Cultura
«E se non funziona?». «Se non funziona compriamo tutto!».
Le parole dell’alto funzionario della Federal Reserve in risposta alla mia domanda sembravano iperboliche all’inizio della crisi finanziaria del 2008. Pochi mesi dopo, si rivelarono profetiche.
Con l’economia globale sull’orlo del precipizio, la Fed e le altre banche centrali incominciarono a comprare di tutto: pezzi di banche e obbligazioni governative, debiti di società private e poi mutui, monete, prestiti marci di istituzioni finanziarie e chi più ne ha più ne metta.
La grande svendita del millennio permise a Ben Bernanke, Janet Yellen e Mario Draghi di pompare miliardi e miliardi nelle proprie economie ed evitare che la Grande Recessione si trasformasse in un remake della Grande Depressione degli Anni 30.
Ieri, Draghi ha incominciato a smantellare l’impalcatura costruita quasi dieci anni fa per puntellare la traballante zona euro. I mercati non si sono mossi molto perché si aspettavano la decisione della Banca centrale europea: continuare a comprare obbligazioni almeno fino a settembre dell’anno prossimo ma dimezzandone il totale da 60 a 30 miliardi di euro al mese.
Ma attenzione a scambiare quest’indifferenza per una dichiarazione di fiducia nelle politiche attuali delle banche centrali. La domanda sulla bocca di mercati, finanzieri ed economisti è la seguente: è possibile che Draghi & co., nel fervore di salvare l’economia mondiale, abbiamo gettato i semi del prossimo crac?
E’ una questione di tempismo. La paura di molti a Wall Street e nella City di Londra è che il denaro a prezzi stracciati iniettato dalle banche centrali nelle vene dell’economia per quasi un decennio abbia drogato imprenditori, società e consumatori. E che il ritiro dello stimolo sia troppo lento, troppo pacato e troppo in ritardo per evitare bolle finanziarie.
Il meccanismo è semplice. Come per altri beni, tagliare il costo del denaro ne aumenta la domanda. Il problema è che, in questo caso, il settore pubblico e quello privato si sono abboffati di debito, creando condizioni simili a quelle che causarono il terremoto del 2008.
Negli Usa, il debito emesso da società sarà a livelli record per il sesto anno consecutivo, nonostante il fatto che la Fed abbia incominciato a tagliare gli stimoli ben prima di altre banche centrali. Nel Regno Unito, il livello d’indebitamento dei consumatori è quasi al livello del 2008. E se, come si aspettano in molti, la Banca d’Inghilterra alza i tassi d’interesse la prossima settimana, cittadini e società finanziarie incominceranno a soffrire ancor prima della Brexit.
In Europa, il problema sono i debiti pubblici - viva l’Italia che spende 4 percento del Pil ogni anno solo per pagare gli interessi sulla sua montagna di debito - e il settore immobiliare - occhio a Francoforte e altre grandi città tedesche.
E’ vero che la zona euro sta crescendo bene (a differenza della Gran Bretagna) e che, per ora, l’inflazione è sotto controllo, checché ne dicano le solite Cassandre teutoniche. Ma è anche vero che, se la Bce appende gli assegni al chiodo, Draghi non riuscirà a controllare l’economia come in passato. E, prima o poi, la Bce dovrà alzare i tassi, mettendo a dura prova il sistema finanziario.
Sarebbe ingiusto dare la colpa alle banche centrali per aver causato la prossima crisi finanziaria, soprattutto perché sono intervenute per salvare il mondo dalla rovina.
Ma la crudele ironia di questo frangente economico è che neppure le istituzioni più potenti del mondo - la Fed e la Bce - hanno la capacità di fermare la locomotiva che hanno costruito. Il vero pericolo per l’economia mondiale è passare da «compriamo tutto!» a «svendiamo tutto»!
Francesco Guerrera è
Direttore di Dow Jones Media Group in Europa: francesco.guerrera@dowjones.com. Twitter: @guerreraf72
Francesco Guerrera