ebook di Fulvio Romano

lunedì 26 dicembre 2011

Finora il dicembre più caldo in assoluto!


Ce ne stiamo accorgendo tutti, ma anche la statistica lo conferma. Questo dicembre è a dir poco eccezionale: cieli sereni, sole brillante, Skyline favolosi, stellate lucide di pianeti (in giro: Venere al tramonto verso Sud Ovest; Giove a Sud Est) e, dulcis in fundo, temperature gradevoli. Anzi, calde decisamente verso metà giornata, quando Cuneo città si sono superati i 10 gradi con tranquillità, mentre -alla capannina del centro storico, collocata a 20 metri di altezza- la prima minima sottozero della stagione si è osservata soltanto il 20 dicembre, martedì scorso. Insomma, sic rebus stantibus, l’attuale dicembre si avvia ad essere il più caldo da 135 anni a questa parte, da quando cioè si prendono regolarmente le temperature in Cuneo città. I calori se non primaverili, autunnali, di queste settimane stanno così superando persino gli eccezionali tepori del dicembre 1988, nell’inverno in cui -ricordiamolo- caddero in città, in tutto, soltanto 11 cm di fiocca, seguiti da altri miseri 6 ad aprile! Più caldo del dicembre 1988, ma ancor più di quello del 2006, annata in cui -o ricordiamo bene, penso- non cadde manco una spanna di neve. Il tutto perché, oggi come allora, le perturbazioni e le ondate ventose arrivano sull’Italia dall’Artico e da Nord-Nord-Ovest, saltando così a pie’ pari la Granda ed il suo arco alpino. Le uniche nevicate si sono avute infatti verso la Maddalena e sulle Cozie, dove cioè il vento è riuscito a portare un po’ di bianco strato. Per il resto nulla o quasi, con le colline brulle di foglie secche come ad ottobre-novembre e le piante che cominciano qua e là a fioricchiare. Giovedì uno sbuffo perturbato porterà qualche nuvola e forse qualche fiocco qua e là sull’arco prealpino. Ma da venerdì in avanti ancora predominio anticiclonico e niente neve. Fino quasi all’Epifania. Quando qualcosa potrebbe cambiare. Ma è ancora presto per dirlo.
Fulvio Romano

giovedì 22 dicembre 2011

Geli da Nord, sul Cuneese la neve làtita.


In piena armonia con il calendario astronomico l'inverno si è abbattuto sulla Granda con temperature che in montagna hanno raggiunto geli polari. I meno 18 gradi e più dell'altra notte al colle dell'Agnello sono il risultato delle ondate gelide che hanno investito l'arco alpino da Nord Ovest e che hanno poi provocato gagliardi venti di Foehn freddo in pianura. Sono state le quote di crinale a far registrare i valori più gelidi. Oltre la stazione meteo dell'Agnello (collocata a 2685 metri), è quella della Rocca dell'Abisso (2753 metri) a segnalare quasi 16 gradi sotto il gelo, seguita dalla capannina del Colle della Lombarda (2305 m) il cui termometro si è fermato a meno quattordici. La forza dei venti che si sono abbattuti contro la barriera alpina sul versante francese e svizzero è stata tale da sospingere la neve anche al di qua dei crinali, ma soltanto nella fascia settentrionale, che va dal colle della Maddalena sino alla Val d'Aosta e oltre, lasciando all'asciutto tutto l'arco delle Marittime e delle Liguri. L'aria gelida, dopo aver investito le cime alpine ha invaso valli e pianure, dove nella scorsa notte si sono osservati valori che vanno dai -7,8 gradi di Ceva ai -1,2 di Saluzzo, passando attraverso i meno sei delle pianure fossanesi e saviglianesi e i valori meno rigidi dell'altipiano del Cuneese. Sono i freddi ormai invernali che nel 2010 si erano abbattuti sulla Granda con grande anticipo, da fine novembre. Dopo un dicembre polare il culmine fu raggiunto il 17 del mese, giornata di record storici, seguita da una pausa temperata ed umida a Natale. Quest'anno il lungo autunno è stato chiuso da un vivace flusso artico settentrionale che è riuscito ad allontanare l'anticiclone verso occidente. Ma quest'ultimo non è sconfitto. Nei prossimi giorni il maltempo privilegerà da un lato il Sud Italia e dall'altro i crinali settentrionali e orientali delle Alpi. L' estremo Nord Ovest sarà defilato, al riparo dai flussi perturbati di origine polare. Anzi, sarà proprio un ponte dell'anticiclone atlantico a riprendere fiato, riportando verso l'alto sulla Granda le colonnine dei termometri. Da giovedì si mitiga il clima su altipiani, colline e medie quote, mentre i geli rimarranno sulle piane. L'alta pressione durerà forse fino all'Epifania.
romano.fulvio@libero.it
pubblicato su La Stampa del 21 dicembre 2011

sabato 17 dicembre 2011

Sul Cuneese niente neve fino, almeno, a Capodanno


14 dicembre 2011:

Non sono buone le ultime notizie dell'arrivo della neve sulle montagne della Granda. Sembra infatti che il bianco strato diserterà le Alpi cuneesi fino almeno alla fine dell'anno. C'era speranza di neve per il sopraggiungere della burrasca di origine nordatlantica che già ieri ha fatto le sue prime prove investendo il versante francese delle Alpi con forti venti e fiocchi che hanno appena superato le creste di confine. Il tutto si è risolto nel Cuneese in vivaci rèfoli di Foehn, che hanno fatto superare alle temperature massime i 14 gradi, battendo un record giornaliero che durava dal 1985. E' vero che oggi la musica cambia, con nuvole che riescono a penetrare fin sulla pianura e che potranno sprizzare qualche pioggia e qualche fiocco in quota. Soprattutto saranno le temperature ad abbassarsi, per un Foehn che diventa freddo a causa delle basse temperature di partenza, con un gelo che comincerà dalla serata e nella notte. Ma, nonostante tutto, cadrà niente o poca neve, che invece sta privilegiando la Valle d'Aosta, il Vallese e la Savoia. Così, dopo un sabato ancora con nuvole, da domenica riprende a prevalere il sereno, anche se con valori termici ormai invernali. E' una congiuntura meteo che punisce le Alpi cuneesi, e per di più con un anticiclone atlantico che promette di durare fino a san Silvestro.
romano.fulvio@libero.it

mercoledì 26 ottobre 2011

METEO E TRADIZIONI NEL PONTE DEI SANTI


E' una spruzzata d'inverno quella che abbiamo avuto tra lunedì e martedì, con i pataràs che sono scesi fin sugli altipiani di Cuneo e Mondovì, mentre la prima neve bassa ha innervato di bianco i fianchi della Bisalta, della Tura e del Mongioie. Un evento invernale, più che di tardo autunno, con le temperature medie precipitate sotto le Alpi a tre-quattro gradi e acqua, finalmente un po' d'acqua ad irrorare i nostri campi ed i nostri giardini secchi ormai dopo tre mesi di siccità continua. Certo, avevamo accennato a possibili allarmi che la situazione meteo che si prospettava sembrava indicare come necessari per noi, ma soprattutto per la Liguria. Lo sono stati per il Levante più che per il Ponente (anche se a Taggia qualche danno c'è stato) ed anche lì le colonnine sono crollate, nonostante la presenza calmieratrice del mare. Da noi, al di qua delle Liguri, pochi problemi, con una cinquantina di centimetri in quota, ma più verso la Stura che nelle Marittime, e con un 45 millimetri d'acqua che hanno beneficiato Monregalese e Cuneese. Ma attenti, non siamo ancora in inverno. Lo dice la nostra balza collinare, verde e con le ultime zucche tonde e grosse, giallo-verdi fuori e arancioni dentro, nate da quei semi dimenticati e ripescati in un cassetto, che raccogliamo con voluttà insieme ai turgidi Kiwi arrampicatisi sul pruno. Lo dice la fontana che ha ripreso a buttare grosso e che non sembra intenzionata affatto a farsi bloccare dal gelo. Non è ancora inverno e la giornata di mercoledì ce lo sta a dimostrare, con rèfoli tiepidi nel ritrovato sole: il bel seguito anticiclonico che viene di norma dopo l'ondata perturbata atlantica. L'Atlantico si è risvegliato, ma è già tornato a dormire. Questa la cifra meteo del ponte dei Santi, appuntamento annuale da vivere con un'aura ed un sapore antichi. Non vecchi, attenzione, ma antichi. Che sono quindi non tanto i sapori dell'Halloween di americanata memoria, ma dei nostri Santi e dei Morti, fatti anch'essi di un carnevale, ma non di plastica. Un Carnevale che - come raccontano testi dimenticati- veniva con i Santi appunto e che durava fino a san Martino, seguito poi da una lunga Quaresima (d'Avvento) che precedeva il Natale. E allora, altro che maschere halloweene da grandi magazzini, altro che cappelli neri da strega da supermercato, altro che zucche cinesi con lampadina dentro! La tradizione nostra era delle zucche vere, accese nella notte per le strade di Marmora, delle processioni dei morti, il Cours che si allestiva a Cossano Belbo. Delle bevute e mangiate crapulesche che facevano di san Martino i riti che precedevano l'inizio del letargo non solo per l'Orso ma anche per gli ancora inselvatichiti umani. Questo magmatico legame con la tradizione ce lo ricorda, paradossalmente, persino il meteo. State a sentire. La pausa di alta pressione che caratterizzerà tutto il fine settimana e il ponte prossimo venturo, sarà interrotta soltanto giovedì pomeriggio da qualche nuvola bassa (con nuovi freschi) che andrà ad ingrigire le basse sotto le Alpi, mentre sulle creste e sulle coste alte risplenderà il sole. Così anche martedì mattina ancora qualche nuvola e forse qualche goccia isolata potrà intristire per qualche ora il dì di festa. In mezzo, sia venerdì, specie il pomeriggio, domenica e lunedì, sereno prevalente con temperature accettabili, adatte alla stagione. Le nuvole di martedì saranno invece l'avvisaglia della ripresa dell'Atlantico che farà qualche scorreria fino al 7-8 del nuovo mese novembrino, con piogge forse anche intense tra il 5 e il 7. Poi, udite udite, puntuale con gli appuntamenti della nostra tradizione antica, tra l'8 e il 9 di novembre dovrebbe ricomparire l'Estate di san Martino, luogo mitico di tepori preinvernali, con il ritorno in forze dell'Anticiclone Nostro, che durerà forse sino al 13 compreso.
romano.fulvio@libero.it http://romanofulvio.blogspot.com/
da Provincia Granda del 27 ottobre 2011

martedì 25 ottobre 2011

ed ecco la prima neve bassa dell’inverno 2011-2012


L’imbocco della valle Pesio (con a destra la Bisalta) visto dalla pianura. Neve sopra gli 850, forse meno. Si confronti la foto con quella dello stesso giorno del 2009, pubblicata ieri...
Alle 16.10 di martedì 23 ottobre abbiamo un 25-30 cm al Pancani (1875 m.) e 40 cm a quote superiori. Acqua molta: Cuneo centro, quasi 50 mm. Era ora!

Arriva novembre e torna l’oca di san Martino


San Martino e novembre sono indissolubilmente legati nel calendario contadino. L'11 novembre, le sue tradizioni, i suoi cibi, le feste e persino il suo clima, nascondono e rivelano allo stesso tempo la cifra per capire il principio, lo svolgersi e l'andamento di quel calendario. Ad esempio, colpisce l'apparire sul proscenio dell'anno agricolo e silvestre, che inizia appunto a novembre, di alcuni animali mitici, rituali e totemici, che -protagonisti dell'immaginario e della vita materiale della civiltà antica- sono oggi del tutto scomparsi, sia dall'uno che dall'altra. O quasi del tutto, naturalmente. Dell'orso già sappiamo, del suo letargo che inizia con san Martino e della sua identificazione (appannata da noi, ma ben presente sui Pirenei) con il vescovo di Tours. E' la sua versione domestica ad essere ancora presente: l'Orso Martino, l'orsetto dei bambini continua a rassicurare i grandi dell'avvenuta supremazia sul selvatico ed aiuta i piccoli umani a conciliarsi emotivamente con quello, nel lungo tentativo di svilupparsi l'immaginario. Ma ci sono altri animali mitici legati proprio a san Martino. Uno è l'asino, e Martino è stato per secoli il nome dell'asino oltre che dell'orso. Nominazioni di cui si conserverà probabilmente solo la seconda, per i motivi di cui sopra. Ma c'è un altro animale totemico che spunta dietro la tonaca del vescovo di Tours, come di fatto avviene in alcune sue statue e rappresentazioni antiche: l'oca. Animale trascurato oggi, eppure così presente nella nostra tradizione, aveva nella civiltà occitanica una presenza sicura. Ancora una volta dovuta a san Martino. "Oche, castagne e vìn, ten tut per san Martìn", recitava un adagio di cui riconosciamo in genere solo i legami col vino e le castagne, mentre l'oca è decetta, dimenticata. Eppure quello dell'oca era il piatto della festa annuale che si celebrava tra i Santi e Martino, vero e proprio carnevale anticipato, che precedeva l'antica "prima" Quaresima, quella dell'Avvento. Una festa sguaiata, come dev'essere quella carnevalesca, che prevedeva bevute e crapule infinite, prima dei rigori invernali. L'oca di san Martino, ancora oggi piatto d'onore a novembre in Austria e Germania, oppure nella Francia del Nord. Ma che era consumata anche qui da noi, un tempo a spese delle oche selvatiche che a sant'Uberto, 3 di novembre, partivano verso il Sud ("A la Saint-Hubert les oies sauvages fuient l'hiver") e poi con il sacrifico rituale e culinario delle oche casalinghe che a novembre raggiungevano il culmine del grasso. Grasso per noi è maiale, ma prima ancora era oca, il maiale dei poveri, foriero delle riserve di lipidi per il lungo inverno. Cucinata a lungo e adagio per superarne la fibrosità (solo i bravi cuochi di carne sanno cucinarla) se ne ricavava il "confit", piatto popolare diffuso in tutta la Provenza - Occitania. Con l'oca di san Martino iniziava quel ciclo della carne invernale che avrebbe poi avuto il suo culmine con il maiale di sant'Antonio, al 17 di gennaio. Tempo del grasso, che si sarebbe concluso con il Carnevale di febbraio-marzo (l'unico dei due carnevali ad essere sopravvissuto) ,in coincidenza con il risveglio dell'Orso della Candelora. Ma questa è un'altra storia.
romano.fulvio@libero.it

(da Ousitanio Vivo, novembre 2011)

domenica 23 ottobre 2011

Tornano le piogge (e un po’ di neve in montagna)


Nella settimana in cui la Luna nuova di ottobre fa la sua comparsa (giovedì) arrivano anche le prime intense piogge autunnali e, in montagna, la neve. Le nuvolaglie basse che ancora ieri erano insaccate sulle pianure del Nord Ovest per i flussi freddi orientali dei giorni scorsi, vengono spazzate dal fronte che precede la prima vera ondata perturbata della stagione. Cambia il regime meteo, ritorna l'Atlantico e, da questa sera, riporta acqua specie sul Piemonte sudoccidentale, dalle Liguri alle Cozie pianure comprese, e sul Verbano-Novarese. Nella notte, neve che inizialmente scende sul Cuneese a quote di poco superiori ai 1000 metri, per poi risalire di quota nella giornata di martedì, che sarà quasi interamente all'ammollo, con contributi consistenti tra la Val Stura di Demonte e la val Tanaro. La tregua del maltempo, che segue il grosso della perturbazione, comincerà già dalla notte di domani a partire dalle province occidentali per poi interessare, mercoledì, tutto il Piemonte e la Vallée. Ma le scorrerie perturbate atlantiche continueranno a rimpinguare d'acqua le falde ormai esauste anche tra giovedì e venerdì, con piovaschi che interesseranno soprattutto le piane occidentali ai piedi delle Alpi. Cesseranno le piogge sabato e domenica mattina, con un cielo ancora in gran parte occupato da nuvole, ma anche con temperature che nel frattempo si sono fatte più miti.
romano.fulvio@libero.it

giovedì 14 luglio 2011

San Giovanni e il Froumentìn


Il finale di giugno, anzi la festa di san Giovanni, era il momento adatto per seminare in montagna il grano saraceno. Una sentenza occitana, raccolta da Garnero, descriveva con una viva immagine la scadenza: Cante lou préire paso benedii coun lou baldaquìn l’è ouro de semenàa lou froumentin…. Il prete, veste svolazzante e paramenti giallo oro procede in processione sotto il baldacchino multicolore sorretto da quattro giovani in salute del borgo. Le braccia tese, ostende il Sacramento ed è seguito da frotte di ragazzini e dal paese intero in rumorosa e malcerta preghiera. E' questa la sequenza rituale che da sempre accompagnava il rito tardo medioevale del Corpus Domini. Rito mutevole nel calendario, come lo era la data della Pasqua, da cui il Corpus Domini dipendeva, ultima festa lunare. E quindi la semina del Froumentìn, noto anche come Fourmentìn o Granèt, era primaverile-estiva, potendo variare, con la data del Corpus Domini (60 giorni dopo Pasqua) dal 20 maggio al 24 giugno. Date simili a quelle che troviamo nelle altre aree agricole europee, come ad esempio la Francia del Lionese dove la data per la semina di questa poligonacea adatta a cibare i celiaci, era la festa di saint-Pothin, il due di giugno: "A la Saint-Pothin, bonhomme, sême ton sarrasin". Oppure nel Gard, dove il grano saraceno veniva chiamato Blamauro, così come nella Francia Contea dove era invece Grije e, si credeva, veniva fatto rigoglioso dall'arrivo del gelido vento invernale del Nord: la Bise: "Année de Bise, année de Grije". In Trentino era invece la pioggia dell'Ascensione a decretare l'arrivo di una ricca annata di rape e di Formentone, altro nome del nostro: "S'el piove el dì de l'Ascensiòn, ven rave e formentòn"... Fatto sta che questa pianta, che d'estate colorava di rosso le pendici delle nostre Alpi, dalla val Tanaro alla val Po, fu dal XVI secolo in poi la salvezza di contadini e montanari che avevano a che fare con la Piccola Era Glaciale. Il gelo che, fino alla metà dell'800, imperversò in Europa con inverni freddi e primavere umide mandava in rovina le semine invernali cosicché furono sovente i grani estivi a salvare le comunità alpine. Quando il 27 giugno del 1857 una spaventosa tempesta distrusse i raccolti di grano, uva e granoturco a Prarostino, nelle valli valdesi, i campi - come ci racconta Teofilo Pons- furono nuovamente arati per seminarvi grano saraceno anziché frumento. Così per secoli il Fourmentìn, con il suo pane e la sua polenta, in purezza o mescolata con altri grani, farcita di formaggi d'alpeggio e di porri profumati, ha segnato un intervallo calendariale che iniziava con la primavera-estate ("Cant la feuillho ê â bouisoun, granèt e granetoun", si recitava nella val Sén Martìn) e che finiva, inesorabile, con la mietitura di San Michele, come conferma la tradizione del Limousin francese: "Sème ton blé noir (altro nome del nostro) quand tu voudras, mais pour Saint-Michel tu le moudras".

venerdì 3 giugno 2011

il 17 giugno del Saint-Ours occitano




Alla venerazione di sant’Orso il mondo occitano dedicava due importanti feste annuali. La più celebre è quella del 1° di febbraio, sant’Orso, data in cui si tenevano le più importanti fiere alpine, quella di Donnaz (il 31 gennaio) e quella di Aosta, il giorno dopo. L’Orso della tradizione mitica ritornava quindi anzitutto nella figura leggendaria dell’arcidiacono Orso di Aosta, legato a sua volta -nei racconti arcani- a miracoli ed eventi che avevano come coprotagonista il plantigrado. Ma ancora più note erano le tradizioni popolari contadine che cristallizzavano nella figura dell’Orso della notte della Candelora (tra il 1° e il 2 di febbraio) un antico orale racconto del misterioso rapporto tra l’uomo socievole e l’ animale selvatico, un racconto che veniva riproposto a ripetizione nelle simboliche sfilate dei Carnevali, alpini e non.
Ma c’era un’altra festa importante che la civiltà occitana dedicava a sant’Orso. Una celebrazione dalle radici forse precristiane che nel mese di giugno mobilitava i paesi e le comunità delle nostre valli, che all’unisono si rivolgevano idealmente e fisicamente verso Ovest. Verso cioè la valle dell’Ubaye e verso il paese di Meyronnes, al di là del colle della Maddalena. Più precisamente verso la cappella di sant’Ours, un sito da tempo immemore ritenuto magico e miracoloso ad un tempo, quasi che il santo che vi veniva venerato (il sant’Orso di Aosta, che secondo la leggenda era passato per l’Ubaye) fosse a sua volta un retaggio di un passato dolce e favorevole per gli umani, in cui gli opposti fondamentali, da quello della vita-morte a quello del maschio-femmina, si intrecciavano unendosi e separandosi ritualmente. Questa festa di sant’Orso che coinvolgeva il popolo delle valli occitane cadeva il 17 di giugno, data in cui avveniva forse il più importante pellegrinaggio alpino che radunava nel centro dell’Ubaye le file umane che percorrevano i passi camminando giorno e notte. Così avveniva per gli abitanti della valle di Barcellonette, come delle altre valli “francesi”, ma anche per la valle Stura o per la valle Maira. Dalla valle Maira ad esempio, come mi ha raccontao Matteo Cesano di san Michele di Prazzo, si transitava per il colle delle Munie, scendendo poi alla Bealero della Reino Jano (poi chiamata Bealero della Fremo morto) per arrivare quindi alla cappella di saint Ours. Si pregava il santo anzitutto per le future, auspicate nozze: “Saint Ours, douna-me un espous. Que siegue brut, que siegue bel, que siegue dret, que siegue gibous. Ma qu’ague lou capel ! ». Invocazion di vergini, di fanciulle da sposare, che facevano pregando tre giri attorno alla cappella alpina (che si trova sotto il monte Ours) dopo aver staccato una scheggia di legno da una delle tre croci che circondano il villaggio. Oppure vi si recavano i paralitici, che furono a ripetizione guariti, ma –ahinoi- soltanto nel XVI°secolo, quindi non più. Ma l’aspetto più inquietante dell’antica tradizione del nostro 17 giugno occitano era che in quella occasione il parroco operava il più frastornante dei miracoli. Vi si recavano le mamme cui era morto l’infante senza poter essere battezzato. Allora il parroco, dopo aver invocato sant’Orso, faceva rivivere il piccolo per un solo istante. Quello che bastava per ricevere il battesimo.

Fulvio Romano

Caspita, che primavera! La seconda in assoluto.


Mentre giugno inizia con il ritorno delle piogge e il crollo delle temperature, la primavera appena archiviata (per le statistiche finisce il 31 maggio) è stata una stagione da quasi record assoluto. Per il caldo naturalmente, grazie ai mesi di aprile e maggio che hanno sfiorato il primato assoluto con ripetuti valori più da estate che da primavera. Due mesi caldi ed anche molto asciutti, che hanno quasi prosciugato la riserva accumulatasi con le nevicate in quota e le piogge al piano del mese di marzo. E infatti, quello di quest'anno risulta il maggio più arido dell'intera storia climatica secolare di Cuneo città, con nemmeno 7 mm di acqua caduti nell'intero mese a fronte di una quantità attesa di ben 133 mm. Ma torniamo alle temperature di questa primavera assolata e dominata dagli anticicloni, da quello "classico" Azzorriano a quello ancor più estivo Africano, che hanno bloccato oltre le Alpi i flussi umidi e perturbati provenienti dall'Atlantico, tradizionali apportatori d'acqua sulle nostre pianure. La primavera 2011 è la seconda in assoluto, battuta soltanto dalla straordinaria stagione del 2007. Allora la media complessiva fu di 14 gradi, oggi siamo a 13,6°, valore di assoluto rispetto, di ben tre gradi al di sopra della media storica secolare e seguito a ruota dai 13,5° di un'altra bella primavera, quella del 1997, l'anno della Grande Cometa. Aprile e maggio protagonisti, specie nelle loro prime metà, sotto il dominio incontrastato dell'Africano. Così aprile con i suoi 15° risulta alla fine il secondo per calore dell'intera storia meteo (dopo quello del 2007), mentre maggio tallona a ruota, con i suoi 18° netti, i 18,6° del maggio 2009, altro mese da palmarès. Come si può notare sono tutti primati che si impongono in questi ultimi 10-13 anni, periodo di evidente Riscaldamento Globale. Con la novità che negli ultimi tre-quattro anni queste belle e calde primavere seguono inverni che sembrano tornare, sia per nevosità che per temperature, a quelli bianchi e rigidi d'antan. In aumento il caldo primaverile, in crisi la piovosità. Primavera da circa 180 millimetri, quella del 2011 sulla pianura cuneese. Certo, non siamo ai livelli da deserto africano del 2006 (53 mm) o del 1997 (28 mm, record negativo assoluto), ma la piovosità di quest'anno è stata di poco più della metà di quella tradizionalmente osservata da fine '800. E salvata statisticamente soltanto dai ricchi apporti di marzo, che crearono a suo tempo notevoli difficoltà alla rete viaria cuneese, mentre maggio è stato addirittura il meno piovoso dal 1877, con sette scarsi millimetri finali.
romano.fulvio@libero.it

sabato 26 febbraio 2011

Carnevale, dai richiami alla moderazione ai ricordi rimossi di trasgressioni antiche.


Carnevale, dai richiami alla moderazione ai ricordi rimossi di trasgressioni antiche.


Se la Luna di Pasqua è – come ben sappiamo- quella di marzo, così invece “La i è pa ‘n Carlevé qu’a sie pa ‘nt la luna ‘d fervé (Val Pellice). E la Luna nuova di febbraio è quest’anno il 4 di marzo, appunto in pieno tempo di Carnevale. Incursioni di freddo (a Carnevale fa sempre un freddo gelido), a tratti sentori di primavera. Nell’aria suoni rinnovati della natura (sono tornati i fischi degli strani merli che fanno il nido sul nostro tetto) e nei rumori di orti e giardini che stanno per riprendere vita. Trasgressione: “Carnevale a le vie, fummene e i om i fan empacchie” (Guardia Piemontese: Carnevale per le vie femmine e uomini fanno pazzie). Ripresa degli amori: “Cont Carlevà è de noeu semane, sé màrion tavan e tavane” (Po). La tradizione popolare tuttavia, frenata da esigenze di tranquillità comunitaria e da conformiste influenze religiose, ha cercato - da sempre - di nascondere, di rimuovere gli aspetti più trasgressivi della festa dedicata al “contrario di tutto”. “A vanta fè la vita medesima, tant a Carlevè coma ‘n Quaresima”, recita uno dei più diffusi proverbi piemontesi. Oppure, più minaccioso: “Quand ‘l pare fa Carlevè, ji fieuj a fan Quaresima”: non scialacquare, non esagerare, ne pagherebbero gli altri. Raccomandazione valida sempre, ma applicata non a caso al Carnevale. E ancora: “Chi fa trop grass ‘l Carlevè a farà maira la Quaresima”. Non eccedere, quindi. Basta con le esagerazioni che sovvertono l’ordine quotidiano. Se non fosse bastato questo richiamo alla moderazione, si insisteva su ciò che più direttamente parla alla gente: “L’amor ‘d Carlevè e meuir con la Quaresima”… Certo, c’è un significato più generale, metaforico, in un detto come questo. Ma ne deriva comunque un senso più diretto: la trasgressione corporea dei giorni del ribaltamento dei ruoli può finir male, e fare male. La vera natura del Carnevale taspare però da un’altra serie di detti, meno recitati e ricordati. Dal “A ogni gata a j ven so fervè”, dove febbraio, il mese della festa, è riscoperto nella sua natura di tempo degli innamoramenti fisici, al “Fervè a l’è ‘l meis che le fomne a parlo pì poch”, forse perché tentate dalle gestualità matrimoniali. La tradizione del Carnevale è della stagione degli amori primaverili, ma anche dei matrimoni, tanto che “Se carlevè l’è aot, s’a l’è nen cost a l’è n’aot”: se il Carnevale è lungo e non ci sposiamo in questo, ci sposeremo nel prossimo, dicevano le ragazze da marito. D’altronde “Carlevè ij pajè, Pasqua le salviette”: a febbraio ci si sposa nei pagliai, come faceva la gente di campagna, senza ambage. A Pasqua sono le salviette dei ricchi ad accompagnare i banchetti di nozze. Carnalità della festa, volutamente sguaiata. In Val Gesso una tradizione che credevamo persa: a Valdieri era uso mangiare, nei giorni “del contrario”, nei vasi da notte (nuovi). Bene, non c’entrano i Saraceni, come raccontano i dotti dell’ 800. E’ un’usanza di tutta l’ Occitania, quella di bere vino bianco caldo speziato, zuppa di cipolle o cioccolato (più evocativo…) con banane o crostoni di pane fluttuanti in un… pitale. Lo dovevano fare i novelli sposi. Simbolismo crudo ma arcano di un rapporto rimosso: quello tra escrementi e fecondità della natura.

Fulvio Romano