ebook di Fulvio Romano

giovedì 26 ottobre 2017

E adesso anche la Sardegna vuole un suo referendum

LA STAMPA

Italia

La mobilitazione guidata dai sindaci


“Dateci lo status di insularità”

Se fosse una partita a carte, si potrebbe dire che ad alzare la posta in gioco adesso è la Sardegna. Una mossa tattica per accaparrarsi il montepremi finale, un bottino fatto di finanziamenti maggiori e spazi legislativi molto più ampi. La sfida è sempre quella dell’autonomia, che vede fronteggiarsi sullo stesso tavolo il governo nazionale e le regioni periferiche. Mentre quelle del Nord hanno fatto la prima azione con il referendum di domenica scorsa, l’isola organizza il contrattacco, con una nuova e ampia mobilitazione popolare. Una consultazione che di certo non ha come obiettivo la secessione, ma una modifica della Costituzione che potrebbe cambiare radicalmente i rapporti tra lo Stato e la Regione. 

La parolina magica in tutto questo braccio di ferro si chiama «insularità», un riconoscimento che consentirebbe alla Sardegna di incassare maggiori finanziamenti e tentare di colmare lo storico divario che deriva dalla sua condizione geografica. L’autonomia che Veneto e Lombardia invocano, l’isola ce l’ha da 69 anni e per questo ora chiede qualcosa in più. «Il piatto è ricco, può valere quasi due miliardi di euro l’anno», dice Pietrino Fois, coordinatore dei Riformatori sardi, il partito che ha avviato il processo per la revisione costituzionale: «Se si fa il referendum e si inserisce il principio di insularità nella Costituzione, significa che una cifra annuale per colmare gli svantaggi geografici è garantita». Per indire il referendum sarebbero bastate 15 mila firme, ma le adesioni sono più di 25 mila e l’obiettivo è quello di arrivare a 100 mila. In primavera, dunque, la Sardegna sogna di andare alle urne. Con il sostegno di tutti i partiti, eccetto quelli indipendentisti. «Se si punta a fare una modifica costituzionale, significa che si riconosce il contesto che ci ingabbia - dice il leader del movimento “Sardigna Nazione”, Bustianu Cumpostu - Noi dovremmo affermare che il rapporto tra lo Stato italiano e la nazione sarda è di dominazione».

Gli indipendentisti sardi la pensano così da sempre e il vento separatista che spira dalla vicina Catalogna da queste parti ha influito poco o nulla. E infatti la mobilitazione per il referendum la stanno conducendo centinaia di sindaci che si presentano ai banchetti con la fascia tricolore. «Noi sardi ci sentiamo italiani - sottolinea il presidente del comitato referendario, Roberto Frongia - E per questo puntiamo ad avere pari opportunità su trasporti, energia, sanità, istruzione e infrastrutture dell’innovazione». La battaglia, insomma, raccoglie bandiere diverse e schieramenti politici solitamente contrapposti. E unisce anche i territori. Luoghi con problemi nettamente differenti e molto distanti: dal povero Sulcis alla ricca Gallura, dall’Ogliastra al Sassarese. «Il riconoscimento dell’insularità - puntualizza Fois - sarà il nostro ponte sullo Stretto». 

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

nicola pinna


Level Triple-A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0           Copyright 2017 La Stampa           Bobby WorldWide Approved AAA