ebook di Fulvio Romano

mercoledì 11 ottobre 2017

Piano per votare anche lo Ius soli modificato

LA STAMPA

Italia

“È l’ultimo treno”

Gentiloni e il patto

siglato con Renzi


Il patto tra Paolo Gentiloni e Matteo Renzi, con la sponda del Colle, era stato siglato più di dieci giorni fa, una triangolazione che ha consentito al premier di fare un passo certo non indolore. «Se ce ne sarà bisogno si andrà avanti così, rischiamo di non portarla a casa», si son detti tempo fa i due leader. Da giorni il copione era già scritto e Mattarella ne era stato informato.

Ma fino a lunedì sera il premier propendeva per il “canguro”, ovvero la tagliola parlamentare studiata per neutralizzare i voti segreti: tuttavia, quando di fronte all’evidenza si è capito che il “canguro”, escogitato da Emanuele Fiano, avrebbe lasciato comunque in piedi diversi voti segreti, è stato chiaro a tutti che non ci sarebbe stata alternativa alla fiducia. Perché c’era un altro patto dietro le quinte, quello tra Rosato e gli altri capigruppo di Forza Italia, Lega e Ap: se salta un tassello salta tutto, niente scherzi. E di questo patto si fa forte il premier quando ieri apre la riunione del Consiglio dei ministri: «Si pone la questione della fiducia, per facilitare il percorso della legge elettorale. Ce lo chiede la maggioranza perché c’è il rischio di trovarsi con un nulla di fatto. L’unica cosa certa è che questa iniziativa è sostenuta da un arco di forze parlamentari più ampio della maggioranza e siccome abbiamo bisogno di regole certe e chiare non possiamo ignorarlo». 

Il premier è preoccupato, sa di giocarsi l’osso del collo con un voto finale sulla riforma che sarà a scrutinio segreto. Ma non ci sono alternative e tira dritto. Forte di un consenso largo alla fiducia. Di buon mattino arriva la benedizione di Forza Italia, della Lega e poi pure del Quirinale. E a chi gli rinfaccerà il suo discorso di insediamento, Gentiloni è pronto a ribattere che le sue parole erano state «il governo non sarà attore protagonista, ma non starà alla finestra e cercherà di accompagnare il confronto, perché il paese ha bisogno di regole certe pienamente applicabili e con urgenza». Insomma, Gentiloni sa che questo «è l’ultimo treno» e se non si prendesse a ridosso delle urne toccherà fare un decreto: con il governo alla ricerca di una maggioranza in aula su due monconi di legge elettorale, per di più a un mese dal voto. Un calvario. Nel gran salone di Palazzo Chigi Andrea Orlando è l’unico a sollevare obiezioni sulla fiducia. «Scusate, il decreto lo avremmo fatto con il consenso di tutte le forze parlamentari, giusto? Quindi aspettiamo prima di porre in aula la fiducia: se Mdp mostra un minimo di apertura apriamo un tavolo con loro su alcune modifiche circoscritte». Orlando prima ne ha parlato con i capi di Mdp che gli hanno chiuso la porta, ma vuole provare lo stesso. In Cdm gli rispondono Martina, Minniti, Lotti e Franceschini. Nessuna sponda a Orlando neanche dal ministro della Cultura, l’altro capocorrente forte del Pd. I ministri renziani alzano il muro e si va avanti con la fiducia.

A cui addirittura potrebbe seguirne un’altra, anzi altre due. Se dal comignolo di Montecitorio venerdì mattina uscirà la fumata bianca, la legge elettorale passerà al Senato martedì in commissione: rapido via libera per arrivare in aula mercoledì o giovedì 19 ed essere varata anche lì con la fiducia. In tale ingorgo è possibile che la legge di bilancio arrivi in Senato il 27 ottobre, aprendo una finestra anche per lo Ius soli: che sarà riscritto per andare incontro ad Ap, con un irrigidimento anche su entrambi i genitori regolarizzati per poter accedere alla cittadinanza. Poi il testo andrebbe alla Camera a novembre che avrebbe tempo per approvarlo con la fiducia.

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carlo bertini