ebook di Fulvio Romano

giovedì 28 giugno 2018

Ponente: 15 Balenottere al largo

LA STAMPA

Imperia

Balenottere comuni, avvistamenti record

La stagione di “Tethys” parte con il botto

Gruppo di quindici esemplari al largo del Ponente: arrivano grazie al plancton trasportato dalle correnti

Avvistamenti record di balenottere comuni nel Santuario dei cetacei del Mar Ligure. Una concentrazione eccezionale di plancton ha attirato, a partire da questa settimana, un gran numero di balene, normalmente anime solitarie. I gamberetti eufasiacei (krill) regalano al Ponente uno spettacolo davvero raro: gruppi di balenottere che nuotano insieme, ingurgitando il loro cibo preferito.

L’altro giorno una delle barche di Whale watch Imperia ha incontrato un gruppo di 15 balenottere, ieri gli studiosi di Tethys ne hanno viste ben 12 assieme, e poi altre tre. «Le balenottere sono sempre presenti in questa zona - spiega la biologa Sabina Airoldi - ma concentrazioni di questo tipo sono rare. Soltanto alcune settimane fa ne erano state avvistate tante al largo di Tolone, durante alcuni sorvoli aerei, finanziati da Accobams (un accordo per la conservazione dei cetacei)». In seguito, evidentemente, le correnti hanno trasportato al largo della Liguria il plancton di cui le balenottere sono ghiotte e sono arrivate anche loro. Nel Santuario Pelagos si muovono alcune centinaia di balenottere: a seconda degli anni ne sono state contate da 150 a 900, nell’area marina protetta che si estende per 87.500 chilometri quadrati, creata grazie all’accordo tra Italia, Francia e Principato di Monaco, e che si sviluppa in un maxi triangolo tra le isole Porquerolles in Francia, la Sardegna e l’area dell’Asinara.

Ma non ci sono soltanto le balenottere. Pelagos ospita anche 38 mila stenelle, un tipo di delfino che è facile incontrare al largo. E, da circa tre anni, i tursiopi, delfini costieri facilmente avvistabili (e per questo molto amati e conosciuti, ambasciatori di altre speci e del mare in generale) che prediligono i fondali sabbiosi degradanti dolcemente e che, non si sa ancora per quale motivo, abbiamo scelto di stabilirsi in questa porzione di mare. Ci sono poi le tartarughe, veri e propri incontri magici, a distanze variabili dalla costa. E le mobule, «cugine» delle note mante, in sostanza squali piatti, che possono raggiungere una apertura alare di due metri e oltre, e che «volano» tra i flutti e le correnti. 

Da maggio le imbarcazioni di Tethys, in collaborazione con Flash Vela d’Altura di Sanremo, e quelle di Whale watch Imperia escono in mare alla ricerca di esemplari da studiare e mappare. Un’attività che non è soltanto per i tecnici: i pomeriggi in barca sono un’attrazione turistica importante su cui, finalmente, il Ponente ligure sta iniziando a puntare. Anche perchè, mentre in altri luoghi del pianeta (tanto per fare qualche esempio, il Sud Africa, Australia, California) le uscite in mare sono condizionate e limitate dalle stagioni (si esce soltanto alcuni mesi l’anno), la Liguria può regalare spettacolari avvistamenti durante l’arco di tutti i dodici mesi. Anche se ad oggi non ci sono ancora operatori che hanno organizzato servizi di questo tipo. Ma il potenziale, come più volte ha sottolineato Sabina Airoldi di Tethys, è altissimo. Come si pubblicizza la ciclabile, per allenarsi all’aria aperta anche in inverno, si possono promuovere le uscite in mare anche nei mesi più freddi. 

In ogni caso, la stagione estiva promette bene. Le uscite sono programmate da Sanremo, Imperia, Andora e Bordighera con Whale watch Imperia. E anche gli studiosi di Tethys sono al lavoro, grazie al sostegno di Flash Vela d’Altura di Sanremo, di Porto Sole e di Olio Carli. 

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lorenza rapini

martedì 26 giugno 2018

La vita non è sacra

LA STAMPA

Prima Pagina

La vita non è sacra

Tutti da giovani abbiamo pensato che quelli prima di noi ci avessero lasciato un mondo schifoso. Poi c’è chi è cresciuto e chi no, ed è restato a vent’anni e ha continuato a dire che gli avevano rubato il futuro, o roba del genere. Qualcuno ha saggiamente ricordato ai ragazzi impegnati con la maturità, i ragazzi del ’99, che i loro coetanei di cento anni prima furono spediti sul Carso o sul Piave ad ammazzare e a essere ammazzati. A proposito di furto del futuro. Avevano quattordici anni quando nel 1913 Giovanni Papini (un gigante, tuttavia) scrisse sulla Lacerba che «la vita non è sacra». Molti la pensavano così, e si andò al macello. Invece Nausicaa accolse Ulisse, un misero naufrago, perché «vengon tutti da Zeus, gli ospiti e i poveri». Era un naufrago Ulisse, lo era Perseo, lo erano Romolo e Remo, salvati perché la vita è sacra. E dal naufragio nascono le nostre civiltà. Ma tutto questo è inutile, è elitario, buonista, e non c’è un naufrago solo, ce ne sono centinaia ogni giorno. È un’emergenza e davanti all’emergenza si cede all’eccezione. Due navi hanno aspettato per giorni con il loro carico di naufraghi, 230 sulla Lifeline, una nave di una organizzazione non governativa ancora al largo, e 108 sulla Maersk, un cargo danese attraccato ieri notte. Al di là della raggelante disputa politica continentale, la storia della Maersk è abnorme: viaggiava per le sue rotte commerciali, si è imbattuta in questi poveracci, li ha salvati ma poi nessuno voleva che li sbarcasse. Soltanto per dire ai ragazzi del ’99 che gli è toccata in sorte un’altra epoca - una delle tante - in cui la vita non è più sacra.

lunedì 25 giugno 2018

Prima crisi del “ modello Toti

LA STAMPA

Savona

“U ministru”

il modello Toti

e i nuovi scenari

del prossimo anno

Ancora un fallimento per il «modello Toti» nel Ponente. Claudio Scajola alla sua discesa in campo ha vinto. Punto e basta. Prima di tutto ha battuto il «suo» centrodestra, imponendosi al ballottaggio su Forza Italia-Lega-Fratelli d’Italia e mettendo in non poco imbarazzo il nipote Marco Scajola, quel coordinatore provinciale degli Azzurri (e assessore nella giunta-Toti) che a queste amministrative di giugno è rimasto con un pugno di mosche in mano. Scajola il centrosinistra civico lo aveva liquidato già al primo turno, bruciando anche il «vantaggio», o presunto tale, dell’amministrazione uscente. Con i pentastellati non c’è stata neppure partita. Il capoluogo ha scelto «u ministru», forte del suo legame con il territorio e le persone. Granitico nonostante gli scandali e le tempeste giudiziarie. E al ballottaggio di ieri non c’è stata nessuna mobilitazione generale per un colpo di coda contro Scajola. 

Il voto di Imperia, oltre a segnare la rinascita politica dell’ex ministro, ha un peso indubbio nello scenario che, tra meno di un anno, vedrà confrontarsi con il voto altre due città-chiave del Ponente: Sanremo e Ventimiglia. Nella città del Festival e dei fiori il sindaco sostenuto dalle liste civiche di centrodestra dal Pd non ha mai voltato le spalle a Scajola, e dall’altra parte il centrodestra tradizionale si divide tra modello Toti e fedelissimi a «u ministru». Situazione di massima incertezza. Nella città di confine ha invece già annunciato la candidatura l’ex sindaco «azzurro» commissariato dalle inchieste antimafia e riabilitato dal Consiglio di Stato, un altro esponente delle vecchia guardia del centrodestra. 

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giulio gavino

sabato 23 giugno 2018

Sorgi: la politica dei tre linguaggi

LA STAMPA

Cultura

la politica

dei tre linguaggi

Marcello Sorgi

L’Italia è sempre stata un Paese difficile da capire per i nostri interlocutori stranieri. E basta andarsi a rileggere cosa scriveva nei suoi diari Henry Kissinger, parlando di Moro e Andreotti in un’epoca in cui doveva considerarli alleati strategici di Washington, per capire che ne avrebbe fatto volentieri a meno. In tempi più recenti ci fu una volta in cui ci presentammo a un vertice europeo a Parigi con due presidenti del consiglio, uno in carica (De Mita) e uno incaricato (Andreotti), subito definiti, pe r divertimento, «la strana coppia». L’aneddottica e i libri di ricordi dei grandi ambasciatori in pensione sono ricchi di episodi singolari: ma in fondo l’Italia è stata sopportata, blandita, e perché no, apprezzata nei consessi internazionali, grazie al fatto che con tutte le sue eccentricità ha sempre saputo stare al suo posto, fedele alle sue alleanze tradizionali, rispettosa della sua storia di Paese fondatore dell’Europa, solidale, attenta, legata ai suoi principi costituzionali.

È proprio per queste ragioni che quanto sta accadendo in questi giorni, da quando si è presentato sulla scena il governo giallo-verde, è destinato a suscitare reazioni di sconcerto, se non peggio. Perfino per i nostri partner più avvezzi a oscillazioni e ambiguità degli esecutivi precedenti, infatti, è impossibile valutare di chi fidarsi, se Roma parla con tre linguaggi differenti, e spesso opposti tra loro. La posizione ufficiale, dal Canada del G7 ai recenti incontri bilaterali con la Merkel e Macron, è stata rappresentata, com’è ovvio, dal presidente del Consiglio Conte, che per il ruolo che ricopre dovrebbe avere l’ultima parola. L’accoglienza fin qui favorevole tributatagli da Trump in poi lascia capire che il professore, un po’ per cautela e un po’ per inesperienza, sia stato di poche parole nei colloqui faccia a faccia, limitandosi a confermare lo spirito di collaborazione, consentendo ove possibile, prendendo tempo quando necessario, e riservando solo timidi accenni ai punti più spinosi del contratto di governo nelle conferenze stampa, ad uso di telecamere e di rassicurazione dei suoi potenti danti causa leghista e pentastellato.

Laddove le relazioni si sono spostate dall’iniziale ufficialità cerimoniosa dei primi ministri all’indispensabile approfondimento tra titolari delle singole responsabilità, però, la natura una e trina del governo ha subito preso piede. Ai toni ultra prudenti di Conte s’è così affiancato il suono delle trombe del «monocolore Salvini», che non accontentandosi di far campagna elettorale quotidiana in Italia, ha immediatamente dispiegato una politica estera alternativa: se Conte incontrava la Merkel, cercando di tenersela buona, il vicepremier leghista si rivolgeva al suo omologo tedesco, il ministro dell’Interno Seehofer, che per inciso è al momento l’avversario più pericoloso per la Cancelliera. E nel giro di pochi giorni stabiliva un asse con il gruppo dei quattro Paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), con cui condivide l’idea di un blocco totale delle frontiere per gli immigrati, anche se questa nuova alleanza punta a realizzarlo a spese dell’Italia.

L’impeto con cui Salvini ha condotto la sua campagna - proponendo di disertare l’appuntamento informale con Germania, Francia e Spagna di domenica - è stato tale da spingere anzitempo il presidente francese Macron a raccomandare a Conte di ristabilire un corretto schema di relazioni tra numeri uno di ogni Paese, per evitare ulteriori confusioni. D’altra parte, Salvini ha una strategia chiarissima, che tra l’altro sta risultando molto redditizia per la Lega nei sondaggi e in vista dei prossimi ballottaggi nelle città di domani. Punta a oscurare l’alleato pentastellato per far credere agli elettori che è inutile votarlo, e se vogliono raggiungere rapidamente gli obiettivi per cui si sono schierati il 4 marzo, non devono fare altro che contribuire ad aumentare il peso nel governo del Carroccio e di Salvini. Che come sta facendo in questi giorni, orientando dalle piazze ogni scelta di Palazzo Chigi, s’è impadronito anche della battaglia contro i vaccini, mentre la neo-ministra della Sanità 5 Stelle Grillo si barcamenava.

Che l’altro vicepremier Di Maio si batta per riaffermare la lettera del «contratto» e del programma concordato tra i due partiti della maggioranza, a questo punto, è inutile, dato che il leader della Lega comanda e dirige, mandando «bacioni» a chi lo contraddice e tenendo un randello nascosto dietro la schiena per chi provi davvero a contrastarlo. Resta il fatto che per i nostri trascurati partner internazionali, qualche valore continuano ad averlo, oltre al «contratto», le rassicurazioni che un autorevole ministro tecnico come Tria dà quotidianamente, garantendo che l’Italia non vuole uscire dall’euro e spiegando, come ha fatto all’Eurogruppo, che il reddito di cittadinanza non sta nella realtà. Vederle capovolte tutti i giorni non aiuta. Da Washington a Bruxelles, a Berlino e a Parigi, vorrebbero sapere a chi credere, se a Conte e Tria, a Salvini o a Di Maio. Ma al momento non è dato.

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venerdì 22 giugno 2018

Sorgi: Propaganda senza governo

LA STAMPA

Italia

Propaganda

senza

governo

Arricchita, si fa per dire, dall’ultima polemica di Salvini contro lo scrittore antimafia Saviano, che ha ricevuto larga solidarietà, ma ha offerto involontariamente al leader leghista una nuova tribuna mediatica, la campagna elettorale più lunga della recente storia repubblicana forse si avvia a conclusione con i ballottaggi di domenica. Il forse è d’obbligo, dato che i nuovi protagonisti del quadro politico completamente mutato della Terza Repubblica hanno fin qui dimostrato un’assoluta bulimia di voti. Non gli è bastato vincere il 4 marzo- sia pure senza conquistare una maggioranza autonoma e dovendo ricorrere alla loro inedita alleanza -; né riuscire, tre mesi dopo, ad approdare al governo; né ricevere nel frattempo conferme da tutte le consultazioni parziali, sebbene i risultati siano sempre stati più favorevoli a Salvini e al centrodestra che non a Di Maio e ai 5 stelle.

Ed è proprio per questo che anche questa vigila del 24 giugno ha via via acquisito un peso certamente superiore all’effettiva posta in gioco. Perché si tratta di vedere se dopo la mezza frana dell’Emilia-Romagna, la regione rossa per eccellenza, e dopo quella di Terni in Umbria, il terzo possibile smottamento annunciato di un’area un tempo a eterno radicamento d centrosinistra come la Toscana avverrà, e se sarà ancora in direzione del centrodestra o dei pentastellati. Oppure, non si può escludere dato ciò che è avvenuto al primo turno, il Pd a dispetto di ogni pessimistica previsione riesca a recuperare.

Da questo punto di vista la polemica di Salvini con Saviano - che il leader leghista ha costruito con l’obiettivo esplicito di sollevare un pezzo di opinione pubblica di sinistra per mobilitare contemporaneamente la propria - qualche sorpresa, almeno in fatto di mobilitazione di un elettorato stanco e portato all’astensione in una domenica di caldo estivo, potrebbe portarla. Non solò perché, diversamente da quel che dice Salvini, la lotta contro la mafia si fa anche con le parole. Ma anche perché i 5 stelle sono impediti dal cavalcarla, in forza dei loro impegni di governo con la Lega, e la “provocazione” del ministro dell’Interno in un largo pezzo di società civile potrebbe produrre l’effetto opposto. 

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Marcello sorgi


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martedì 19 giugno 2018

Sorgi: Vantaggi e rischi della filosofia dell’emergenza

LA STAMPA

Italia

Vantaggi

e rischi

della filosofia

dell’emergenza

Crea indignazione, ma raccoglie anche molti consensi, la campagna permanente di Salvini. La scorsa settimana l’arrembaggio nel mare in tempesta dell’immigrazione, ieri l’uscita sul censimento dei rom, tra l’altro illegale perché sancirebbe una discriminazione razziale nei confronti di una comunità in parte apolide e avente diritto d’asilo. Il leader leghista e neo-ministro dell’Interno ha capito che governare l’Italia è soprattutto far fronte alle emergenze, e alle volte crearle, piuttosto che realizzare programmi destinati a restare chiusi nei cassetti dei ministeri.

Non avrebbe potuto dispiegare in modo così perentorio il suo diktat sui «porti chiusi», senza l’emergenza della nave Aquarius. Ed anche se l’ipotesi del censimento dei rom si rivelerà impraticabile, o sarà sepolta, come ieri s’è visto fin da subito, da una valanga di reazioni contrarie, potrà sempre dire che se non è per oggi sarà per domani, quando il territorio nazionale, promette, sarà definitivamente restituito ai cittadini italiani.

Salvini può comportarsi così per due ragioni. Prima, perché anche le sue proposte più inammissibili incontrano consenso. Lo dicono i sondaggi che, dopo avergli attribuito una quota crescente degli elettori ex-Forza Italia, lo pongono in prospettiva davanti al Movimento 5 stelle. E seconda, perché anche il suo maggior alleato, il capo politico pentastellato Di Maio, condivide pienamente - salvo la presa di distanza di ieri sui rom - questa linea d’azione e vorrebbe fare lo stesso. Sulla sua scrivania di ministro dello Sviluppo economico e del lavoro sono approdati i dossier delle maggiori crisi aperte, a cominciare dall’Ilva. Ma Di Maio ha preferito partire dalla mediaticamente più visibile categoria dei precari «riders».

In fondo, anche questa coalizione è figlia dell’emergenza della «non vittoria» dei due partner di governo. Fino a settembre, quando i conti della manovra e i vincoli della legge di stabilità cominceranno a farsi sentire seriamente, i dioscuri Salvini e Di Maio potranno continuare a scegliere i terreni per la loro propaganda, rispetto alla necessità di trovare soluzioni per i problemi del Paese. Ma presto arriverà il richiamo della realtà. E sarà più brusco di quanto si aspettano.

marcello sorgi


venerdì 15 giugno 2018

la ricetta del portogallo per la ripresa

Rigore nei conti e riforme

la ricetta del portogallo

per la ripresa

Alessandro De Nicola

Amato o detestato, nessuno può rimanergli indifferente. Parliamo del portoghese Josè Mourinho, che fin dalla conferenza stampa di presentazione come allenatore dell’Inter, ad un giornalista che aveva fatto una domanda furbastra rispose con un memorabile «ma io non sono un pirla».

Ecco, questa frase sembra diventata il motto del governo portoghese di sinistra che ha vinto le elezioni nell’ottobre del 2015, frutto dell’alleanza tra i socialisti del premier Costa e due partiti di estrema sinistra che rappresentavano ben il 18,5% dei voti. Il Paese era in un periodo di flebile ripresa dopo aver applicato le ricette europee e del Fondo Monetario Internazionale resesi necessarie per rimediare a conti pubblici fuori controllo e ad un sistema bancario pericolosamente fragile. Nel 2013 la recessione aveva raggiunto livelli devastanti e dal Paese lusitano, che ha poco più di 10 milioni di abitanti, erano emigrati in ben 500.000 in soli pochi anni.

Il centrodestra aveva perso per un’austerità percepita come eccessiva che aveva comportato blocco dei salari pubblici, allungamento età pensionabile, un modesto inasprimento fiscale, taglio della spesa pubblica e così via. I mercati erano preoccupati che l’ingresso dei due partiti di ultrasinistra al governo con i socialisti, che solo qualche anno prima col premier Socrates si erano comportati da spendaccioni, avrebbe minato la stabilità finanziaria.

Dopo 3 anni, però, il deficit pubblico per il 2018, tenuto sotto controllo sia nel 2016 che nel 2017, si avvia a scendere allo 0,7% del Pil, la crescita è sul 2,5% annuo, il debito pubblico è diminuito nel 2017 di 4,3 punti rispetto al Pil ed oggi è circa al 124%. La disoccupazione è addirittura passata dall’11,1% del 2016 all’attuale 7,9%. Per il 2018-2019 tutti questi indici continueranno ad essere positivi, tanto che già quest’anno il deficit si restringerà allo 0,2 e il rapporto debito/Pil calerà di altri 3 punti. 

Per un breve periodo si era diffusa la leggenda metropolitana che la ripresa lusitana fosse dovuta a delle misure di espansione «keynesiana» in barba al rigore di bilancio. Niente affatto: rivendica il rigore nei conti lo stesso ministro delle Finanze portoghese, Mario Centeno. In un paper scritto a 4 mani con il suo capo economista per Vox, una rivista online di un centro studi, il ministro ricorda che la competitività portoghese è il frutto di prudenza di bilancio e riforme.

La spesa pubblica è passata dal 48,3% sul Pil del 2015 ad una previsione del 44,5% per il 2018, mantenendo le entrate invariate (in sostanza niente aumenti di tasse). Come si afferma nell’articolo, il governo si basa su una «prudente, rigorosa gestione delle finanze pubbliche» anche attraverso meccanismi strutturali di spending review che ottimizzi l’efficienza della spesa (suonerebbe familiare). Ma i progressi sono stati frutto anche dei provvedimenti presi dai governi precedenti che oltre ad iniziare l’austerity hanno reso più flessibile il mercato del lavoro (contratti a termine, orari elastici, malleabilità salariale, licenziamenti) e posto una grande enfasi al miglioramento del capitale umano portoghese. In pochi anni la percentuale dei laureati è aumentata sostanzialmente e la qualità degli studenti pure. Mentre ai test Pisa negli anni passati i risultati degli scolari lusitani erano ben sotto la media Ocse (l’organizzazione dei paesi sviluppati), ora sono al di sopra in tutte le materie, matematica, scienze, lettura.

Avendo saputo sfruttare al meglio i fondi europei, pure gli investimenti, pubblici e privati, sono cresciuti al di sopra della media Ue e si sono concentrati su infrastrutture, sanità, ricerca e sviluppo, innovazione, educazione.

Gli investimenti privati sono indirizzati verso i settori più esposti alla competizione internazionale, migliorandone l’efficienza e aiutando un forte aumento dell’export, senza bisogno di agire sul cambio e con robuste iniezioni di liberalizzazioni e deregolamentazione del mercato di energia, telecomunicazioni, trasporti, poste e professioni, avendo altresì perfezionato la normativa antitrust (sotto questo profilo, alto è il rammarico per le resistenze corporative italiane alla nostra legge sulla concorrenza).

Basta così. Contro ogni illusione di uscire dalla crisi stampando moneta, elevando barriere protezionistiche, facendo più debito, irrigidendo il mercato del lavoro, il piccolo Portogallo ci dà una facile lezione: senza rigore e riforme, zero tituli!

adenicola@adamsmith.it


martedì 12 giugno 2018

Scajola batte Toti ( l’antico è molto meglio del falso nuovo)

LA STAMPA

Imperia

“Un successo contro 

i sondaggi patacca”

Scajola: La gente vuole un sindaco che risolva i problemi

«E’ stato un grande successo. Di fronte a una parata di avversari ero in qualche modo da solo contro il resto del mondo, sia pur con una bellissima squadra di 120 candidati e 300 volontari: e ho ottenuto il risultato migliore, con 1500 voti di distacco dal secondo, Luca Lanteri (7397 contro 6012, ndr). Mi pare un dato molto significativo, tanto più quando veniva predicato, con un sondaggio patacca, un discorso opposto che mi vedeva addirittura al quarto posto». L’ex ministro Claudio Scajola, al suo rientro in politica per tentare di ottenere il suo terzo mandato come sindaco di Imperia, non nasconde la sua soddisfazione e si prepara al ballottaggio con Lanteri, fra due domeniche.

Ribadisce inoltre la definizione di «patacca» al «modello Toti» che candidava il suo avversario: «Non possono esistere modelli e diktat da fuori. Sono lieto che nel Ponente, con Ceriale, Alassio, Bordighera e Vallecrosia, si sia detta la parola fine a questo modello, che significa solo l’affermazione di una persona attraverso un’espressione delle autonomie». E aggiunge: «Imperia era l’unica città a non avere il simbolo di Forza Italia: c’era Forza Imperia. Berlusconi non avrebbe mai messo il simbolo di Forza Italia, col suo nome e la sua faccia contro di me».

Qual’è stata la formula vincente? «La città ha risposto al mio appello. La gente vuole un sindaco che risolva i problemi di Imperia, non sigle politiche vuote catapultate da fuori. Io sono andato in giro in mezzo alla gente, parlando dei problemi con i cittadini. Quando ho deciso di candidarmi per rendere un servizio a Imperia ho infatti pensato di dover avere un contatto più diretto con le persone. Ho girato casa per casa, negozio per negozio». Nonostante la sua lunga esperienza, lo schieramento di politici nazionali in appoggio ai suoi sfidanti lo ha fatto apparire come un candidato «contro il sistema», un «Davide contro Golia»: «Candidandomi, sono partito da un concetto: la città soffre e io voglio darle una mano. Nel darla, voglio ribellarmi contro chi non ha rispetto dei territorio e delle autonomie». Ancora: «Di fronte alla confusione dello scenario politico, con un atteggiamento di attenzione su Imperia “eterodiretto”, dove sono passati Salvini, Meloni, Gelmini, Del Debbio, Gasparri, per il centrosinistra Martina e Delrio, ho impostato una campagna col motto di “Imperia agli imperiesi”. come disse Pericle riferendosi ad Atene». Ora guarda al ballottaggio: «La distanza è ampia. I cittadini saranno liberi di scegliere fra me e il mio avversario». È già tempo di riprendere la campagna elettorale. 

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ENRICO FERRARI

Sánchez e la mossa antipopulista

LA STAMPA

Italia

Il nuovo governo di Madrid apre uno dei suoi porti, ma non accoglierà tutte le navi

I sindaci di Barcellona e Valencia lanciano la loro candidatura: “Mandate qui i profughi” 

Sánchez e la mossa antipopulista

“Noi non chiudiamo gli occhi”

Pedro Sánchez serviva un gesto per marcare le differenze. Dal predecessore Rajoy ,certo, ma anche dall’Italia e dal suo governo che si dichiara populista. La mossa è arrivata: «Valencia è un porto sicuro, noi non chiudiamo gli occhi». Ieri è stato il primo vero giorno di lavoro per il neo premier socialista spagnolo e «l’atto umanitario» verso i disperati della nave Aquarius segna l’agenda di un governo nato con un’operazione parlamentare, pienamente legittima, ma non certo benedetta dalle urne. Come nel 2004 Zapatero, appena arrivato alla Moncloa, ritirò le truppe dall’Iraq, così Sánchez nel 2018 apre i porti. 

La Spagna e i migranti

Tra le priorità dell’esecutivo, tuttavia, non compare, almeno per ora, un cambiamento di passo concreto rispetto alle politiche sull’immigrazione del governo di destra. Un esempio su tutti: nel 2015 Mariano Rajoy si impegnò ad accogliere 17 mila rifugiati, ma tre anni dopo in Spagna non se ne contano più di 1500. «Cambieranno le cose?», si chiede Podemos. Nessuna risposta per ora. Il governo socialista, spuntato fuori un po’ all’improvviso, sta raccogliendo consensi quasi trasversali e l’annuncio di ieri rafforza i sondaggi che vedono i socialisti in netta ascesa. Tratti distintivi: la presenza femminile (11 donne e 6 uomini) e un marcato carattere europeista. A Madrid nessuno interpreta il gesto di ieri come un aiuto al governo Conte, né tantomeno al ministro dell’Interno Salvini. Al contrario si tratta di mostrare valori contrapposti: «C’è una catastrofe umanitaria in corso, è nostro dovere intervenire». Le differenze insomma vengono esibite, non solo sulla questione migranti: mentre l’Italia discuteva su una presunta uscita dall’euro, Sánchez sceglieva come ministra Nadia Calviño, una delle più alte responsabili del bilancio comunitario. 

La linea da definire

La «catastrofe umanitaria» di queste ore richiede una decisione rapida, ovviamente, ma sul lungo periodo il nuovo esecutivo di Madrid non ha una linea ben definita. Nessuno, almeno in pubblico, ha posto obiezioni sulla scelta del premier, ma se l’Aquarius fosse soltanto il primo di una lunga serie di sbarchi l’unanimità è destinata a scalfirsi. Quello della nave rifiutata da Salvini non sarà certo il primo approdo del 2018, anzi. 

Gli arrivi in Spagna

Quest’anno sulle coste spagnole sono sbarcati 11.308 immigrati (dati Unhcr), con imbarcazioni più o meno di fortuna, contro i 13.706 dell’Italia. Ma quello che più colpisce è l’inversione di tendenza: l’aumento degli arrivi rispetto al 2017 è del 54%, mentre in Italia la diminuzione è del 79%. Questi dati, va detto, non hanno allarmato l’opinione pubblica più di tanto. L’immigrazione, in Spagna, non è oggetto di scontro politico anche per il fatto che la destra ha governato il Paese negli ultimi sette anni e perché non esiste un vero partito con posizioni xenofobe. Le uniche polemiche sono state del segno opposto: i sindaci dell’area vicina a Podemos, come Ada Colau a Barcellona e Joan Ribó a Valencia, hanno reclamato: «Il governo ci mandi i profughi». Anche il governo catalano ha chiesto di ospitare stranieri in fuga dalle guerre. Un anno fa la manifestazione per l’accoglienza ha riempito le strade, mentre tutta la città (compreso l’allenatore del Barça Ernesto Valverde) si è stretta attorno alla Ong Open Arms la cui imbarcazione era stata sequestrata dalla procura di Catania. Insomma, l’opinione pubblica, per il momento, non spinge certo per chiudere i porti. 

Le rotte

I migranti in Spagna arrivano soprattutto sulle spiagge dell’Andalusia. La distanza dal Marocco è tale che, con il mare calmo, basta un gommone per arrivare. Questo fa sì che, sebbene i numeri siano alti, non ci siano immagini bibliche come quelle di Lampedusa e Pozzallo. Ma le porte d’ingresso alla Spagna sono almeno altre due. La prima è l’aeroporto Barajas di Madrid dove atterrano molti immigrati dall’America Latina, che parlano il castigliano e che si integrano senza grandi problemi. La seconda è rappresentata dalle due enclave nell’Africa settentrionale, Ceuta e Melilla. Le due città spagnole sono letteralmente circondate da recinzioni altissime, impossibili da scavalcare. Chi ci prova, capita tutte le settimane, rischia di morire. Quei muri furono innalzati nell’era progressista di Zapatero e Pedro Sanchez, almeno per ora, non li mette in discussione

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francesco olivo

“Che Imperia si ricordi di Angiolo Silvio”

LA STAMPA

Imperia

A 80 anni dalla morte un prolungato silenzio circonda un letterato e industriale illuminato a cui la città deve tanto

L’appello e il sogno della famiglia Novaro

“Che Imperia si ricordi di Angiolo Silvio”

La «Casa Rossa» ai piedi di Capo Berta che serviva ai marinai per individuare la rotta verso casa è uno scrigno di tesori familiari e letterari. Lo ha aperto per un giorno, a noi cronisti, la depositaria dei tanti, piccoli gioielli scaturiti da quella meravigliosa vita vissuta da Angiolo Silvio Novaro, poeta nato a Diano Marina, onegliese d’adozione, industriale illuminato (la famiglia era proprietaria dell’oleificio Sasso), pittore, traduttore, assaggiatore d'olio. Daniela Zago Novaro, moglie di Giorgio, pronipote di Angiolo Silvio, si è fatta carico di preservare e trasmettere la memoria dell’autore di «Pioggerellina di marzo» («Passata è l’uggiosa invernata/passata/passata»). «Mi rammarico che non si sia ancora pensato a promuovere qualche iniziativa visto che ricorrono gli ottant’anni dalla morte (il letterato Accademico d’Italia ma che non ebbe mai buon feeling con il fascismo, scomparve nel 1938 e al suo funerale a Imperia assistettero diecimila persone, ndr). Nessuno che si sia fatto portavoce: un silenzio che intristisce e addolora - s’accalora Daniela, trasformata in archivista per catalogare tutto il materiale conservato in casa - Anzi no, l’unico ad avermi contattato è stato Alessandro Quasimodo, figlio del premio Nobel Salvatore, che si sta impegnando perchè gli sia dedicato un francobollo. Però è Imperia che a mio avviso dovrebbe proporsi. Lui è stato generoso con la città nell’atto di stilare il testamento ma era fatto così e la sua generosità si è come riverberata in un lungo oblio».

Mentre il marito Giorgio, coi figli Silvio, 28 anni, ed Enrico, 32, ha ripreso il vecchio nome originario dell’azienda «Novaro» fondata nel 1860 da Agostino continuando a selezionare e commerciare olio, lei, Daniela, si è trasformata in una sorta di «vestale» che accudisce il fuoco sacro rappresentato dalle migliaia di lettere che Angiolo Silvio aveva ricevuto e spedito, dai brani, dai quadri, dalle foto, dalle dediche. Trascorre ore nella magnifica magione di famiglia per riordinare ricordi, frammenti di poesie, ambascerie....Angiolo Silvio Novaro era a contatto con le migliori menti dell’epoca, da De Amicis a D’Annunzio, da Sibilla Aleramo a Maria Montessori, ma anche con personalità del mondo industriale e politico. Mussolini, come suo solito quando qualcuno non gli andava a genio, lo tollerava e comunque ne ammirava il genio. Angiolo Silvio era avanti in tutto: anche nella pubblicità: l’olio Sasso era conosciuto in tutto il mondo. In quegli anni Imperia non aveva tema di venire scambiata per Imola e la «Casa Rossa» era crocevia di personaggi illustri. E adesso? «Io mi auguro che si rimedi a questi anni di mutismo sulla figura di questo grande personaggio - aggiunge Daniela - La nebbia che lo circonda e che circonda le sue opere dovrebbe essere diradata. Il mio, se mi è consentito, è un appello che vorrei passasse per disinteressato negli intendimenti e nello spirito anche se gli affetti mi àncorano a questa famiglia e al ricordo di Angiolo Silvio. Per il bene della città, sarebbe opportuno che, come un soffio tardivo su una pagina impolverata, si facesse qualcosa per parlare di lui. Ci mettiamo a disposizione di chiunque sia intenzionato ad allestire mostre, convegni, dibattiti». Nel frattempo, la famiglia sta preparando un sito Internet su quest’uomo, simbolo del suo tempo, sito curato dal web designer Luca Ramella. Dovrebbe essere pronto a giorni. Si troveranno tanti spunti interessanti su vita e opere di Angiolo Silvio Novaro. Alla fine ci vuole così poco per rendergli il tributo che merita(«Il cuore sempre aperto/per ciascuno che viene/Ci vuole così poco/a farsi voler bene»). 

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maurizio vezzaro