ebook di Fulvio Romano

martedì 31 maggio 2016

Ma il latte fresco è ancora della Valle Stura?

LA STAMPA

Cuneo

(Ndr: riporto pezzo de La Stampa di oggi sulla cessione del latte fresco dalla cooperativa Valle Stura ad Alberti. Il titolo sembrerebbe tranquillizzare gli utenti - tra cui il sottoscritto- sulla continuità dei fornitori.. Il che vorrebbe dire che il latte fresco non cambia col passaggio di proprietà... In realtà nel pezzo si dice poi che i 70 conferitori storici della cooperativa non conferiranno più il loro latte fresco ad Alberti, ma continueranno a farlo con la cooperativa stessa per gelati e creme...

Ma allora? Il latte Alberti ex Valle Stura da dove arriva? Come fa la Alberti  a parlare di 'continuità con i fornitori cuneesi' ? 


Demonte, alberti ha rilevato ramo d’azienda della coop

“Per il latte fresco Valle Stura

continuità con i fornitori cuneesi

e potenzieremo la distribuzione”

Continua a chiamarsi latte fresco Valle Stura, ma da due mesi la storica cooperativa con sede a Demonte (70 soci conferitori, nata nel 1957) ha ceduto un ramo di azienda allo storico marchio «Latte Alberti», con sede a Pontedassio, nell’entroterra di Imperia.

La cooperativa

Livio Bertolotti è il direttore dello stabilimento di via Divisione Cuneese 9 a Demonte: «Abbiamo ceduto il marchio di latte e latticini. Una decisione sofferta, ma che ci ha permesso un rilancio. Avevamo maturato l’esigenza di dover cambiare radicalmente attività: il latte fresco ha una concorrenza forte, si basa sui volumi e non sul valore. Anche se per mezzo secolo è stato il latte la nostra forza abbiamo deciso di passare verso produzioni con più margini. I soci conferitori hanno capito, anche se a quel marchio erano legati da affetto e orgoglio». 

Oggi anche i problemi di liquidità sono alle spalle. Nello stabilimento di Demonte si producono ancora gelati e creme con la dicitura «Valle Stura» (dalla panna alle creme dessert e cioccolata calda), oltre alla produzione di latte a lunga conservazione Uht (non più a marchio Valle Stura).

I dipendenti sono 20. Con la cessione del ramo latte fresco e latticini, il fatturato da 10 milioni l’anno si dimezzerà per la cooperativa.  I dipendenti passati alla «Latte Alberti» sono 4 (altri 4 hanno scelto il prepensionamento grazie agli incentivi ottenuti con un accordo sindacale), mentre 3 addetti che si occupavano di confezionamento del latte sono stati ricollocati nel caseificio. I 70 soci conferitori continuano a garantire il loro latte alla cooperativa per le altre produzioni e non più per quello fresco. 

Amministratore delegato

Ora sarà Latte Alberti a confezionare e commercializzare il latte con il marchio Valle Stura. Spiega l’amministratore delegato Alberto Alberti: «Con Valle Stura 30 anni fa eravamo competitor, ma adesso lavoriamo in sinergie sempre più strette. Abbiamo costituito ex novo la società “Valle Stura srl”, sede a Genola, e cambiato di poco il packaging, mantenendo loghi e il bianco e blu del marchio. Potenzieremo la distribuzione e abbiamo mantenuto i fornitori cuneesi. Per l’Uht siamo ancora clienti della cooperativa».

Latte Alberti è un gruppo da oltre 100 dipendenti con 24 milioni di fatturato. Con l’acquisizione dovrebbe passare a 30 milioni in 12 mesi. [l. b.]

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mercoledì 25 maggio 2016

Il congresso anticipato tra Enrico e Matteo Una sfida democristiana senza più la Dc

LA STAMPA

Italia


Lontani dai dualismi Fanfani-Moro o Forlani-De Mita, e destinati a scontrarsi

Annunciato ieri dal nuovo, duro scontro personale tra Enrico Letta e Matteo Renzi, il congresso del Pd è cominciato molto prima della scadenza ravvicinata che il segretario-premier aveva offerto ai suoi avversari nell’ultima direzione. La novità è che rispetto alle volte precedenti - e alla tormentata esistenza del partito fondato nel 2007 da Veltroni e sottoposto, in soli otto anni, a ben cinque cambi di leader con modalità da rodeo e disarcionamenti di quelli che non si vedevano neppure nella Prima Repubblica -, non sarà una riedizione della tradizionale partita tra post-comunisti e post-democristiani, alternatisi finora al vertice del partito tra fragili tregue correntizie e guerriglie permanenti. No, sarà un vero congresso Dc, con due candidati - appunto Renzi e Letta - che vengono dalla stessa matrice cattolica di sinistra, e con i comunisti, o quel che ne rimane, nella parte che a suo tempo giocavano i dorotei, il ventre molle dello Scudocrociato, che sapevano sempre fiutare l’aria e schierarsi in tempo nei momenti di svolta.

Per Letta l’inizio della corsa e la fine dell’esilio francese in cui si era ritirato dopo la brusca esclusione da Palazzo Chigi - il famoso tweet «Enricostaisereno» seguito dall’apertura della crisi da parte di Renzi - datano poco più di un mese fa, il 12 aprile. In quella data l’ex-premier, dal suo studio di professore a Sciences Po a Parigi, rilascia un’intervista alla «Stampa» in cui annuncia che voterà «Sì», in accordo dunque con Renzi e la sua riforma, al referendum costituzionale di ottobre; e invece, in dissenso dalla campagna astensionista del premier, tornerà invece in Italia il 17 aprile per votare «No» alla consultazione sulle trivelle. Cinque settimane dopo, il 21 maggio, quattro giorni fa, il leader della minoranza Pd Bersani, in un’altra intervista alla «Stampa», attacca Renzi per l’eccessiva personalizzazione data sul referendum e la sovrapposizione tra le due campagne che può danneggiare la corsa per i sindaci. E a una domanda su Speranza e Letta, i due possibili candidati anti-Renzi alle prossime assise Democrat, lascia intendere che il primo, rispettabilissimo, non è in discussione, mentre il secondo potrebbe essere l’uomo adatto per separare il ruolo del premier da quello del segretario del partito. Se a ciò si aggiunge che Bersani, nell’intervista, insiste sull’errore di Renzi di legare le sorti del governo all’esito del voto referendario e sostiene che anche in caso di vittoria del «No» la legislatura dovrebbe proseguire, la strategia precongressuale degli avversari del leader è chiaramente delineata. Al primo punto ci sarà la difesa delle riforme costituzionali che anche gli esponenti della minoranza Pd hanno votato in Parlamento, seppure considerandole «perfettibili». Così che se Renzi a ottobre dovesse andare incontro a una sconfitta, non si potrà dire che è stata colpa loro. Al secondo, la garanzia che chi nel Pd dovesse schierarsi con il «No» non dovrà essere trattato da reietto. Al terzo, la ridefinizione delle regole di convivenza interna che da tempo Bersani e i bersaniani rivendicano, ripetendo che non esiste più uno spazio per la discussione interna e il partito è ridotto a cinghia di trasmissione dei «tweet» del segretario, il quale poi va a braccetto con notabili locali che due anni fa avrebbe rottamato e si accorda con pezzi dell’ex-centrodestra come Verdini, assurti al ruolo di alleati privilegiati e in grado di snaturare l’originaria anima di centrosinistra del Pd. Per una battaglia come questa, va da sé, Letta è un candidato perfetto. Nonché per un eventuale ritorno a Palazzo Chigi, se le cose a ottobre per Renzi dovessero andare proprio male, con il governo, oltre che il partito, terremotati da un’eventuale vittoria del «No», e il Capo dello Stato nelle condizioni di dover costruire un esecutivo di emergenza, per rattoppare lo sbrego istituzionale, rimettere le mani sulla legge elettorale (che nel frattempo potrebbe essere in parte cassata dalla Corte costituzionale) e portare il Paese a elezioni alla scadenza naturale del 2018. Sono scenari di cui si parla, in questi giorni, nei corridoi semi deserti del Parlamento, mentre ogni giorno una polemica, uno scambio di accuse, un annuncio di vendetta dilania il maggior partito di governo. I democristiani che affollano il partito, formalmente, ma solo formalmente, renzianizzato, sentono l’odore del sangue e non vedono l’ora della sfida. I due toscani, Matteo e Enrico, il fiorentino e il pisano, sembrano fatti apposta per scendere nell’arena congressuale. Sebbene, a parte le inguaribili nostalgie dc, della Balena bianca, del partitone che sapeva dividersi ma anche ricomporsi, sia ormai rimasto ben poco. I due avversari non somigliano né ai «gemelli di San Ginesio» Forlani e De Mita, che si alternarono per oltre un ventennio sullo scranno più alto di piazza del Gesù, né ai «cavalli di razza» Fanfani e Moro, divisi dal potere e uniti contro la «linea della fermezza» nella tragica primavera brigatista del ’78. Non a caso, quando gli fu suggerito di prenderlo come ministro degli Esteri nel suo governo, Renzi rifiutò anche soltanto di ipotizzare la proposta, che forse Letta avrebbe rifiutato. Di lì è partita l’ultima guerra democristiana di questi due ex-ragazzi, cresciuti nel mito dei loro padri. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

marcello sorgi


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venerdì 6 maggio 2016

E che il boiaro Boeri attacchi i vitalizi dei politici per diminuire in realtà le pensioni di tutti?

LA STAMPA

Economia

Contrario

“Un’operazione illegittima

che colpisce i pensionati”

Antonello Falomi, segretario generale dell’Associazione ex parlamentari, non ci sta: «Boeri vuole colpire l’intera massa dei pensionati abbattendo su di loro la clava del ricalcolo contributivo con effetto retroattivo. Un’operazione illegittima. E se vuole usare i vitalizi come cavallo di Troia per aprire la strada verso questo obiettivo lo dica apertamente».

Insomma, la relazione del presidente dell’Inps Boeri non le è piaciuta affatto? «Intanto ha parlato di 2.600 vitalizi per un costo di 193 milioni. A me risultano dati diversi: 3.389 vitalizi compresi quelli di reversibilità per un costo totale, stando al consuntivo 2014 di Camera e Senato, di 195 milioni 381 mila euro. Lo sa cosa vuol dire?». No, cosa? «Che l’importo medio annuo dei vitalizi è di 57.651 euro. Per carità, una somma di tutto rispetto, ma non credo che possa definirsi stratosferica». Secondo Boeri, però, è comunque spropositato rispetto ai contributi versati. Concorda? «Faccio notare che se si applicasse il contributivo a tutte le pensioni erogate dall’Inps si risparmierebbero 40 miliardi di euro. Però il problema sono i 57 mila euro l’anno degli ex parlamentari. Poi c’è un’altra questione». Quale? «Nei suoi calcoli Boeri ha tenuto conto solo dei contributi versati dagli ex parlamentari o anche della quota parte a carico della camera d’appartenenza? Perché se non lo ha fatto la sproporzione di cui parla tra assegni e contributi sarebbe stata erroneamente accentuata». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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Acciughe, acciughe fresche.... (Di 5 giorni e al bisolfito!)

LA STAMPA

Italia

Prodotti stranieri e prezzi in picchiata

in Liguria scoppia la guerra delle acciughe 

La Coldiretti: costretti a distruggere il nostro pescato 

La stagione delle acciughe si annuncia promettente ma fra grossisti e pescatori è subito polemica. I primi accusano i secondi di prendere troppi pesci e di rovinare il mercato, i pescatori reagiscono puntando il dito sui grossisti che comprano acciughe in Spagna e in Croazia e li costringono a buttare le italiane. 

Tutto comincia nella notte fra giovedì 28 e venerdì 29 aprile, quando sui mercati liguri vengono sbarcate 6000 casse di acciughe. I grossisti provano a dirottarle su Milano e Torino, ma alla fine metà prodotto non trova acquirenti perché abitualmente il mercato ne assorbe 1200-1300. Il prezzo crolla, 5 euro a cassa: in ogni cassa ce ne stanno 7 chili, e vale la pena di sottolineare come in questa stagione gli esemplari siano piuttosto piccoli, cioè non adatti a essere salati o cucinati.

I grossisti insorgono e Daniela Borriello, leader di Coldiretti Impresapesca, risponde per le rime: «Siamo costretti a distruggere il pescato per colpa vostra, importate dall’estero e trattate il prodotto per farlo durare». Vero. Per essere conservate quattro o cinque giorni, le acciughe straniere vengono immerse in acqua gelata e bisolfito: niente di velenoso, spesso si fa anche con i gamberi perché la testa non diventi nera, ma il gusto ne risente.

I grossisti si difendono sostenendo che non possono comportarsi diversamente, almeno per quanto riguarda il 20% della merce. Da quando i supermercati hanno aperto il comparto pesca il mercato è impazzito, perché se il pesce non è programmabile le esigenze delle grandi catene di distribuzione devono esserlo: e insomma le acciughe spagnole e croate costituiscono le scorte necessarie al business. Poi, se sopraggiunge il pescato locale, viene ovviamente preferito.

Daniela Borriello insiste, sostiene che ai grossisti conviene smerciare prima il prodotto estero perché è già pagato. Replica: si tratta di cifre molto basse, se il prodotto nostrano è disponibile anche il prezzo scende e a quel punto conviene tutelare la clientela.

Innocenti i dettaglianti, a parte casi isolati che però configurano il reato di truffa. Ieri mattina, alla celebre pescheria Gnin di Voltri, a Genova, le acciughe piccole costavano 4,90 euro e quelle grosse 8,90. Liguri doc. Nella medesima delegazione, patria dei pescatori genovesi, Beppe Bozzolo ricordava come «giovedì 28 abbiamo venduto tutto, fino all’ultima acciuga, e se il tempo tiene contiamo di fare un’ottima stagione. C’è tantissimo pesce, e infatti il mare è pieno di tonni». [r. s.].

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domenica 1 maggio 2016

Primo maggio di ghiaccio: Cuneo, minima di 4º-massima di 8,1º....!!!!

CapoluogoMinima (°C)
30/04/2016
Massima (°C)
30/04/2016
Minima (°C)
01/05/2016
Massima (°C)
01/05/2016
Grafico
TORINO7,718,86,212,0vai 
BIELLA7,217,46,212,3vai 
VERCELLI8,721,47,512,0vai 
NOVARA8,720,27,611,2vai 
VERBANIA7,513,87,014,8vai 
CUNEO6,917,54,08,1vai 
ASTI9,519,07,411,9vai 
ALESSANDRIA5,522,27,912,9vai 

C'è del bianco sulla Gorba