Italia
La strana corsa all’oro verde
L’Italia è piena di campi, ma solo lo Stato può produrre cannabis
500 chili di fabbisogno per uso medico e l’Olanda limita l’export
L’Italia è piena di campi, ma solo lo Stato può produrre cannabis
500 chili di fabbisogno per uso medico e l’Olanda limita l’export
Le storie dei pazienti italiani con una terapia a base di cannabis a uso medico sono tutte diverse per età, soluzioni e patologie, ma hanno una caratteristica comune: non c’è il lieto fine. Claudia è la mamma di Luca, venti anni di vita e due di cancro tra antidepressivi e morfina, per combattere un dolore che non mollava mai. Melissa, nemmeno trent’anni, sette con la sclerosi multipla e una sofferenza così atroce da impedirle di camminare: dopo tre mesi la sedia a rotelle non le serviva quasi più. La dieta di psicofarmaci e morfina stava distruggendo la vita di Debora, due figli piccoli e una diagnosi di sindrome fibromialgica: nessun appetito, impossibile dormire più di un paio d’ore filate.
Per Luca, Melissa e Debora ancora non basta aver trovato un medico disposto a sperimentare quella che viene definita terapia complementare (infiorescenze di canapa da assumere con un decotto o tramite inalazione) e aver scovato una delle poche farmacie disposte a far arrivare i medicinali. Non conta nemmeno stare tra i fortunati che vivono in una delle tredici regioni italiane che ne hanno previsto la rimborsabilità. Le scorte di cannabis terapeutica, nazionali o di importazione, sono esaurite. Con liste d’attesa di mesi, le terapie interrotte e il dolore che ritorna, condito dalla rabbia. Come si fa a soffrire così per la mancanza di una pianta che cresce dappertutto e per di più ha una millenaria tradizione di eccellenza made in Italy?
Il paradosso è evidente: i campi di canapa privati si moltiplicano a vista d’occhio, ma la cannabis terapeutica (che solo lo Stato può produrre) non sembra mai essere abbastanza. Negli anni Quaranta l’Italia era la prima produttrice al mondo di canapa. Nel dopoguerra la difficoltà della lavorazione e la concorrenza di altre fibre sintetiche più economiche, come il nylon, portarono al progressivo abbandono delle coltivazioni, anche se il colpo di grazia l’ha dato l’associazione tra la verdissima foglia a sei punte e la droga. Da quando la cultura occidentale si è lasciata alle spalle il proibizionismo dedicandosi a riscoprire le proprietà di questa pianta nobile e bistrattata, le aziende agricole e le cooperative che si dedicano alla coltivazione di canapa industriale - con basso contenuto di Thc, ma con alte percentuali di cannabinoidi - sono sempre di più, pronte a soddisfare le richieste di un mercato in piena espansione.
Ancora non ci sono dati e statistiche sulle prescrizioni italiane, ma a testimoniare il vertiginoso incremento di domanda ci sono le previsioni della Direzione dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del ministero della Salute, che, come spiegato a La Stampa, ha individuato «l’aumento del fabbisogno nazionale di 100 chili l’anno negli ultimi tre anni>. Come si arriva a questa cifra? <Ci basiamo sui consumi degli ultimi anni per prevedere circa 350 chili per il 2017 e 500 chili per il 2018». Nel 2016 l’Istituto farmaceutico militare di Firenze ha avviato una produzione sperimentale di 50 chili di Fm2, la cosiddetta «cannabis di Stato», raddoppiata quest’anno e, come annunciato a maggio, ancora da incrementare con nuove serre e investimenti.
L’unica alternativa sono i prodotti della olandese Bedrocan, che sono più cari - per una terapia si può arrivare a spendere anche a migliaia di euro al mese, con un prezzo tra i 20 e i 50 euro al grammo -, con un limite da rispettare: come precisato dal ministero «l’Office of Medicinal Cannabis del Ministero della salute welfare e sport olandese ha informato di non poter aumentare l’esportazione verso l’Italia oltre i 250 chili». Considerato l’aumento dei consumi, l’obiettivo è arrivare alla massima capacità produttiva dello Stabilimento Farmaceutico fiorentino, stimato «in venti volte l’attuale produzione, proprio per evitare di dipendere dall’importazione che resta una risorsa in caso di necessità». Tutto risolto? Non proprio. Primo, anche aumentando da subito la coltivazione alle piantine bisogna pur dare il tempo di crescere. Secondo, a giugno il ministero della Salute ha stabilito per decreto il prezzo della Fm2: il costo deve stare tra gli 8,50 e i 9 euro per grammo.
«Un provvedimento necessario per uniformare le spese a cui sono sottoposti i malati - spiega Pier Luigi Davolio, farmacista e vice presidente della Sirca, Società italiana ricerca cannabis -, ma con questo prezzo fisso le farmacie non guadagnano nulla: ecco perché per i malati è sempre più difficile trovare la cannabis, che non conviene più. Restano soltanto gli ospedali, ma le diversità legislative regionali rendono la situazione dei malati molto complessa». Terzo, la Fm2 non va bene per tutti pazienti. Lo spiega bene il dottor Paolo Poli, tra i primi in Italia a sperimentare i cannabinoidi, primario dell’unità operativa di Terapia del dolore dell’ospedale di Pisa. «Parlare di canapa è come parlare di un antibiotico, senza però specificare di quale si sta parlando. Bisogna prima di tutto investire negli studi clinici, perché le terapie sono molto complesse. Oltre alle difficoltà di estrazione e titolazione, pensiamo alla somministrazione: gli studi del ministero per esempio sono stati fatti sul decotto, ma non certo è l’unico modo di assumere la cannabis. Un altro problema sono i dosaggi: c’è chi ha benefici con bassi livelli di Thc, chi con alti. Abbiamo terapie che prescrivono la Fm2 la mattina, più leggera, e il Bedrocan la sera. La canapa inoltre è una pianta, non è brevettabile: per studiare un nuovo prodotto a un’azienda farmaceutica servono grandi investimenti e minimo sei anni di lavoro». Il dottor Poli, a capo di una sperimentazione con più di 2mila pazienti, evidenzia poi un altro nodo da risolvere, la prescrizione off label. In ospedale il trattamento con cannabinoidi può essere fatto con il permesso del direttore sanitario, ma un privato deve far firmare il consenso informato al paziente: la sua prescrizione si deve basare sui risultati di una ricerca pubblicata su una rivista di indiscusso pregio internazionale. «Ma se le opinioni nella letteratura specialistica sono difformi? - continua Poli -. Per esempio, decido di trattare un cardiopatico con la cannabis. Dopo quindici giorni ha un infarto e muore, la famiglia può dire che è morto per quello. Dove sta scritto che la Fm2 è un prodotto sicuro, dove sono gli studi? Non ci sono, ecco perché capisco i colleghi che non la prescrivono».
Nella nuova legge in discussione al Parlamento si prevede anche la possibilità di individuare «uno o più enti e imprese da autorizzare alla coltivazione nonché alla trasformazione». Non si spiega però come e quando potranno produrre cannabis a uso medico, se con un bando e con quali criteri. Nei mesi scorsi i governatori di Emilia, Toscana e Puglia, raccogliendo gli appelli dei malati lasciati senza terapia, si sono dichiarati «pronti ad avviare l’autoproduzione». Lineare il loro ragionamento. I malati hanno bisogno di cannabis, noi ne abbiamo campi interi: seguendo le indicazioni del ministero della Salute, perché non si può far incontrare domanda e offerta, creando così nuovi posti di lavoro? Anche se pochi sono disposti ad ammetterlo, le decine di varietà di infiorescenze e derivati coltivati e venduti in Italia vengono spesso usate - con esiti assai diversi da caso a caso - da chi dovrebbe invece seguire una regolare terapia, garantita dal servizio sanitario. E fanno rabbia le storie di chi si trova a rivolgersi al mercato illegale, senza nessuna possibilità di conoscere livelli di Thc e cannabinoidi, né la più che probabile contaminazione della cannabis con altre sostanze. «La risposta più efficace, efficiente, immediata e che non implica modifiche di legge è concedere ad altri la licenza per produrre cannabinoidi - commenta Marco Perduca, ex senatore con i Radicali e direttore della piattaforma Legalizziamo.it dell’associazione Luca Coscioni, tra i promotori della legge -. Così invece si mantiene intatto il monopolio di fatto dello Stato, anche se ci sono enti pubblici e privati, nazionali e non, già pronti alla produzione». Nel testo in attesa del vaglio del Senato non solo non si parla più di legalizzazione, ma è stata eliminata anche la possibilità di auto-coltivazione. «E’ incredibile che dopo aver depenalizzato l’uso personale della cannabis non si sia voluto depenalizzarne anche la coltivazione personale.Ancora oggi una pianta in terrazza può portare fino a sette anni di prigione». Anche se non hai nemmeno trent’anni e ne hai bisogno per riuscire ad alzarti dal letto. .
Nadia Ferrigo