ebook di Fulvio Romano

venerdì 3 giugno 2011

il 17 giugno del Saint-Ours occitano




Alla venerazione di sant’Orso il mondo occitano dedicava due importanti feste annuali. La più celebre è quella del 1° di febbraio, sant’Orso, data in cui si tenevano le più importanti fiere alpine, quella di Donnaz (il 31 gennaio) e quella di Aosta, il giorno dopo. L’Orso della tradizione mitica ritornava quindi anzitutto nella figura leggendaria dell’arcidiacono Orso di Aosta, legato a sua volta -nei racconti arcani- a miracoli ed eventi che avevano come coprotagonista il plantigrado. Ma ancora più note erano le tradizioni popolari contadine che cristallizzavano nella figura dell’Orso della notte della Candelora (tra il 1° e il 2 di febbraio) un antico orale racconto del misterioso rapporto tra l’uomo socievole e l’ animale selvatico, un racconto che veniva riproposto a ripetizione nelle simboliche sfilate dei Carnevali, alpini e non.
Ma c’era un’altra festa importante che la civiltà occitana dedicava a sant’Orso. Una celebrazione dalle radici forse precristiane che nel mese di giugno mobilitava i paesi e le comunità delle nostre valli, che all’unisono si rivolgevano idealmente e fisicamente verso Ovest. Verso cioè la valle dell’Ubaye e verso il paese di Meyronnes, al di là del colle della Maddalena. Più precisamente verso la cappella di sant’Ours, un sito da tempo immemore ritenuto magico e miracoloso ad un tempo, quasi che il santo che vi veniva venerato (il sant’Orso di Aosta, che secondo la leggenda era passato per l’Ubaye) fosse a sua volta un retaggio di un passato dolce e favorevole per gli umani, in cui gli opposti fondamentali, da quello della vita-morte a quello del maschio-femmina, si intrecciavano unendosi e separandosi ritualmente. Questa festa di sant’Orso che coinvolgeva il popolo delle valli occitane cadeva il 17 di giugno, data in cui avveniva forse il più importante pellegrinaggio alpino che radunava nel centro dell’Ubaye le file umane che percorrevano i passi camminando giorno e notte. Così avveniva per gli abitanti della valle di Barcellonette, come delle altre valli “francesi”, ma anche per la valle Stura o per la valle Maira. Dalla valle Maira ad esempio, come mi ha raccontao Matteo Cesano di san Michele di Prazzo, si transitava per il colle delle Munie, scendendo poi alla Bealero della Reino Jano (poi chiamata Bealero della Fremo morto) per arrivare quindi alla cappella di saint Ours. Si pregava il santo anzitutto per le future, auspicate nozze: “Saint Ours, douna-me un espous. Que siegue brut, que siegue bel, que siegue dret, que siegue gibous. Ma qu’ague lou capel ! ». Invocazion di vergini, di fanciulle da sposare, che facevano pregando tre giri attorno alla cappella alpina (che si trova sotto il monte Ours) dopo aver staccato una scheggia di legno da una delle tre croci che circondano il villaggio. Oppure vi si recavano i paralitici, che furono a ripetizione guariti, ma –ahinoi- soltanto nel XVI°secolo, quindi non più. Ma l’aspetto più inquietante dell’antica tradizione del nostro 17 giugno occitano era che in quella occasione il parroco operava il più frastornante dei miracoli. Vi si recavano le mamme cui era morto l’infante senza poter essere battezzato. Allora il parroco, dopo aver invocato sant’Orso, faceva rivivere il piccolo per un solo istante. Quello che bastava per ricevere il battesimo.

Fulvio Romano

Caspita, che primavera! La seconda in assoluto.


Mentre giugno inizia con il ritorno delle piogge e il crollo delle temperature, la primavera appena archiviata (per le statistiche finisce il 31 maggio) è stata una stagione da quasi record assoluto. Per il caldo naturalmente, grazie ai mesi di aprile e maggio che hanno sfiorato il primato assoluto con ripetuti valori più da estate che da primavera. Due mesi caldi ed anche molto asciutti, che hanno quasi prosciugato la riserva accumulatasi con le nevicate in quota e le piogge al piano del mese di marzo. E infatti, quello di quest'anno risulta il maggio più arido dell'intera storia climatica secolare di Cuneo città, con nemmeno 7 mm di acqua caduti nell'intero mese a fronte di una quantità attesa di ben 133 mm. Ma torniamo alle temperature di questa primavera assolata e dominata dagli anticicloni, da quello "classico" Azzorriano a quello ancor più estivo Africano, che hanno bloccato oltre le Alpi i flussi umidi e perturbati provenienti dall'Atlantico, tradizionali apportatori d'acqua sulle nostre pianure. La primavera 2011 è la seconda in assoluto, battuta soltanto dalla straordinaria stagione del 2007. Allora la media complessiva fu di 14 gradi, oggi siamo a 13,6°, valore di assoluto rispetto, di ben tre gradi al di sopra della media storica secolare e seguito a ruota dai 13,5° di un'altra bella primavera, quella del 1997, l'anno della Grande Cometa. Aprile e maggio protagonisti, specie nelle loro prime metà, sotto il dominio incontrastato dell'Africano. Così aprile con i suoi 15° risulta alla fine il secondo per calore dell'intera storia meteo (dopo quello del 2007), mentre maggio tallona a ruota, con i suoi 18° netti, i 18,6° del maggio 2009, altro mese da palmarès. Come si può notare sono tutti primati che si impongono in questi ultimi 10-13 anni, periodo di evidente Riscaldamento Globale. Con la novità che negli ultimi tre-quattro anni queste belle e calde primavere seguono inverni che sembrano tornare, sia per nevosità che per temperature, a quelli bianchi e rigidi d'antan. In aumento il caldo primaverile, in crisi la piovosità. Primavera da circa 180 millimetri, quella del 2011 sulla pianura cuneese. Certo, non siamo ai livelli da deserto africano del 2006 (53 mm) o del 1997 (28 mm, record negativo assoluto), ma la piovosità di quest'anno è stata di poco più della metà di quella tradizionalmente osservata da fine '800. E salvata statisticamente soltanto dai ricchi apporti di marzo, che crearono a suo tempo notevoli difficoltà alla rete viaria cuneese, mentre maggio è stato addirittura il meno piovoso dal 1877, con sette scarsi millimetri finali.
romano.fulvio@libero.it