Italia
Adorato da Chiara e odiato dai romani
Fassino disse: “Ancora non nominato, fa liste di proscrizione”
Il passato tra banche e partiti. La crisi dopo piazza San Carlo
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«Se cacciate lui vado via io». Prima di ieri, Chiara Appendino ha sempre difeso con tutta se stessa Paolo Giordana da quei grillini del giro romano che lo attaccavano non perché fosse poco grillino (quella era la bieca scusa), semmai perché - essendo di capacità superiori alla media tra i grillini - appariva troppo potente e autonomo dall’entourage di Di Maio, che non lo ama, per usare un eufemismo.
Ciò non toglie che Giordana (detto «Rasputin», ma lui astutamente: «Sono solo un portalettere») fosse diventato a sua volta un uomo chiave del grillismo: la sindaca lo considerava così fondamentale da averlo introdotto sia a Davide Casaleggio, sia a Grillo, creando una consuetudine. Quando quest’estate Giordana ha festeggiato il suo compleanno in un locale del centro a Torino, chi vi fu a festeggiarlo? Beppe Grillo in persona. Fu sapientemente fatta uscire una foto di Grillo e Giordana abbracciati, con Chiara in mezzo. Il capo di gabinetto aveva subìto uno scossone dopo il disastro di piazza san Carlo - la finale di Champions tramutata in una tremenda serata di piazza, con un morto e 1562 feriti. A Giordana era toccato coordinare l’organizzazione. E da allora i suoi nemici l’avevano se non azzoppato, indebolito, con la sindaca che finirà anche per la prima volta indagata dopo tante denunce di torinesi per lesioni.
«Sono convinto - dice ora Giordana - della correttezza della mia condotta. Ma più di ogni altra cosa mi preme tutelare Torino e l’amministrazione». Ma la domanda chiave è: perché Appendino ha legato così intimamente la sua esperienza a Giordana, col quale tra l’altro è finita di nuovo indagata a inizio ottobre, per il presunto falso ideologico sul bilancio comunale? Qui le risposte possono essere tante. La prima, ufficiale: si conoscono nel febbraio del 2013, in Sala Rossa in Comune. Si trovano. Giordana era transitato da amministrazioni di ogni colore. Era stato staffista di Ferdinando Ventriglia (An) e soprattutto di Paolo Peveraro, liberale e assessore chiave con Castellani e Chiamparino, oggi presidente di Iren.
Giordana sapeva abbastanza cose da suggerire, raccontano i maligni, i testi degli applauditi discorsi di Appendino da consigliera d’opposizione. Vittorio Bertola, ex consigliere grillino, che mai l’ha amato, ha detto, alludendo a lui: «Quei discorsi non li scriveva Chiara». Come che sia, i due hanno pure scritto un libretto insieme («La città solidale, per una comunità urbana») in cui citano Keynes in economia, Adriano Olivetti e il sogno di «Comunità» come modello industriale, e parlano pure di una politica fatta da «un io compassionevole ed empatico». Qualcosa che non torna con le multe fatte togliere agli amici e il quadretto di Giordana che ci regalò Piero Fassino, subito dopo la sconfitta, nel giugno 2016: «Sarebbe utile che il presunto prossimo capo di gabinetto evitasse di girare per gli uffici con l’elenco di dirigenti da promuovere e quelli da estromettere».
La seconda risposta è che Giordana fa parte di un giro di fidatissimi, assieme a Domenico, papà della sindaca, e a Marco Lavatelli, il marito, del mondo dell’imprenditoria torinese: un trio che con Chiara prende le decisioni importanti, di sistema. Giordana come collegamento tra poteri torinesi, che lui - analista finanziario di Intesa San Paolo prima di entrare in Comune - ha frequentato.
La terza risposta sta in relazioni curiose e da esplorare, del «giordanismo»: perché oltre che appassionato di Bach, o di personaggi storici come Mazzarino e il giovane Napoleone (di cui ha il ritratto in studio), Giordana è sacerdote della «Chiesa autonoma del Patriarcato Autocefalo di Parigi». Si tratta di una versione della chiesa russa assai discussa, anche per un atteggiamento avanguardistico in tema di omosessualità. Una manna, per i teorici del complotto e delle relazioni tra associazioni segrete.
Jacopo iacoboni