ebook di Fulvio Romano

martedì 31 ottobre 2017

Gole profonde, riciclaggio e fisco per arrivare fino alla Casa Bianca

LA STAMPA

Esteri


Il procuratore Mueller punta sulle rivelazioni degli inquisiti

Sospetti di collusione con Mosca sulla famiglia del presidente 

Le incriminazioni di Manafort, Gates e Papadopoulos minacciano Trump per tre motivi: «Primo, li spingono a collaborare col procuratore Mueller; secondo, potrebbero rivelare una linea di corruzione che arriva fino al presidente; terzo, costituiscono il potenziale canale e la motivazione per la collusione con Mosca».

La fonte che ci aiuta a capire gli ultimi sviluppi e le prospettive del «Russiagate» è molto vicina agli ambienti impegnati nell’inchiesta. «I capi di accusa - spiega - sono molto gravi e piuttosto facili da dimostrare. Manafort rischia una condanna ad almeno dieci anni di prigione, che alla sua età significa l’ergastolo. Quindi ha un forte interesse a collaborare con Mueller, per ridurre la pena. Il procuratore lo sfrutterà per ottenere informazioni sulla campagna, che vadano oltre i suoi reati finanziari. Manafort potrebbe tacere, sperando nel perdono presidenziale, ma questo atto creerebbe un grave problema politico per Trump, perché sarebbe peggio di Ford che salva Nixon. Se poi il presidente licenziasse Mueller, verrebbe abbandonato dal suo stesso partito. Gates è ancora più debole, e potrebbe cedere prima. Papadopoulos invece ha già iniziato a cooperare, e il suo caso riguarda direttamente la collusione con la Russia nella campagna: ora si tratta di vedere quanto in alto può arrivare».

La Casa Bianca sostiene che l’incriminazione di Manafort e Gates non minaccia Trump, perché riguarda eventuali reati finanziari commessi prima delle elezioni: «Questo è vero, ma fino ad un certo punto. Come prima cosa, il riciclaggio per essere tale va collegato ad un reato: nascondere i soldi a tua moglie - ad esempio - non basta per portarti in tribunale. Ma se il crimine che giustifica l’accusa di riciclaggio è legato in qualche maniera all’attività politica svolta da Manafort per Trump, ecco che la campagna presidenziale rischia di essere tirata in ballo». Anche la natura del reato contestato al manager mette in pericolo il presidente: «Manafort avrebbe riciclato fondi ricevuti dai russi per il suo lavoro in Ucraina, usando conti bancari aperti a Cipro. Ora Mueller potrebbe investigare se Trump, i suoi famigliari o la sua organizzazione hanno fatto qualcosa di simile. Hanno evaso le tasse? Hanno riciclato soldi provenienti da Mosca? Il procuratore a questo punto possiede gli stessi documenti che ha del manager anche per il presidente, ha tutte le sue transazioni finanziarie e le dichiarazioni dei redditi. E’ improbabile che Trump, i suoi famigliari o la sua organizzazione abbiano usato gli stessi conti di Manafort, ma non è escluso che abbiano impiegato le stesse tecniche o magari gli stessi intermediari. Questa è certamente una linea che gli investigatori stanno seguendo, e rientra nel loro mandato, perché potrebbe costituire la motivazione della collusione».

Il terzo elemento che interessa a Mueller, infatti, è proprio questo. «La Casa Bianca dice che le incriminazioni non riguardano la campagna elettorale, ma non è così sicuro. Alcune presunte attività criminali di Manafort sono avvenute mentre era il manager di Trump, ed è davvero sorprendente che nessuno sapesse nulla. Condurre un’inchiesta sul background di una persona che svolge una funzione così importante è la prassi per ogni partito, e nel caso di Manafort bastava fare una ricerca su Google per scoprire i suoi legami con i russi in Ucraina. Allora i casi sono due: o la campagna repubblicana è stata così negligente da non avviare nemmeno questa minima verifica per proteggere la propria integrità, oppure i legami tra il manager e Mosca non erano considerati un problema. Questo naturalmente alimenta il sospetto che Trump li avesse condivisi perché erano nel suo stesso interesse, riaprendo l’intera questione della collusione, che potrebbe essere confermata e allargata dalle rivelazioni di Papadopoulos». 

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paolo mastrolilli


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