ebook di Fulvio Romano

venerdì 25 ottobre 2019

Inizia l’Estatina di San Crispino...


Non durerà molto, fino alla mattinata di lunedì, ma per questo fine settimana avremo ancora temperature quasi estive di giorno, sole e fughe fuori porta...

Costruttori di Cattedrali

Sant Dümian

giovedì 20 dicembre 2018

Il mondo delle Rose piange David Austin


Riproduciamo qui un’intervista al grande giardiniere scomparso ieri comparsa sul Giornale di Brescia a cura di Elisa Rossi

Dalla rosa «Constance Spry» del 1961 alla «Desdemona» entrata in catalogo quest’anno. Nella contea dello Shropshire, nella regione delle Midlands Occidentali inglesi, ha sede il vivaio diDavid Austin, tra i maggiori esperti di rose inglesi.

Durante la sua attività ne ha create più di 200, ma ogni anno nel suo vivaio vengono prodotti 150mila incroci e vengono spedite in tutto il Mondo 250mila piante. È con uno scambio di e-mail con i suoi collaboratori che riusciamo ad intervistare il fondatore di questa impresa familiare, David CH Austin, oggi affiancato nella gestione dal figlio David JC Austin. La figlia Claire, alla quale il padre ha dedicato una bellissima rosa bianca, invece si occupa di piante perenni, iris e peonie.

Il giardinaggio è una passione di famiglia: come è iniziata? Crescendo in campagna mi sono appassionato alle piante da giovanissimo. Mio padre era amico di James Baker, un vivaista famoso per aver introdotto nuove varietà di perenni come il lupino da fiore Russel. Mi ha affascinato. E così ho iniziato a pensare a quali varietà poter migliorare fino a quando mia sorella Barbara mi regalò «Old Garden roses» di Edward Bunyard e così mi innamorai delle rose. Ordinai alcune rose moderne nelle quali intravedevo due vantaggi: a differenza delle rose antiche fiorivano dall’inizio dell’estate all’autunno e avevano una gamma di colori più ampia compresi il giallo e l’albicocca. È verso i vent’anni che decisi di ibridare rose con lo scopo di combinare il fascino e il profumo delle rose antiche con la rifiorenza delle moderne.

Cosa suggerisce ad un apprendista giardiniere? Ci sono solo due cose importanti da ricordare per coltivare rose con successo: la prima è scegliere una varietà affidabile, sana, profumata e rifiorente come «Olivia Rose Austin», «Desdemona» e «Lady of Shalott»; la seconda è preparare il terreno molto bene, incorporando, prima del trapianto, abbondante materia organica. Il resto è semplice. Basta potare in inverno, concimare in primavera ed estate, innaffiare e togliere le parti morte quando necessario. La potatura rende nervosi molti ma è facile: la regola con le nostre rose inglesi è ridurre i rami di un terzo o due terzi, dipende se vuoi un cespuglio più alto o più largo. Lei suggerisce di coltivare le rose con altre piante, perché? Per me è molto più attrattiva un’aiuola mista fiorita. Le nostre rose sono facili da collocare in una bordura per i colori e il portamento cespuglioso. In più le rose coltivare da sole sono molto più esposte a parassiti e malattie. Meglio associare le rose con le piante azzurre come la salvia «Mainacht» la campanula lactiflora, nepeta «Six hills giant», geranium «Johnson’s blue» e il geranium pratense «Mr. Kendall Clark». Tante le piante da associare come le digitali, viburni, ortensie, cornus, tageti o nasturzi.

Come nasce una rosa? E in quanto viene commercializzata? Quando si ibrida una rosa si guarda alle caratteristiche della pianta madre e padre. Dalla selezione iniziale le piante più interessanti vengono coltivate per otto anni. Solo poche varietà all’anno, dalle tre alle sei, vengono messe in catalogo. Per il nome poi sono ispirato dall’orticultura, dall’arte o dalla campagna. E dalle caratteristiche della rosa. 

Continuo a trovare ispirazione dal mio lavoro. Il mio sogno resta quello di quando ho iniziato: creare la rosa da giardino perfetta, che combini bellezza, profumo, rifiorenza e buona resistenza alle malattie con il fascino e la qualità che ci contraddistingue.

Elisa Rossi

mercoledì 28 novembre 2018

a PROTESTA DIVENTA BOOMERANG ( Panarari)

LA STAMPA

Cultura

la PROTESTA

DIVENTA

BOOMERANG

Massimiliano Panarari

Chi di Iena ferisce, di Iena perisce. Non si tratta di un film di Quentin Tarantino, ma della realtà della cronaca politica di queste giornate – o, forse, dell’iperrealtà che in epoca postmoderna risulta talvolta più reale del reale. E, di sicuro, lo scandalo che sta lambendo Luigi Di Maio, portato alla luce da Le Iene, si sta rivelando una vicenda piuttosto pulp per il vicepremier e ministro del Lavoro alle prese con un padre utilizzatore di lavoro nero nella propria ditta. I suoi numerosissimi sostenitori e follower invocano il principio per cui le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, ma nella fattispecie appare come una giustificazione «pelosa» e doppio-pesista, visto che il leader pentastellato ha costruito le sue fortune sull’invocazione assolutistica della virtù prepolitica dell’onestà, e ha ampiamente fatto ricorso all’argomento della colpevolezza genitoriale per attaccare il Pd. L’affaire familiare di Di Maio, con il doloroso balletto di «non so», prese di distanza e imbarazzi assume i tratti della nemesi. E conferma quanto il paradigma della neotv rimanga sempre rilevante e significativo in Italia nel dettare l’agenda politica (come aveva illustrato Umberto Eco, i cui scritti sul tema sono raccolti nell’antologia Sulla televisione, La nave di Teseo).

È precisamente una nemesi quella che va ora in scena (e in onda) perché il grillismo si rivela molto debitore dell’ideologia giustizialista, non solo nella sua versione politica – e di partito sponda di «una certa idea della magistratura» – ma anche (e, forse, specialmente) con riferimento alla giustizia fai da te e secondo i canoni della società dello spettacolo. Quella incarnatasi, giustappunto, in una serie di trasmissioni televisive – in primis, Striscia la notizia, Le Iene, e per qualche verso anche Chi l’ha visto? – da cui emerge una sostanziale sfiducia nei confronti della politica tradizionale e di establishment come strumento di risoluzione dei problemi, da sostituire nel nome di una ben maggiore efficacia ed efficienza tramite il piccolo schermo. Programmi di «infotainment 2.0» e «politica pop», come ha scritto lo studioso Gianpietro Mazzoleni – spesso imbevuti di intuizioni e trovate direttamente provenienti dall’armamentario del situazionismo – che si propongono con una funzione di denuncia e di servizio a favore dei cittadini; e che hanno contribuito in maniera potente alla costruzione del discorso pubblico del gentismo e di quel clima di opinione ispirato all’anti-politica di cui, non per caso, ha beneficiato innanzitutto il Movimento 5 Stelle. A partire, beninteso, dall’inoppugnabile dato di fatto di una corruzione praticamente endemica rispetto alla quale il neopopulismo si è presentato proprio come la ricetta utile a operare una bonifica. Ed ecco, così, Beppe Grillo che indossa i panni del «Gabibbo barbuto», e il giustizialismo neotelevisivo che ha fornito quadri dirigenti e frontman da inviare nei talk (come l’ex Iena Dino Giarrusso o l’ex «domatore di leoni» de La Gabbia Gianluigi Paragone). E, soprattutto, format comunicativi che si sono trasformati in «forma politica» e nell’informe e liquidissimo partito-movimento del M5S. E che ora si rivoltano contro i loro finora invincibili apprendisti stregoni, che hanno alimentato (e capitalizzato) la ribellione derivante dal disagio sociale e dal malcontento esistenziale. Un po’ come avvenne nella Rivoluzione francese, che divorò e spedì sulla ghigliottina gli stessi giacobini e montagnardi artefici del Terrore.

L’onda della contestazione, infatti, ha tutta l’aria di non fermarsi, e il cambio di paradigma che stiamo vivendo è esattamente quello dell’ingresso in un’era di neverending protest (la protesta infinita) alla ricerca permanente di nuovi imprenditori politici «contro». A meno di cambiare schema di gioco, e tipologia di offerta politica; ma gli (ex) antisistemici 5 Stelle, che ormai faticano sempre di più a scrollarsi di dosso la percezione di essere diventati anch’essi un pezzo del sistema, non sembrano esserne in grado, né volerlo davvero. 

@MPanarari