzi sono ridotti in granelli minuscoli, non ci sono speranze; se invece sono abbastanza grandi, si può sperare di ricostruire. Per esempio, i mosaici della basilica di Assisi sono stati restaurati dopo un lavoro certosino rimettendo insieme tutti i pezzi di almeno un centimetro. 

Non tutto è perduto, ma nessuno oggi è in grado di dire di più, o di avere la minima certezza sul futuro. «Da domani ricominceremo con le verifiche anche sugli edifici dove già ci sono stati i sopralluoghi e che erano stati dichiarati agibili. Ma in molti casi i nostri tecnici non possono ancora entrare, dobbiamo aspettare il via libera dei Vigili del Fuoco», spiega Giorgia Muratori, segretario generale del Mibact per le Marche. Ma la situazione è di giorno in giorno più difficile e si annuncia necessaria anche una diversa organizzazione delle competenze. 

Si attende la nomina del Soprintendente unico speciale per le aree colpite dal sisma, distribuite in quattro regioni tutte ad alta densità di beni culturali. Avrà l’incarico di concentrarsi sul recupero del patrimonio mobile e immobile, mentre il ministro Franceschini chiede più fondi per riuscire a salvare tutte le opere danneggiate. L’art bonus, infatti, verrà esteso anche ai beni ecclesiastici gravemente colpiti. «Non appena il terremoto si fermerà ci metteremo al lavoro. È nostra ferma intenzione recuperare tutto il patrimonio che è stato danneggiato», promette Antonia Pasqua Recchia. 

Una promessa che in queste ore suona molto impegnativa. A subire danni è stato persino l’«ermo colle» dell’Infinito di Recanati, quello che ha ispirato Giacomo Leopardi, dove si è aperto uno squarcio. Palazzo Leopardi «ha retto bene ma è chiuso alle visite per precauzione», spiega Vanni Leopardi, che con la famiglia vive ancora nel palazzo settecentesco.

I danni più rilevanti però sono di sicuro a Norcia che in pochi secondi ha perso tutte le chiese: non solo la basilica di San Benedetto, anche la cattedrale romanica di Santa Maria Argentea, la chiesa gotica di San Francesco. E sono stati danneggiati pesantemente il Municipio e il museo della Castellina. Ad Amatrice è crollata la torre civica e quello che rimaneva della chiesa di Sant’Agostino. Ma i danni sono diffusi ovunque. Ulteriori crolli ci sono stati nei centri storici di Camerino, Visso, Tolentino. Paura anche per la Pinacoteca di Jesi dove sono custoditi dipinti di Lorenzo Lotto e per Civita di Bagnoregio. L’elenco può continuare a lungo. La scossa di ieri ha ferito per intero il cuore dell’Italia medievale.

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FLAVIA AMABILE



giovedì 27 ottobre 2016

L’ex prof. di Matematica legge Seneca in Latino

LA STAMPA

Cuneo


Storico professore di Matematica e Fisica al liceo classico «Silvio Pellico» di Cuneo. Sono di sua firma alcuni testi della casa editrice Lattes adottati nei licei, come «Strutture moderne dell’algebra». E’ in pensione dalla metà degli Anni Ottanta, ma non ha perso la passione per le materie che ha insegnato. Vive a Cuneo. Gli piace andare in montagna. Pratica sport e gioca ancora con slancio a tennis. Si chiama Ezio Tassone. E’ nato nel 1929 a Cuneo: il papà era impiegato alle Poste e la mamma casalinga. E’ stato staffetta partigiana, ai tempi in cui studiava al ginnasio. Cresciuto, da giovane, in ambiente cattolico è poi diventato libero pensatore. Uomo di sinistra. Oggi è buddista convinto. Determinante è stato l’incontro con il professor Umberto Boella. E’ grato anche a Franco Cordero, giurista che gli ha «inquadrato» la testa.

Gli anni del ginnasio e la sua «staffetta» da Cuneo a Rastello . «Era il 1944. Frequentavo la quinta ginnasio. Il professor Boella mi disse che ’’non gli sembravo più quello dell’anno prima’’. Avevo un segreto e tale rimase. Ero infatti una staffetta per i partigiani. Il mio nome era ’’Pisellino’’. Nel mio gruppo, legato a Aldo Benevelli, avevamo tutti soprannomi legati all’orto. C’era la guerra e io partecipavo ad azioni di sabotaggio contro i tedeschi: linee telefoniche, cartelli stradali, volantinaggio. In sostanza, avevamo il compito di fornire al comando dei partigiani informazioni su movimenti dei tedeschi e dei fascisti. Andavo come staffetta, in bicicletta, da Cuneo a Rastello, in Valle Ellero. Impiegavo quattro ore. Usavo una bici da donna di mia sorella, di taglia intermedia tra quella di un bambino e di un adulto: mi consentiva di mimetizzarmi bene, nei posti di blocco dei fascisti. Infatti pensavo che dicessero: ’’Figuriamoci se mandano dei bambini a portare le informazioni in montagna’’. A mia mamma non ho mai confidato questo segreto. Lei si fidava delle mie assenze, perché a scuola andavo bene. A lei dicevo che andavo a trovare dei miei compagni in collegio a Peveragno». I numeri rispetto al greco e al latino. «Il privilegio di avere avuto come insegnante Umberto Boella, che aveva curato per la Utet l’edizione critica delle Lettere di Lucilio di Seneca, mi ha indubbiamente formato. Arrivare a padroneggiare, non solo superficialmente, la struttura grammaticale e sintattica della propria lingua non dovrebbe essere considerato un inutile orpello: forse così potremmo difenderci un po’ meglio da quell’ammorbante discarica di parole, il cui cinico scopo è quasi sempre quello di veicolare velleitari collage di banalità, nei quali siamo tutti immersi». L’insegnamento, sino alla pensione negli Anni Ottanta: era severo? «Di rimandati ne avevo in media uno o due per classe, ogni anno. Significa: bassa percentuale. Durante l’anno, però, ero molto rigoroso. Accettavo che si autogestissero con i loro turni, ma una volta che erano alla cattedra, pretendevo contenuto». La matematica a cosa serve? «Dà la possibilità di creare una intelaiatura logica che serve per le Scienze Umane». In pensione cosa fa? «Non ho abbandonato la matematica: ogni giorno faccio una equazione differenziale, come ’’ginnastica’’ per la mente. Leggo i classici, come Orazio e Catullo. Il mio romanzo preferito è il ’’Dottor Zivago’’, di Pasternack che rileggo con piacere». Alla morte ci pensa?«Meditare mortem – scriveva Seneca – qui hoc dicit meditari libertatem»: meditare sulla morte è meditare sulla libertà. E’ solo, infatti, la libertà interiore a permettere di dare all’uomo la serenità di affrontare la morte». Di cosa è stato orgoglioso, in questa sua vita?«Di avere fatto il partigiano». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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Nuovo IBAN per i clienti Bre...

LA STAMPA

Cuneo

Fusione con Ubi

Nuovi Iban

per 198 mila

clienti Bre

«Un pensionato, il cui solo reddito derivi dall’Inps e che abbia domiciliato in una filiale Bre bollette di luce, gas e telefono, non dovrà fare assolutamente nulla. Il cambiamento del suo Iban per ricevere la pensione e pagare le utenze sarà automatico e gratuito». Da Bre Banca tendono soprattutto a rassicurare i correntisti che stanno ricevendo in questi giorni dall’Istituto di credito una lettera che annuncia il cambio di Iban, determinato dalla fusione nel gruppo Ubi. Ancora non si sa se sarà necessario un cambio anche dei numeri di conto.

In linea di massima dovrebbe funzionare così: chi ha un conto Bre per i pagamenti «in uscita» come le bollette, appunto, o le rate di condominio, non dovrà fare nulla. Dovrà invece comunicare al proprio datore di lavoro il nuovo Iban il dipendente che abbia chiesto di accreditare lo stipendio sul conto. Il cambio non sarà automatico, infatti, per la gran parte delle voci «in ingresso». 

Anche chi ha redditi di altra natura, per esempio derivanti da un alloggio in affitto, dovrà comunicare all’inquilino il nuovo Iban per il bonifico. Se è l’amministratore di condominio ad avere un conto in Bre su cui si pagano le rate annuali, dovrà informare del cambio di Iban i condomini.

La modifica, in vigore dal 21 novembre, riguarda il 198 mila circa correntisti Bre, «ma - avvertono dalla banca - per almeno sei mesi, gli eventuali accrediti sul vecchio Iban saranno automaticamente trasferiti su quello nuovo». [m. bo.]

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martedì 25 ottobre 2016

Torino, la cultura in mezzo al guado

LA STAMPA

Cultura


Era la carta vincente che ha dato una nuova identità

alla città post-industriale. Dopo la scelta dei cinquestelle

di abbandonare i grandi eventi ci si interroga sul futuro

Non sarà facile da metabolizzare la giornata del 24 ottobre 2016 per il mondo della cultura torinese. Nel giro di poche ore si è dimessa la presidente della Fondazione Musei Patrizia Asproni, in rotta di collisione con la giunta Appendino. La sindaca, che già ne aveva fatto uno dei suoi bersagli preferiti, la riteneva responsabile del caso Manet, la mostra promessa e poi sfumata. Mostra che, e qui sta il secondo colpo, è - dopo il Salone del Libro -diventata oggetto del secondo «scippo» in un mese da parte di Milano: si farà in primavera, a Palazzo Reale. «Non abbiamo nulla contro Torino, ma a Milano guadagniamo molto di più - ha spiegato l’ad di Skira Massimo Vitta Zeiman -. Là non c’è la tessera musei che garantisce l’ingresso gratis in tutte le strutture». 

Al di là del tourbillon politico che hanno scatenato le dimissioni di Asproni, oggi ci si chiede dove stia andando quella stessa città che aveva fatto sforzi enormi per passare dal vecchio modello della «one company town» a capitale turistica e culturale grazie al trampolino delle Olimpiadi. Sono passati circa vent’anni dai tempi in cui la Mole era solo un ascensore in mezzo al vuoto lanciato verso i tetti di Torino. Ora - grazie a una decisione della prima giunta Castellani, anno 2000 - ospita il Museo del Cinema, uno dei più visitati d’Italia. Poi ci sono stati anni (dal 1988 al 2001) in cui palazzo Madama, gioiello juvarriano nella centralissima piazza Castello, allora non pedonale ma zeppa di auto, restava permanentemente sprangato per «inagibilità». Ora quel museo espone 60 mila opere d’arte e organizza almeno quattro mostre l’anno. E come dimenticare il Museo Egizio, che prima della grande rivoluzione avvenuta due anni fa esponeva i suoi reperti in teche polverose e punitive ad appannaggio quasi esclusivo delle scolaresche?

La data spartiacque

Questo era il profilo culturale dell’ex capitale industriale, ai tempi in cui il Lingotto era ancora una fabbrica. Lo spartiacque che sancisce la nascita di un nuovo motore economico è datato 29 febbraio 2000: il giorno dell’approvazione del primo piano strategico. Torino, unica città in Italia, decide di mettere nero su bianco i suoi obiettivi attraverso sei linee di indirizzo: e la prima è la cultura. Da quel giorno la città volta pagina: nascono prima la Fondazione Musei (nel 2002, con Chiamparino), per mettere insieme pubblico e privato e aumentare le risorse, poi la Fondazione per la Cultura (èra Fassino, 2012), una struttura per cercare gli sponsor finanziatori di iniziative come Biennale Democrazia, MiTo e il Festival Jazz.

Ora a Palazzo Civico governano i cinquestelle. Ed è come se fossimo al terzo cambio di passo in vent’anni: dalla grandeur olimpica, quando fiumi di denaro garantivano corposi finanziamenti, all’austerity mascherata dall’iper attivismo e dai vasti contatti di Piero Fassino, alla necessità di ripensare il futuro con poche risorse e un nuovo paradigma. «Le grandi mostre hanno indebolito i musei», racconta Francesca Leon, assessora alla Cultura nella giunta cinquestelle. «Garantiscono numeri importanti per un arco limitato di tempo, ma alla fine impoveriscono perché non favoriscono la produzione culturale. La cultura a Torino negli ultimi anni è stata effimera: la città ha accolto eventi ma non ne ha esportati. E quando si resta alla mercé dei privati prima o poi si perde, perché loro vanno da chi offre di più. A noi serve un sistema che sappia progettare e esportare cultura; così facendo costruirà relazioni che gli permetteranno anche di importare». Un po’ come fanno il Museo Egizio e il Teatro Regio.

In che modo la giunta Appendino declinerà questo enunciato è ancora da capire. A tre mesi e mezzo dal suo insediamento le strategie faticano a emergere. La battaglia per difendere il Salone del Libro è stata una spia: in questo momento il vento soffia verso Milano. «Ma noi risponderemo con un Salone bellissimo, ce lo invidierà tutta Italia: saranno gli altri a guardare a noi» annuncia con ottimismo il neodirettore Nicola Lagioia.

Un’idea diversa

La prossima settimana Appendino porterà in giunta il programma degli eventi per il 2017 e sarà un documento utile per capire nei fatti le intenzioni del nuovo corso. Il palinsesto non subirà grossi scossoni: confermati Biennale democrazia, MiTo, il mese dell’arte contemporanea, gli spettacoli di Natale per le strade.

Di sicuro c’è che la sindaca ha un’idea precisa rispetto ai grandi eventi: la Città investirà solo su quelli che garantiscono ricadute proficue. Se così è, il primo indiziato a essere ridimensionato è il Jazz Festival: un milione di costo e un milione di ritorno, non a caso si pensa di farlo rientrare nel Salone del Libro. Diverso il caso di Biennale Democrazia e MiTo (cui Appendino ha promesso risorse aggiuntive), o di Terra Madre. E le mostre blockbuster? «Non siamo contrari», precisa la sindaca. «Ma prima di finanziare un evento vogliamo misurarne le ricadute. Un modello che si basa sulle relazioni personali non fa per noi, perché così si indebolisce la città».

Appendino e Leon hanno altro in mente: far emergere produzioni autoctone, e in quest’ottica si spiega la scelta di distribuire parte dei finanziamenti destinati alla cultura attraverso un bando che selezioni i progetti migliori. Una strada più lunga, tortuosa e anche underground, che nel futuro potrebbe far emergere talenti e produzioni di alto profilo. Nell’immediato, però, non mette al riparo da ulteriori scippi.

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Emanuela Minucci

Andrea Rossi


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L’Appendino all’esame della cultura

LA STAMPA

Cultura


In democrazia, chi vince ha il diritto, ma pure il dovere, di governare. Tra i diritti, quello di essere giudicati senza pregiudizi politici o avversioni culturali. Tra i doveri, quello di rappresentare anche coloro che non hanno contribuito all’elezione. 

A metà dello scorso giugno, Chiara Appendino, candidata a Torino dal Movimento 5 Stelle per la poltrona di sindaco, batté clamorosamente al ballottaggio Piero Fassino, con il 54 per cento dei voti contro il 45. Sono passati quasi 5 mesi da quelle elezioni e, in città, si sta diffondendo una certa inquietudine. Milano continua la sua incalzante campagna acquisti in terreno torinese e, dopo il «Salone del libro», sottrae alla capitale subalpina anche l’appuntamento che, il prossimo anno, doveva proseguire la collana di successi delle mostre sull’impressionismo, quella su Manet. Nel frattempo, non si intravedono i contorni di quel piano alternativo della nuova sindaca e della sua giunta rispetto al progetto di sviluppo culturale e turistico che costituiva uno dei capisaldi della trasformazione che la città e la sua immagine ha avuto nel recente passato.

Lo scontro tra Chiara Appendino e Patrizia Asproni, la presidente dimissionaria della Fondazione Torino Musei, al di là dello stucchevole rimpallo sulle responsabilità di incontri mancati, è esemplare per comprendere i contorni di una situazione imbarazzante e preoccupante. Quel diritto e dovere di governare, appunto, può implicare la decisione di sostituire, da parte di un sindaco, manager delle principali istituzioni cittadine nominati da precedenti amministrazioni, espressioni di linee politico-culturali che non si condividono e con i quali, perciò, non si possa pensare possibile una collaborazione efficace e leale. È vero che la Fondazione non ha come unico referente il Comune, ma anche la Regione e le due principali banche cittadine, ma è ovvio che il rapporto di fiducia con Appendino è fondamentale per poter gestire un ruolo così determinante in città.

Ecco perché il ritardo e il pasticcio dei pretesti con i quali, da una parte, si sono sollecitate le dimissioni di Asproni e, dall’altra, si è denunciata la responsabilità della sindaca per la perdita della mostra di Manet costituiscono, soprattutto, l’allarmante sintomo di un vuoto di iniziative concrete e di una mancanza di chiarezza sui progetti della nuova giunta torinese.

È certamente significativo che proprio sulla cultura l’amministrazione Appendino segni il passo e che la scelta di un assessore come Francesca Leon, a cui sono state sottratte competenze importanti, sia indicativa di una perniciosa confusione delle responsabilità. Quel «sistema Torino» contro cui, in campagna elettorale, la candidata sindaca pentastellata si era scagliata, raccogliendo i consensi trasversali di tutti coloro che se ne sentivano esclusi, aveva proprio nella cultura la sua punta di diamante. Fassino si era speso personalmente per rendere attrattiva la città, puntando a uno sviluppo culturale i cui ritorni turistico-commerciali, tra l’altro, sono stati in questi anni evidenti.

Appendino, legittimamente, non punta solo ai cosiddetti grandi eventi culturali per il futuro di Torino, né ritiene necessario che sia lo stesso sindaco e una specifica fondazione a progettarli e a procurare gli sponsor finanziatori. A parte il fatto che i benefici di uno sviluppo culturale non si possono misurare solo sulle conseguenze economiche che ne conseguono, non si avverte, però, dalla nuova giunta, l’indicazione e, soprattutto, la realizzazione almeno dei primi passi di una visione alternativa che possa sostituire gli effetti di un cambiamento dell’immagine di Torino che tutti coloro che arrivano in città riconoscono e apprezzano.

La rapacità e la rapidità con la quale Milano azzanna pezzi importanti di quel «puzzle» culturale e turistico costruito in questi anni a Torino non consentono esitazioni, incertezze, confusione di idee. Occorre che alle mosse milanesi Torino risponda con altrettanta rapidità e altrettanta determinazione, individuando quelle che possono essere le tappe di un percorso culturale, magari diverso, ma che assicuri lo stesso successo del passato. La città ha tutte le risorse per riuscirci, facendo appello anche a quella società civile che, negli ultimi tempi, sembra aver dimenticato l’importanza del suo apporto per lo sviluppo di Torino. 

Il «caso» della cultura in città è il segnale di una impressione che riguarda anche altri campi di intervento, o di mancato intervento, della nuova giunta. Il tempo del rodaggio è finito, come quello dello studio dei problemi. In estate, il sole è alto e l’ombra, quella della Raggi, offre un rassicurante rifugio. Ma è arrivato l’autunno e le ombre si allungano. Speriamo non fino a Torino. 

Luigi La Spina


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Pubblicità progresso

LA STAMPA

Economia

Jena


Chi respira avvelena

anche te, digli di smettere.

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Taverna carrabile

LA STAMPA

Prima Pagina


La cittadina senatrice Paola Taverna ha accompagnato il figlio in Campidoglio per un laboratorio scolastico, riuscendo miracolosamente a parcheggiare l’auto sulla cima dell’incantevole colle in virtù di un atto psicomagico altrimenti noto come «esibizione del tesserino parlamentare». L’ostentazione del privilegio di Casta da parte di una delle sue più implacabili fustigatrici ha irritato i genitori degli altri ragazzini, che hanno goduto di un privilegio altrettanto apprezzabile ma curiosamente poco apprezzato, quello di potersi inerpicare sui centoventiquattro gradini che portano al Campidoglio, così ammirandone da vicino le bellezze, dopo avere incastrato la macchina nel primo buco disponibile, posizionato a non meno di tre chilometri dal traguardo.

Il pregiudizio di queste persone nei confronti della cittadina senatrice lascia esterrefatti. Ma qualcuno arriva davvero a immaginare che l’anima popolare dei Cinquestelle, la cui campagna contro i vaccini rivelò solo in parte la sua vasta preparazione scientifica e culturale, possa avere agito come una marchesa del Grillo qualsiasi: «Io so io e c’ho il pass, e voi attaccatevi alle strisce blu»? La verità è che, dopo avere rivelato prima delle elezioni per il sindaco di Roma che era in atto un complotto per fare vincere il suo movimento - e adesso sappiamo quanto avesse ragione -, la cittadina Taverna è impegnata con tutte le forze a dimostrare come in realtà il complotto sia cominciato molto prima: almeno dal giorno della sua nomina a senatrice. 

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Massimo Gramellini


Tutti o quasi hanno sposato l’atteggiamento populista

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Italia

Lo scontro sui costi della politica che si annuncia al calor bianco oggi alla Camera - con i 5 stelle che hanno organizzato una manifestazione in piazza Montecitorio e Grillo che si prepara a dar spettacolo dalla tribuna del pubblico - contiene una novità, segno dei tempi. La partita tra M5s e Pd, destinata a chiudersi subito perché la maggioranza punta a riportare il testo in commissione, si giocherà, non sul tagliare o no le indennità dei deputati, ma sul modo di ridurle.

L’idea che l’indennità possa essere difesa, in nome del fatto che garantisce la presenza in Parlamento anche a chi in partenza non ha mezzi sufficienti per permetterselo, non fa più parte della realtà. Tutti o quasi i partiti, compreso il Pd, hanno sposato l’atteggiamento populista che prevede che i parlamentari siano più o meno una casta da tosare, privandola dei privilegi goduti finora e costringendola ad accettare paghe ridotte, prendere o lasciare.

In particolare il dibattito di oggi, intrecciandosi con l’ultima parte sanguinosa della campagna referendaria, punta a dimostrare, almeno nelle intenzioni dei 5 stelle e della sinistra radicale, che Renzi e il Pd, strozzando la discussione e riportando il testo in commissione, non abbiano in realtà alcuna intenzione di procedere al taglio delle indennità, che porterebbe risparmi di spese pubbliche maggiori di quelli previsti con il ridimensionamento del Senato. È la ragione per cui il premier s’è detto favorevole al taglio e ha proposto un meccanismo legato all’effettiva presenza in aula, portando ad esempio Luigi Di Maio che avrebbe partecipato solo al 37 per cento delle sedute. Di Maio per tutta risposta lo ha sfidato a presentarsi in aula.

Naturalmente, gettare nella fucina della propaganda argomenti così delicati non contribuisce a trovare soluzioni adeguate. Nelle ultime occasioni in cui si è discusso di stipendi dei deputati e dei senatori, il confronto s’è avvitato in una gara a chi cercava di interpretare con più durezza i sentimenti anti-casta degli elettori. Con il risultato che l’indennità dei parlamentari è stata tagliata di quasi cinquemila euro al mese, ma nel contempo è scesa anche la qualità della composizione del Parlamento, perché, al di là degli ex-disoccupati, fortemente rappresentati nei gruppi 5 stelle, e di politici di professione ed ex-sindacalisti, più frequenti all’interno della sinistra radicale, non sono in tanti quelli disposti ad andare in Parlamento per prendere insulti e vedersi periodicamente additati come sfaccendati super pagati.


Marcello

Sorgi



domenica 16 ottobre 2016

In bici sulle tracce della storia

LA STAMPA

Imperia

Una giornata tra cultura, arte ed ecologia

A Sanremo la “Faimarathon”

in bici sulle tracce della storia

Appuntamento dalle 10 alle 18 con il Fondo per l’ambiente italiano 

In bicicletta sulle tracce della storia, visitando quattro preziosi siti di Sanremo collegati tra loro dalla pista ciclabile. Una sorta di caccia al tesoro tra cultura, arte ed ecologia. È l’offerta della «Faimarathon», l’evento promosso nella città dei fiori dal Fondo per l’ambiente italiano (e in contemporanea in tutta Italia). 

Protagonisti della giornata sono tesori artistici di prima grandezza: la villa romana della Foce, testimonianza dell’antica villa Matutia (I-II secolo dc), il cimitero monumentale che custodisce illustri personaggi della storia cittadina tra ’800 e ’900 (basti pensare al pittore Edward Lear o all’illustratore Antonio Rubino), il forte di Santa Tecla la cui costruzione risale al 1754, l’antico approdo cinquecentesco comparso nel letto del torrente San Francesco. 

I visitatori potranno accedere agli itinerari di visita guidati pagando 5 euro (4 per i soci Fai) avvalendosi come ciceroni dei volontari del Fondo per l’ambiente italiano e, per quanto riguarda la villa romana e il camposanto della Foce, di studenti ed insegnanti di quattro classi del liceo classico «Cassini» (che hanno partecipato ad un progetto scuola-lavoro). Per i partecipanti sono state previste due agevolazioni: il noleggio a prezzo scontato delle bici per spostarsi tra le «tappe» della «Faimarathon» in modo ecosostenibile (il percorso è lungo 2500 metri) e una tariffa al prezzo simbolico di un euro per chi parcheggerà nel sito di Area 24 in corso Marconi.

Villa romana Fu l’illustre archeologo Nino Lamboglia ad occuparsi dei primi scavi che nel 1936 (sindaco Pietro Agosti)portarono alla luce l’insediamento romano che sorgeva lungo la Via Julia Augusta (scoperto nel 1925). Tra le testimonianze ancora visibili la presenza del complesso delle saune con i condotti per l’aria calda che riscaldavano le piscine ed aree con mosaici legate a relax e intrattenimento.

Cimitero monumentale Testimonianza dell’arte funeraria tra ’800 e ’900, realizzato alla Foce, custodisce le tombe gentilizie di antiche famiglie della città, di nobili che morirono a Sanremo durante la Belle Epoque (di ogni Paese europeo e di ogni confessione) e di personaggi illustri. Alcune porzioni sono purtroppo in stato di avanzato degrado. Molte le statue e i fregi di pregevole fattura. 

Forte di Santa Tecla La visita del Fai consentirà di poter accedere al camminamento superiore della fortezza, permettendo ai visitatori di ammirare un panorama inedito della città e di porto vecchio. La fortezza ha la particolarità di essere stata realizzata da Genova come avampasto di controllo della città, tanto che i cannoni e le difese sono rivolte verso Sanremo e non verso il mare. 

Antico approdo Risale al cinquecento il molo venuto alla luce durante gli scavi per la messa in sicurezza del torrente San Francesco. Una testimonianza dell’antica marineria sanremese, probabilmente, antecedente al «porto vecchio» che venne progettato da ingegneri della Repubblica di Genova per limitare le ambizioni commerciali della città dei fiori. 

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giulio gavino


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La ciclopista profuma di storia si allunga e guarda al turismo

LA STAMPA

Imperia


Gli step per il tratto S. Lorenzo-Oneglia, il ruolo dei privati e le stazioni in vendita

La ciclopista della Riviera sotto i riflettori. Oggi a Sanremo ospita la «Faimarathon», evento tra storia e arte che prevede quattro tappe che sono collegate dalla pista ciclabile e per raggiungere le quali viene consigliato l’uso della bicicletta. Ma se oggi nella città dei fiori la ciclabile profuma di storia si tratta anche di una realtà in divenire. Basti pensare agli step che prevedono il suo allungamento tra San Lorenzo e Oneglia non appena verrà inaugurato il nuovo tratto della linea a monte (entrerà in esercizio a dicembre). Il progetto esecutivo, ad esempio, dovrà essere pronto in tre mesi. Intanto, all’ampliamento del tracciato guardano i privati, con la possibilità di 50 nuovi posti di lavoro legati alle opere di consolidamento della viabilità e del territorio. Ultima novità sono i «bike-hotel», cui dovrebbero essere trasformate le ex stazioni di San Lorenzo al Mare e Ospedaletti. 

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La "Green Line di Imperia", progetto da 28 milioni

LA STAMPA

Imperia

La ciclopedonale a Imperia

L’idea complessiva del progetto della «Green line di Imperia» - valore complessivo di oltre 28 milioni di euro di cui 10 milioni a carico di privati - viaggia su due diversi fronti. Da una parte c’è la pista ciclopedonale che andrà a unire Imperia al tracciato già realizzato fronte mare che attraversa la provincia, da Ospedaletti a San Lorenzo per 24 chilometri, andando ad aggiungere 6 chilometri (ecco spiegato il nome Area 30) di pista ulteriormente espandibile verso Diano Marina: fondamentale in questo caso l’impulso turistico e commerciale dell’utilizzo dell’ex sedime ferroviario come già ampiamente provato dal tratto gestito da Area 24. Il secondo aspetto che caratterizza e identifica in modo innovativo il progetto imperiese riguarda però la riqualificazione della città, la «cucitura» del territorio e delle periferie con il centro con profondi mutamenti per quanto riguarda le abitudini dei cittadini e positive ripercussioni sulla mobilità e sulla viabilità. Imperia come Bologna e Ferrara, con la bicicletta che diventa un vero e proprio mezzo di trasporto trasformando il percorso cicloturistico in una rete per il trasporto pubblico sostenibile. L’obiettivo della green line è il riavvicinamento tra le diverse parti del tessuto urbano imperiese in senso sia orizzontale che verticale: oltre a collegare Porto e Oneglia, la ciclabile eliminerà la frattura creata dalla ferrovia nei quartieri attraversati (Prino, Fondura, Borgo San Moro e Ferriere). 

Gli interventi di parte pubblica eseguiti in accordo con Rete Ferroviaria Italiana, per un importo pari a 18 milioni di euro a valere sui fondi pubblici del bando sono suddivisibili in tre lotti funzionali fruibili autonomamente: la prima parte da San Lorenzo alla stazione di Porto Maurizio (quasi 11 milioni di euro), la seconda da Porto a Oneglia (oltre 5 milioni), il Parco Urbano (1 milione e 700mila euro) con copertura del depuratore. Per quanto riguarda gli interventi di privati (totalmente a carico dei soggetti attuatori) su aree produttive dismesse e degradate che si inseriscono nel progetto green line, ex Sairo e Lungomare Vespucci, per un valore di 10 milioni e 162 mila euro, sono stati quantificati 50 nuovi posti di lavoro, ostello/foresteria, di un immobile a destinazione d’uso residenziale e di un’ampia zona verde pubblica integrata con parcheggi pubblici, palestra pubblica, ristorazione. «Il progetto - spiegano gli assessori Guido Abbo ed Enrica Fresia - avrà un notevole impatto anche sotto il profilo della viabilità: sarà creata una rotonda nell’area della stazione di Oneglia, fra via Garessio e via Giuseppe Berio; una nuova bretella sulla ex ferrovia a valle dello stabilimento Carli sino al ponte ferroviario sull’Impero ed una rotonda in fondo all’Argine Destro, con l’eliminazione del relativo sottopassaggio». [M.A.]

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lunedì 10 ottobre 2016

Cota e Marino, l’irritante ribalta degli assolti

Corriere della sera


 


di Aldo Cazzullo

C
ontrordine compagni: verdi non erano le mutande, ma i pantaloni comprati dal «governatore» del Piemonte Cota con i soldi dei piemontesi. E l’ex sindaco Marino, reduce dai successi romani, ora pontifica sulla tv pubblica con la voce chioccia annunciando o minacciando ritorni.

C’è qualcosa di irritante nella sicumera con cui i politici assolti per gli scontrini tornano alla ribalta. Hanno subìto un danno: questo va riconosciuto. Ma il loro comportamento, se non rappresenta un reato, resta censurabile. Cota ha fatto shopping in America con denaro pubblico, come ha ammesso anche nella tracotante intervista di sabato scorso alla Stampa. E Marino offriva la cena di santo Stefano al ristorante con la carta di credito del Comune confermando di avere un rapporto complicato con le note spese. C’è di peggio? È vero. E il peggio è che Marino è stato un pessimo sindaco di Roma; altrimenti i romani non avrebbero plebiscitato con oltre il 67% una candidata inesperta come purtroppo si è confermata Virginia Raggi. Così come Cota non è stato un buon presidente del Piemonte. Va ricordato che dovette lasciare il suo posto non per gli scontrini, ma perché la magistratura accertò che la lista Pensionati per Cota, determinante per la sua vittoria, era stata presentata con firme false.

Il problema non sono soltanto figure che sarebbero pure marginali, se non fosse per i danni combinati. È che dieci anni di polemiche — non sempre populiste, anzi spesso documentate — contro la casta sono serviti a poco. I politici non hanno capito, o fingono di non capire, che quando si ha il privilegio di assegnarsi da sé il proprio stipendio e di disporre del denaro dei contribuenti occorrono cura, prudenza, pudore; a maggior ragione nel tempo in cui il Paese bruciava un milione di posti di lavoro e il 25% di produzione industriale; e in cui si apprende che il vitalizio di Cesare Previti e di altri condannati in via definitiva tornerà a confortarli non appena avranno la riabilitazione.

domenica 2 ottobre 2016

Dai frutti ritrovati la riscoperta del turismo

LA STAMPA

Cuneo

Oggi a Ormea


Ormea «scommette» sui frutti ritrovati. E su quelle antiche varietà, dalle mele D’Arrozzo alla castagna bianca, intorno a cui si è costruito un evento, «Ormea dai frutti ritrovati» che prosegue oggi, con un’altra giornata ricca di appuntamenti e incontri tra esperti, per mettere a fuoco il progetto che sta a cuore all’Amministrazione comunale: «Riconvertire questa valle – spiega il sindaco Giorgio Ferraris-, che ha visto spegnersi l’industria, al recupero turistico, culturale e ambientale. Un recupero che passa anche per il ritorno alla terra».

All’essiccatoio

Oggi la giornata si apre alle 10 con la mostra mercato di frutti antichi (mele, uva, castagno, ma non solo) e di altri prodotti locali (compresi i formaggi d’alpeggio di Viozene e Upega).

Sempre alle 10, parte l’escursione con visita a un essiccatoio che ospita anche un piccolo museo della castagna. E ancora visite ai musei locali (quello etnografico e l’altro dedicato agli alpini con la mostra sulla ritirata di Russia), esposizioni di piante e funghi commestibili a cura del Gruppo Micologico di Ceva.

Esperienze di recupero

Durante la giornata, nella sede dell’associazione «Ulmeta», in via Roma, coltivatori e appassionati esporranno le proprie esperienze di recupero, coltivazione vendita e trasformazione di antichi frutti caratteristici del territorio.

Il succo di mele

Anche la Scuola forestale darà un contributo prezioso, presentando tra l’altro la produzione sperimentale di succo di mele dell’Alta Val Tanaro. Davvero un frutto ritrovato. [c. v.]

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Italia

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Una gara per la premiership tra Grillo e Renzi 

sarebbe fantastica: vince chi spara più cazzate