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Reportage
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Lamon (Belluno) e Castello Tesino (Trento) distano pochi chilometri
Nel Comune veneto casse vuote e invidia, dall’altra bonus a pioggia
Lamon (Belluno) e Castello Tesino (Trento) distano pochi chilometri
Nel Comune veneto casse vuote e invidia, dall’altra bonus a pioggia
L’immagine è questa. A Lamon dei vecchietti scuotono la testa al bar Alpino. Guardano la piazza da rifare. «Il progetto c’è, ma sono anni che aspettiamo», borbottano. Venti minuti dopo, nel vicino Castello Tesino, due operai stanno finendo di sistemare il porfido sui viali tirati a lucido. Due Comuni confinanti, Lamon e Castèlo. In un certo senso gemelli. Entrambi incastonati nelle valli. Entrambi alle prese con il problema dello spopolamento delle comunità montane. Entrambi abitati, per di più, da anziani. Ma con una piccola, sostanziale, differenza. Lamon, 2800 abitanti, si trova in provincia di Belluno, cioè in Veneto. Castello Tesino è in Trentino e le sue 1200 anime dipendono dalla provincia autonoma di Trento.
«Basta guardare l’asfalto», ci avevano avvisato prima di sconfinare tra le due Regioni. Ed è così: la strada ha lo stesso nome, la provinciale 40, ma è come se, a un certo punto, diventassero due. Da una parte la versione bellunese, piena di buche e segnali abbandonati di lavori in corso. Dall’altra, la via trentina, dove si curano con dovizia anche le sterpaglie scese dai boschi autunnali. Più risorse per il territorio, dunque. Ma c’è dell’altro. A Castello, Laura Zotta ancora si imbarazza pensando all’episodio capitato due anni fa. «Agli uffici provinciali mi hanno detto che in quanto madre e lavoratrice avevo diritto a un bonus di 60 euro al mese», racconta. Ha 47 anni e di mestiere fa l’impiegata. Suo marito manda avanti un’attività artigianale. Vivono in una casa di proprietà. Una famiglia borghese, insomma. Ma ciò non basta per escluderli da un piccolo aiuto economico drenato dalla risorse pubbliche. Che qui non mancano: per un nucleo famigliare povero (con un reddito annuale di 13500 euro) l’assegno erogato dalla provincia autonoma può raggiungere anche i 450 euro al mese.
Non è finita. «Per ogni bimbo nato ti danno a disposizione una certa metratura di boschi», racconta ancora Laura. E poi spiega: «In questo modo la famiglia può rivendere il legname e portarsi a casa anche 2-3 mila euro a bambino». Una sorta di bonus-bebè pagato in natura, insomma. «Senza contare - aggiunge - che chi ha dei neonati in casa ha diritto a uno sconto sulla tassa dei rifiuti di circa 50 euro al mese per l’immondizia in eccesso prodotta dai pannolini». A darle man forte la collega Gabriella Menato, anche lei trentina e residente a Castello: «In passato ho lavorato all’ufficio tecnico provinciale che si occupava di edilizia pubblica e privata. E posso assicurarle che ai giovani desiderosi di mettere su casa veniva garantito il 50% di quanto serviva per l’acquisto e la ristrutturazione di un immobile. Adesso un po’ meno, certo, ma questi aiuti ci sono ancora».
Tante attenzioni verso il cittadino, dunque. Che da una parte ci sono, dall’altra (quella veneta) no. Ed è per questo che la sensazione, facendo la spola tra i due Comuni, è che in Trentino rimanga forte un senso di orgoglio e appartenenza. Dalla sponda veneta, invece, si preferisce professarsi «sudditi». Di Roma, certo. Ma anche, e paradossalmente, di Venezia. Tant’è che già nell’ottobre del 2005, il 61,5 per cento dei 4151 aventi diritto di Lamon, votò un referendum per passare armi e bagagli al Trentino. Togliendo i residenti all’estero fu un plebiscito: quasi il 90% dichiarò di volersene andare dal Veneto. L’iter istituzionale del passaggio è ancora fermo in Parlamento. Ma la voglia rimane, eccome.
«Perché quello Trentino per noi rappresenta un modello? Per tutto», commenta con sarcasmo Vania Malacarne, 49 anni e dieci dei quali passati a fare il primo cittadino di Lamon. «Il governo dovrebbe dirmi se è legittima la differenza di diritti che c’è tra chi abita in questo paese e chi a dieci minuti da qui», accusa. E porta un esempio: «Io ho lottato per anni per avere i fondi per costruire un plesso scolastico nuovo. In un Comune trentino qui vicino in un anno sono riusciti ad aprire due asili nido comunali». L’ex sindaca Malacarne, nel 2005 tra le promotrici della consultazione che chiedeva l’annessione al Trentino, ne fa anche una questione geografica: «Basta guardare una mappa: per tre quarti dei nostri confini noi siamo circondati dalla provincia autonoma di Trento. Perché non farci inglobare?». E poi porta l’esempio dell’attività economica famigliare: «Commerciamo prodotti petroliferi - racconta - . Come è possibile che in Trentino sia la provincia a finanziarti i mezzi che ti servono, per esempio un camion, con contributi a fondo perduto e in Veneto non ricevi nulla?».
Altro tema, molto sentito, da queste parti è quello del turismo. E qui basta un numero per capire la questione: nell’intero 2013 la Regione Veneto ha speso 17 milioni per il comparto turistico. Nello stesso anno la provincia di Trento ha potuto impegnare 57 milioni. A tirare le somme ci pensa Guido Trento, 68 anni e dieci passati in consiglio regionale a cercare di rappresentare le specificità del territorio provinciale bellunese: «Mi auguro che Zaia ottenga quello che chiede. Me lo auguro ma non mi faccio illusioni». E poi conclude con un sorriso: «Per quanto riguarda queste valli, l’unica possibilità che vedo per sopravvivere è di staccarsi dal Veneto e andare in Trentino». Della serie: per ogni autonomista, ce n’è sempre uno più autonomista di te.
Davide Lessi