Cultura
Houston, abbiamo un problema. Ed è meglio parlarne subito, prima che sia troppo tardi. L’inguardabile pareggio dell’Italia contro la Macedonia non è la prima e non sarà l’ultima figuraccia nella storia azzurra. Ci piace raccontare dei quattro titoli mondiali vinti, meno scomodare i fantasmi della Costa Rica o della Slovacchia, giusto per rimanere alle corazzate che ci hanno scudisciato nelle ultime due edizioni dei Mondiali. Quindi, sgombriamo subito il campo: non si parla dei risultati, almeno fino a che saremo in corsa per un posto in Russia. Questo lo diranno gli spareggi di novembre e il dio del pallone, se ce n’è uno, voglia che l’Italia resti in piedi altrimenti sarà il default del sistema. Il 1929 del nostro calcio perché un conto è non essere andati ai Mondiali sessanta anni fa, un altro è saltarli ora vista la portata economica del carrozzone. Non mettiamo le mani avanti però, tira già un’aria da funerale così che non è ancora il caso di preparare l’abito nero: qui si parla di Giampiero Ventura e delle sue debolezze, di un sistema che l’ha scelto, e sistema per l’occasione è una parola grossa, ma che ora è quasi imbarazzato nel difenderlo.
Giampiero Ventura fa il ct per mancanza di alternative (e di un budget che le avrebbe permesse) e già questo la dice lunga sulla nomina. Se in carriera al massimo sei arrivato settimo in campionato e hai sempre viaggiato in economy, trovarti in first class tutto d’un botto rischia di farti girare la testa. Ventura è ct da oltre un anno e la Nazionale non sarebbe arrivata davanti alla Spagna nemmeno con Stephen Hawking a guidarla. O Pep Guardiola, per restare ai geni del calcio. Ma il ct ha raramente trasmesso in 13 partite la sensazione di essere l’uomo giusto al posto giusto, l’abbiamo percepito noi e, purtroppo, anche i giocatori. Non nelle vittorie, figuriamoci nelle sconfitte. Perché è proprio qui che vengono a galla le difficoltà: quando perde, o pareggia con la Macedonia che fa lo stesso, Ventura perde due volte. Sul campo e nelle reazioni. Ha la sindrome di Calimero ed è pure contagiosa vista l’insicurezza che sta rosicchiando gara dopo gara le poche certezze che avevamo. Bonucci e Buffon, per dirne due, sono irriconoscibili: ci mettono anche del loro, d’accordo, ma sanno che i muri sono di cartapesta e che al primo soffio può venir giù tutto. Ancora: Insigne nel Napoli è un leone, in azzurro una formica. Casualità?
Ora i senatori avrebbero fatto un patto per non far deragliare la Nazionale: pro domo loro più che per Ventura. In ogni caso, una Nazionale che ha bisogno di un patto o è quella dell’82 (dove però tra i firmatari c’era pure Bearzot) o è qualcosa di malato, incuba un virus molto pericoloso. E allora che si fa? Una squadra di club avrebbe già licenziato l’allenatore, e gli estremi c’erano pure, ma qui è diverso: più che morali, la Federcalcio ha obblighi di bilancio e mettere a libro paga due ct è un lusso difficile da permettersi. Carlo Tavecchio, il presidente federale, ha scelto Ventura: starebbe a lui difenderlo ma è stato il primo a parlare di catastrofe in caso di mancata qualificazione ai Mondiali. Ed è così, ma Tavecchio l’argine dovrebbe costruirlo non buttarlo giù. In sua assenza nessuno si è premurato di tutelare il ct e allora delle due l’una: o è indifendibile e allora lo si cambi ora (un traghettatore per lo spareggio, Ancelotti subito dopo) oppure i federali invece di pensare solo alla propria immagine e al rischio di vederla offuscata accostandola a un ct in balia delle onde, facciano i dirigenti e ci mettano la faccia. Sempre. Per ora siamo alla somma di due debolezze: il ct e la federazione. Il totale fa la Nazionale vista con la Macedonia.
Paolo Brusorio