Cultura
Si annuncia una campagna elettorale ignara del peso immenso del debito pubblico. Dato che l’età media dei cittadini cresce, l’argomento preferito da tutti i partiti sono le pensioni. Dei giovani si parla poco, benché i dati mostrino che a soffrire di più negli ultimi anni sono stati soprattutto loro.
Già il buon senso fa apparire bizzarro che ieri la Corte Costituzionale si sia di nuovo espressa sull’adeguamento delle pensioni al costo della vita, sia pure per giudicare corretta la formula a scaglioni reintrodotta dal governo Renzi due anni fa.
Quando tutto un Paese diventa più povero (il potere d’acquisto per persona era nel 2016 del 10% inferiore al 2007) è difficile evitare che anche i pensionati, un quarto abbondante degli italiani, perdano qualcosa. Così pure sembra ragionevole che, con la durata della vita che si allunga, si vada a riposo un pochino più tardi.
Non sia mai. Si convertono anche politici ieri fautori dell’austerità. Il Pd comincia a smarcarsi dal governo. Circola l’affermazione falsa che in Italia si debba lavorare più a lungo che in tutti gli altri Paesi d’Europa. È vero invece che c’è un ampio divario tra l’età legale, prossima ai 67 anni, e quella effettiva media, negli ultimi dati disponibili attorno ai 62 per entrambi i sessi.
Questo comporta casomai un problema di uguaglianza tra cittadini. Trattamenti speciali, esenzioni, provvedimenti ad hoc, normative transitorie consentono ai più di lasciare in anticipo. Coloro che sono costretti ad attendere l’età legale senza scappatoie sono una minoranza di sfavoriti.
Un paradosso è che gli uomini andavano in pensione più tardi di oggi (tra i 63 e i 64) negli Anni 70, quando la loro vita durava in media una decina di anni in meno rispetto a quanto possono sperare i loro coetanei attuali. Per giunta, c’erano in proporzione molti più giovani a versare contributi.
Dato che la spesa previdenziale ammonta a un terzo del bilancio dello Stato, ciò che si decide sulle pensioni influenza moltissimo la sostenibilità del nostro debito pubblico. Va ripetuto che le colpe del debito le hanno i governi passati - 1981-92 e 2000-2004 i periodi peggiori - ma necessariamente chiunque guidi il Paese oggi ha margini di manovra limitati.
Un allentamento delle regole pensionistiche ha costi contenuti all’inizio, rapidamente crescenti nel tempo. Farebbe calare la fiducia nei titoli di Stato italiani proprio quando la Banca centrale europea annuncia - oggi pomeriggio - che ne ridurrà gli acquisti a partire dal gennaio 2018, con la conseguenza di un aumento dei tassi.
Certe promesse erano già ardue da sostenere nei tre anni di costo del debito ultra-basso finora garantiti al Tesoro dalle scelte di Mario Draghi. D’ora in poi divengono incaute. Inoltre nei momenti in cui l’economia va bene, come ora, occorre metter da parte risorse per i momenti brutti (una delle ipotesi correnti è che gli Usa vadano in recessione entro 1-2 anni).
Stefano Lepri