ebook di Fulvio Romano

domenica 28 ottobre 2018

L’Italia corre diritta contro il muro”

LORENZO BINI SMAGHI Le agenzie di rating ci hanno rimandato in attesa di avere più informazioni sulla manovra

Si sta ripetendo il 2011, la frenata dell’economia cominciò con la salita dello spread. E l’esecutivo non lo ha capito

“Deficit al 3% e rischio recessione

L’Italia corre diritta contro il muro”

«Rimandati a settembre, come si diceva una volta», concede Lorenzo Bini Smaghi quando si arriva alle agenzie di rating e alla valutazione della credibilità dell’Italia. «Vogliono evitare giudizi su fatti che non conoscono», aggiunge l’economista fiorentino, già membro dell’esecutivo Bce, oggi presidente di Société Genérale e di Italgas, che però un’idea precisa di come andranno le cose se l’è già fatta. Vede il deficit al 3% del pil per tre anni, una pericolosa stretta al credito, un rischio di recessione e un governo gialloverde che gli pare «un treno lanciato contro un muro». «Mi pare proprio un rinvio del giudizio in attesa di ulteriori informazioni - spiega -, con l’indicazione che probabilmente verrà cambiato. Non gli darei troppa importanza, non è così drammatico come si poteva pensare».

Intanto hanno riscritto lo scenario macroeconomico. Meno crescita e più deficit... «Non sono i soli. Anche l’Ufficio parlamentare del bilancio, il Fmi e la Commissione Ue lavorano su ipotesi non in linea col governo. Personalmente, trovo basso il 2,7% il rapporto deficit/pil, perché nella manovra ci sono misure di cui non conosciamo la portata, entrate ed uscite da verificare. Gli interessi sul debito saranno almeno 0,1-0,2 punti in più. Ci sono forti probabilità che il disavanzo superi il 3%. Per i prossimi tre anni». Davvero? «Nello schema del 2020 è previsto il ricorso alla clausola di salvaguardia. Ritengo improbabile che vogliano aumentare l’Iva». In questo quadro perché insistono sul “non si cambia”? «Siamo in una fase in cui è venuto meno il ruolo della politica, intesa come quella cosa che deve rendere compatibile desideri e promesse con la realtà, magari anche spalmandoli nel tempo. Oggi abbiamo due partiti che ragionano meccanicamente, come un treno che non può cambiare binari e va contro un muro. Manca la capacità di mediare». Il governo si fa forza perché «il popolo è con noi»... «Proprio perché si ha il 60 per cento del consenso non ha senso creare queste turbolenze coi mercati e coi nostri alleati europei. A meno che la visione non sia di brevissimo termine e si pensi a votare subito dopo aver massimizzato gli effetti della manovra. Oppure che trionfi l’incapacità di fare la politica vera esercitando l’arte del possibile». A chi giova attaccare Draghi? «Se chi investe in Italia vede che attaccano il guardiano della stabilità, penserà che non si voglia la stabilità. Non è positivo per il Paese e nemmeno per la manovra stessa». SuperMario “il salvatore” ora è “l’anti-italiano”. «Mannò. Cosa vuol dire? E’ europeo. Sarebbe meglio avere un tedesco? Così facendo si riduce ulteriormente la credibilità del Paese come è capitato quando la Lega dell’Europarlamento non ha votato per Enria alla Bce. Mi sembra che il governo si stia specializzando in autogol». Come è successo? «O è una ingenuità nata dall’incompetenza. Oppure c’è l’obiettivo deliberato di cercare lo scontro a tutti costi. Comunque due ipotesi che spaventano chi deve decidere se investire in Italia o meno». Cosa rischiano le banche? «La perdita di valore dei titoli di stato erode il capitale. Poiché esistono dei vincoli patrimoniali, gli istituti reagiscono riducendo il credito. Tagliano i prestiti e chiedono ai clienti di rientrare. Non sono le banche, ma il sistema economico a soffrire». Qual è il pericolo?«L’economia che rallenta e rischia di andare in recessione nel quarto trimestre. È capitato nel 2011: le banche hanno ridotto il credito già nell’estate, appena lo spread è salito. Il pil italiano è sceso dello 0,6 nel terzo trimestre e nel quarto dello 0,9. La caduta è cominciata per effetto dello spread, già prima di Monti. Il fenomeno si sta riproponendo. Il governo, che pure si circonda di pseudo economisti, non lo ha capito». A sentire il ministro Savona si ha l’impressione che vogliano ristrutturare il debito e farselo pagare dall’Europa. «Lui lo ha scritto e detto. E la reazione degli altri paesi è stata “non abbiamo voglia di pagare il debito italiano”, lo ha hanno detto in tanti, da Kurz all’Afd. Il problema non è Savona, ma chi lo fa parlare. Butta benzina sul fuoco, dovrebbero dirgli di smettere. Non ha una posizione di rilievo nella Lega o nel M5S. Però, essendo Tria in una fase di ripiego, chi cerca di comprendere cosa succede in Italia ascolta Savona, e forse sbaglia». Draghi voleva mediare.«Sì, ha tentato di diffondere ottimismo per un’intesa sulla manovra con la Commissione e gli hanno sparato verbalmente addosso. E’ come se cercassero un pretesto per andare al voto o per fare delle manovre straordinarie, dando la colpa agli altri. D’altra parte, l’ampio consenso dei cittadini dà al governo l’illusione di poter fare qualsiasi cosa». Per poi prendersela con la speculazione e Soros? «Se uno dice “ce ne freghiamo e andiamo avanti” non fa altro che spingere a speculare ancora di più contro il paese, nella convinzione che si stia andando contro il muro. Siamo un paese piccolo sul Mediterraneo che si sta isolando».Il consenso resta elevato, però. Come se lo spiega? «Perché l’impatto reale su cittadini ancora non c’è stato. Ci sono per ora delle avvisaglie. La recessione non è ancora iniziata. Torno al treno. Corre ad alta velocità, il muro ancora non si vede, ma se non si rallenta lo schianto sarà violento». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

marco zatterin

mercoledì 10 ottobre 2018

Il primo passo ( dello Stato autoritario)

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Il primo passo

La sicurezza viene prima dei diritti, ha detto ieri mattina in tv Edoardo Rixi, sottosegretario della Lega. Nessuno è sobbalzato, in studio, e probabilmente nessuno è sobbalzato a casa. Rixi stava parlando del ponte di Genova, in perfetta buona fede (che noia questa buona fede), e stava postulando il disastro. Lo chiamo disastro, altri lo chiamano fascismo, ma la definizione non è importante: non torneranno le camicie nere, i cerchi di fuoco, i balilla, la storia si ripete ma non copia mai da sé stessa. È invece vero che nell’anima italiana l’illiberalismo è sempre stato una scorciatoia e un sollievo, per tutti. Siamo pieni di leggi illiberali in nome della sicurezza: buona parte della legislazione antimafia è illiberale, ma c’è l’emergenza mafia; i sequestri preventivi dei beni dei (presunti) corrotti sono illiberali, ma c’è l’emergenza corruzione; le leggi antiproibizioniste sulla droga sono illiberali, ma c’è l’emergenza droga. Spesso, e non soltanto in Italia, si sacrifica qualche diritto in nome dell’emergenza e della sicurezza. Sono quote forse sopportabili, come fumare tre sigarette al giorno a corredo di una vita sana. Già è arbitrario decidere quali sono le emergenze e come affrontarle, ma quando le emergenze si moltiplicano o addirittura si ingigantiscono - l’immigrazione, la criminalità, i rom, le occupazioni abusive, i confini, i tecnici dei ministeri, la stampa, ora perfino la ricostruzione dei ponti - e a ognuna si dà una risposta illiberale, perché la sicurezza viene prima dei diritti, allora lo Stato autoritario ha già compiuto un passo.


sabato 6 ottobre 2018

Baviera, volano i Verdi (Ndb: sarà anche qui la nuova alternativa democratica?)

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Esteri

Secondo i sondaggi gli ambientalisti hanno superato l’Spd nei consensi

Sono la vera opposizione a Cdu e Csu: primo test il voto del 14 ottobre

Baviera, volano i Verdi

S’incrina dopo 60 anni

il modello conservatore 

Oggi marceranno ancora una volta accanto agli ambientalisti ed ecologisti per partecipare alla grande manifestazione di protesta contro l’abbattimento della foresta di Hambach minacciata dai lavori di ampliamento di una grande miniera di carbone tra Colonia e Aquisgrana. Ma quello dell’ecologia non è più il tema dominante e centrale per il Bündnis 90-Die Grünen, il partito dei Verdi tedeschi. Il loro guscio esterno è ancora verde, ma il nocciolo si è tinto anche di rosso socialdemocratico, blu neoliberista e persino di nero conservatore. 

La crisi politica

Nel pieno di una crisi politica che sta sgretolando le fondamenta del bipolarismo tedesco, con il lento tramonto della cancelliera cristiano-democratica Angela Merkel e l’erosione di consensi dei «Sozialdemokraten» dell’Spd, sono proprio i Verdi ad essere diventati la nuova forza politica di centro senza la quale in Germania sarà arduo in futuro dar vita a stabili maggioranze di governo. In vista delle elezioni amministrative nelle regioni chiave della Baviera e dell’Assia il 14 e 28 ottobre, il partito raggiunge nei sondaggi la quota record del 18% attestandosi al secondo posto nella graduatoria dei principali partiti, prima ancora dell’Spd e della destra populista della AfD. 

A livello nazionale sono riusciti addirittura a raddoppiare i loro consensi dall’8,9% ottenuto alle politiche del 2017 agli attuali 17-18%. Una tendenza riscontrabile anche in numerosi altri Paesi europei, dalla Svezia all’Olanda, dove i vecchi ambientalisti di sinistra di un tempo conquistano fasce di elettori sempre più ampie e politicamente eterogenee. In una roccaforte del conservatorismo tedesco come quella del Baden-Württemberg, la regione di Stoccarda dominata un tempo dalla Cdu, da 7 anni a questa parte ad occupare la poltrona di governatore è il Verde Winfried Kretschmann che oggi difende anche gli interessi delle potenti lobby dei costruttori automobilistici Daimler e Porsche, e che ha appoggiato il recente inasprimento delle leggi sull’immigrazione.

Nella nerissima Baviera, la star della campagna elettorale è la verde Katharina Schulze, 33 anni, sempre sorridente, di bell’aspetto, moderata nei toni e politicamente pragmatica, e che con il suo carisma sta contribuendo al crollo di popolarità dei cristiano-sociali (Csu) che da oltre 60 anni dominano il loro feudo prealpino con maggioranze assolute e che adesso, col 33% delle preferenze indicate dai sondaggi, risc hiano nella peggiore delle ipotesi di ritrovarsi addirittura sui banchi dell’opposizione.

Le nuove alleanze

«I Verdi profittano molto della crisi d’identità dei due grandi partiti tradizionali, quello della Cdu/Csu e del Spd», spiega il politologo Oskar Niedermayer dell’università di Berlino. «Paradossalmente, però, i Verdi profittano sia in Germania sia nel resto dell’Europa anche dell’affermazione della nuova destra populista, rappresentando l’ultimo bastione credibile e autentico che resiste e non si è fatto contagiare dalla retorica xenofoba, intollerante e semplificazionista dei tribuni della destra». In Baviera, i Verdi di Katharina Schulze non pongono nessun veto ad una possibile alleanza di governo assieme ai cristiano-sociali del governatore Markus Söder e del leader di partito e Ministro degli interni Horst Seehofer. Stando ai sondaggi potrebbero però in teoria dar vita anche a una coalizione alternativa con socialdemocratici, liberali e la lista indipendente dei Freien Wähler. 

I tempi in cui i Verdi si definivano come gli antagonisti per eccellenza del centro-destra sono del resto tramontati. Oggi il partito è più che mai eclettico ed eterogeneo, viene votato sia dai dipendenti delle start-up metropolitane sia dai coltivatori di prodotti biologici della provincia, dalle donne come dagli uomini, dalle classi medio-alte ed imprenditoriali come da studenti e intellettuali. Classi che in Germania stanno molto bene, forse anche troppo, ma che nel loro benessere non vogliono rinunciare ad alcuni valori fondamentali, che solo i Verdi difendono attualmente in modo credibile: l’ambiente, la tolleranza, il multiculturalismo. 

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

walter rauhe

La storia siamo noi

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La storia siamo noi

Il ministero ha deciso di sopprimere il tema di storia dall’esame di maturità perché in dieci anni soltanto il tre per cento degli studenti ha deciso di affrontarlo. È un peccato che i ragazzi trascurino la materia più bella che c’è (parere personale) e che il ministero si adegui, facendone un soprammobile dell’istruzione. Forse è inevitabile se si pensa alla vicenda di Roberto Matatia raccontata ieri dal Foglio. Matatia è un imprenditore di Faenza che ha scritto un libro sulla sua famiglia sterminata ad Auschwitz, e per parlarne era stato invitato da una professoressa di un liceo classico del foggiano. Dopo qualche settimana, però, la professoressa si è scusata con Matatia: purtroppo non se ne fa nulla, altri insegnanti si sono opposti, a scuola niente politica, hanno detto. Ora l’incidente pare rientrato, a Matatia dovrebbe essere stato rinnovato l’invito, ma a questo punto che lo accetti o meno è secondario. Piuttosto risalta la bizzarria che insegnare ai ragazzi che cosa furono le leggi razziali (oggi, ottant’anni fa, il Gran consiglio del fascismo pubblicò la Dichiarazione sulla razza), e quali ne furono le conseguenze, sia derubricato a una bagatella politica. Specialmente nell’accezione infelice che si dà oggi al termine, desolante a ora tarda in birreria, figuriamoci in un liceo classico dove senz’altro sanno che politica deriva da Polis, le città in cui tutti erano chiamati a partecipare all’amministrazione della cosa pubblica e a soggiacere alla medesima legge. È nella Polis che nasce l’idea occidentale di democrazia. Ma se abbiamo questa considerazione della storia, non possiamo che avere questa politica. 


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