ebook di Fulvio Romano

martedì 13 gennaio 2015

Quell'inverno spietato che il Po era di ghiaccio (clima invernale e scrittori)

LA STAMPA

Cultura

Quell’inverno spietato

che il Po era di ghiaccio

Difficile immaginare oggi le grandi gelate del ’29

Il freddo record nei ricordi di Primo Levi e Bassani 

Altri inverni, altri climi. In questi giorni passeggiamo al Valentino come se fosse primavera. Si fatica a ricordare un gennaio tiepido pari a quello che stiamo vivendo, così la fantasia corre ad inverni memorabili del passato. Che cosa accadrebbe se il Po diventasse un’interminabile pista di pattinaggio? Piroette mozzafiato nelle anse intorno a Mantova sarebbero alla portata dei bambini? Un chilometro lanciato nell’ultima parte, ramificata del delta? Scivolare sul ghiaccio, dal Pian del Re al Polesine: può esistere un sogno tanto surreale da sfiorare la fantascienza? La letteratura può venire in soccorso.

Il più gelido inverno del XX secolo fu senza dubbio quello del 1929. Si conservano foto d’epoca dove si vedono contadini della Bassa che con le loro scarpe da lavoro passano da una riva all’altra senza bisogno di una barca, come personaggi di un circo. In quell’inverno cadde a Torino così tanta neve che il meglio del futuro antifascismo (Sandro e Carlo Galante Garrone, Aldo Garosci, Giorgio Agosti) registra l’evento nei diari e nelle corrispondenze epistolari. In un appunto, tratto da un’agendina di Sandro Galante Garrone, in data 29 dicembre 1929 si legge: «A sciare in collina con Carlo [Galante Garrone], Giorgio [Agosti] e Aldo [Garosci]». Per giovani destinati ad un brillante ma non facile futuro politico il passaggio dall’adolescenza alla maturità – siamo nell’anno del Concordato, del discorso di Croce in Senato, della gazzarra di studenti fascisti contro Francesco Ruffini – coincide con una turbolenza meteorologica senza precedenti.

In quel gelido inverno Primo Levi era un bambino di dieci anni. Giorgio Bassani di anni ne aveva tredici. La sorpresa di quello spettacolo colpisce entrambi. Il Po gelato lega due città (Torino e Ferrara) e due scrittori che s’ignorarono in vita, ma vedranno in quell’evento il segno di un presagio. Nel cap. VI di Lida Mantovani, la seconda delle Storie ferraresi, si legge: «Nessuno ha certo dimenticato l’inverno del 1929 […] quando il Po aveva gelato…». Il paesaggio è quello che si scorge arrivando ancora oggi in treno a Ferrara. Né Bassani, né Galante Garrone, né Garosci, né Agosti, né tanto meno Levi deportato lontano, potevano immaginare che il fiume gelato nel 1929 sarebbe diventato rosso di sangue nel 1945. 

In questi giorni passeggiando a Torino guardiamo l’ansa del fiume in direzione del Monviso, non ci viene certo in mente il gelo, ma l’arsura estiva. Il pensiero va naturalmente alla chiatta su cui Marcovaldo s’addormenta proprio sotto il ponte Isabella. In questo stranissimo inverno riesce difficile far correre la nostra fantasia verso il parco Leopardi. Solo con grande sforzo possiamo immaginare i fratelli Galante Garrone che fanno lo spazzaneve con Garosci e superano in volata Agosti. Guardando sotto le arcate è praticamente impossibile credere a Levi quando parla di Magnavigàia, l’amatissima Zia Abigaille del racconto Argon (Il sistema periodico). Come avrà fatto da sposa ad entrare in Saluzzo «a cavallo d’una mula bianca, risalendo da Carmagnola il Po gelato»? 

L’idea che si potessero risalire fiumi gelati non ha mai abbandonato Bassani e Levi. Non c’è solo il duplice ricordo femminile di Magnavigàia e Lida Mantovani. Nei tardi Anni Sessanta Levi si ricorderà di quell’esperienza reale vissuta a Torino quando aveva dieci anni. Attratto dal rapporto letteratura-scienza darà una risposta meravigliosa al souvenir d’enfance in Ottima è l’acqua (poi in Vizio di forma). E’ un racconto in cui si descrive il lavoro in un laboratorio chimico, sulle rive del Sangone, molto diverso da quello di Settimo Torinese dove Levi ha lavorato una vita. In questo luogo si studia la qualità dell’acqua. Un giorno un impiegato zelante s’ accorge che il tasso di viscosità sale vertiginosamente. E’ come se improvvisamente gelasse tutto: occluse le tubazioni, i lavandini impiegano più tempo per svuotarsi, anche gli umori del corpo (sangue, liquido lacrimale) si addensano. Apocalittica la conclusione, tutto si congela: «Il Mare dei Caraibi non ha più onde». Il ricordo nuziale della zia Abigaille si tramuta in un incubo. Profezia dell’inquinamento atmosferico o parabola di una catastrofe generata dall’uomo?

Alberto Cavaglion


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