ebook di Fulvio Romano

sabato 28 ottobre 2017

Il parlamento catalano vota l’indipendenza

LA STAMPA

Esteri


Rajoy caccia Puigdemont

Strappo di Barcellona: proclamata la Repubblica

E il premier scioglie la Camera: elezioni a dicembre

Il giorno più atteso è anche quello più spaventoso. Il parlamento catalano ha dichiarato l’indipendenza, una votazione senza troppa enfasi, in un parlamento lasciato mezzo vuoto dall’opposizione, con effetti probabilmente soltanto simbolici. La Spagna ha, infatti, reagito immediatamente: il governo ha attivato la sospensione dell’autonomia catalana, il cui punto principale è la destituzione di Carles Puigdemont e di tutto il suo governo. E a sorpresa in serata Rajoy annuncia lo scioglimento del parlamento catalano e nuove elezioni regionali per il 21 dicembre. Un modo di accorciare il più possibile la pericolosa permanenza spagnola in terra ostile.

Le prime ore della nuova presunta repubblica sono state confuse, senza quell’epica che ci si aspetterebbe in un giorno storico. I volti dei ministri di Puigdemont descrivono lo stato d’animo di molti, sorrisi forzati e tanta preoccupazione. «Avremmo voluto che fosse diverso - ammette Lluís Llach, mitico cantante dell’antifranchismo, oggi deputato secessionista - ma non ci hanno lasciato altre soluzioni. Non siamo ingenui, sappiamo che ora partirà la repressione».

Nelle piazze di Barcellona scoppiano le feste, inizialmente timide e poi sempre più vivaci. Nel resto della Catalogna, si mira ai simboli: in molti comuni sono state tolte le bandiere spagnole e rimossi gli stemmi monarchici. A piazza Sant Jaume, davanti alla Generalitat spodestata, si raduna una folla. Un’anteprima di quello che potrebbe succedere nelle prossime ore: «Manteniamo viva la nostra battaglia - dice Puigdemont - ma in modo pacifico». 

Mariano Rajoy, visibilmente scosso in volto si appella ai concittadini: «Reagiremo, ma state tranquilli». Per il premier i fatti di ieri «sono la prova che andava ripristinata la legalità. È un giorno triste». Poi la sentenza: «E’ un atto delinquenziale».

Per la Spagna è un colpo durissimo: dopo aver promesso per mesi che nessun referendum si sarebbe svolto il primo ottobre, Rajoy ha garantito che non ci sarebbe stata nessuna dichiarazione di indipendenza. Eppure, oltre due milioni di catalani hanno votato, sebbene tra mille anomalie, e ieri i deputati della maggioranza hanno osato lo strappo. In questa gara di umiliazioni reciproche, si tenterà di mettere una pezza con il commissariamento della Generalitat, ma siamo in un terreno inesplorato e obiettivamente spaventoso. La Spagna è sotto choc. Il re Filippo VI cancella tutti gli eventi in agenda per la prossima settimana. Sui social è un inferno, prosperano campagne di boicottaggio dei prodotti catalani, ma anche propositi più bellicosi.

Carles Puigdemont, che giovedì all’ora di pranzo stava per annunciare lo scioglimento del parlamento e le elezioni anticipate, ieri torna nella camera catalana con l’obiettivo opposto: i gruppi parlamentari della maggioranza Junts pel Sí (insieme per il sì) e la Cup registrano una mozione che chiede di dare il via a «una repubblica catalana come Stato indipendente, sovrano, democratico e sociale».

Il parco della cittadella di Barcellona, al cui interno sorge il parlamento, è blindato dai Mossos, intorno si radunano migliaia di indipendentisti pronti a festeggiare. All’interno dell’edificio arrivano centinaia di sindaci con il bastone del comando, simbolo del potere municipale. I primi cittadini si riuniscono in una sala al piano terra e inneggiano all’indipendenza, scatenando l’ira dell’opposizione.

In aula il clima è pesante, la minoranza alza i toni per denunciare lo strappo di Puigdemont. Tutto è deciso, ma a sorpresa la maggioranza chiede il voto segreto, una mossa per evitare le probabili conseguenze giudiziarie di una scelta fuori dalla legalità. Poi la proclamazione della presidente della camera Carme Forcadell, e la festa sulla scala nobile dell’edificio. Puigdemont a questo punto prende la parola: «E’ il giorno che aspettavamo». Tre ore dopo Rajoy lo caccia.

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francesco olivo


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