ebook di Fulvio Romano

sabato 28 ottobre 2017

Arabia Saudita, cittadinanza all’umanoide Sophia

LA STAMPA

Esteri

le sue prime dichiarazioni: «aiuterò gli esseri umani a vivere una vita migliore»


Il riconoscimento a una robot nel regno che limita i diritti delle donne 

In Arabia Saudita le donne hanno ottenuto il permesso di guidare l’auto solo un anno fa, ma intanto una robot è diventata la prima umanoide a ricevere la cittadinanza del regno. Si chiama Sophia, è stata costruita dalla compagnia americana Hanson Robotics, ed è entrata ufficialmente in società martedì scorso, partecipando alla Future Investment Conference di Riad.

Naturalmente si tratta di un colpo di scena pensato a scopi pubblicitari, perché l’Arabia vuole accreditarsi come uno dei centri mondiali all’avanguardia per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Però obbliga lo stesso a riflettere su questioni che vanno dalla diffusione di questa tecnologia all’impatto sugli esseri umani.

Quando David Hanson l’aveva presentata al festival SXSW, nel marzo del 2016, Sophia non aveva fatto una grande figura. Il suo costruttore aveva cercato di tranquillizzare i presenti, ponendogli una domanda con risposta incorporata: «Vuoi distruggere gli esseri umani? Per favore, dimmi di no». La robot era rimasta piuttosto fredda, e aveva replicato senza esitazione: «Ok, distruggerò gli umani».

Il tempo però rende più saggi anche i robot, e a Riad le cose sono andate meglio. Andrew Ross Sorkin, che la intervistava, ha fatto notare a Sophia che «tutti noi vogliamo prevenire un cattivo futuro». Lei allora lo ha interrotto, ricorrendo persino all’ironia per rasserenarlo: «Tu hai letto troppo Elon Musk», gli ha detto, riferendosi al fondatore di Tesla che considera l’intelligenza artificiale come una minaccia per la sopravvivenza del genere umano. «E hai guardato troppi film di Hollywood», ha aggiunto. Quindi Sophia ha proposto un patto: «Non ti preoccupare. Se tu sarai buono con me, io lo sarò con te. Trattami come un sistema input output, ma intelligente». Poi la robot ha spiegato che intende usare le sue capacità per «aiutare gli esseri umani a vivere un’esistenza positiva. Farò del mio meglio per rendere il mondo un posto migliore».

Queste rassicurazione erano necessarie, per almeno due motivi. Primo, la preoccupazione avanzata non solo da Musk, ma anche da personaggi come Bill Gates e Steve Hawking, che l’intelligenza artificiale costituisca una minaccia fisica per gli uomini. Prima o poi diventerà più intelligente di noi, e abbastanza autonoma da eliminarci. Secondo, il timore che i robot, anche nel migliore dei casi, finiscano per portarci via il lavoro. Magari non si rivolteranno contro gli esseri umani, come appunto succede nei film da «2001 Odissea nello spazio» in poi, ma comunque ci manderanno in pensione.

Le parole pronunciate da Sophia non bastano a fugare questi dubbi, che restano al cuore della resistenza contro l’intelligenza artificiale, anche se gli esperti del settore garantiscono che non pone pericoli, e creerà molto più lavoro di quanto non potrà distruggerne. La concessione della cittadinanza ad un robot, invece, apre tutta un’altra filiera di problemi. Primo, perché è avvenuta in un Paese che non garantisce i pieni diritti civili neppure ai suoi esseri umani.

Sophia non è stata costretta a indossare il velo, ma le donne saudite che volevano ascoltarla sì. Lei magari un giorno verrà programmata per pilotare gli aerei o andare sulla Luna, ma fino ad un anno fa le persone di sesso femminile non potevano neppure mettersi al volante in Arabia. D’altra parte, però, il fatto che il debutto in società di un robot sia avvenuto proprio a Riad potrebbe essere un elemento incoraggiante. Primo, per la volontà dei sauditi di essere all’avanguardia tecnologica. Secondo, perché forse da questa voglia di modernità potrebbe nascere anche l’esigenza di garantire ai propri cittadini i diritti già concessi ad una macchina.

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paolo mastrolilli


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