Non può sorprendere che in fila ai seggi del referendum catalano ci sia stato anche Artur Mas, ex presidente della Generalitat, colui il quale ha messo in moto questo processo politico che mette a rischio i confini spagnoli. «Ho votato alla scuola del quartiere Gracia, mezz’ora prima del mio arrivo c’è stata una carica della polizia. Quella signora con la faccia insanguinata è una mia vicina di casa. Non è un caso che ci siano state irruzioni in tutti i seggi dove votavano i leader, Puigdemont, la presidente del parlamento e anche io».
Mas, perché il primo ottobre è stato un giorno così importante? «È il giorno in cui lo Stato spagnolo ha perso la Catalogna da un punto di vista emotivo e di progetto comune. Domenica abbiamo visto una cosa: ci sono più di 2 milioni di persone disposte a prendere le botte per difendere un’urna e una scheda». Perché la Spagna avrebbe perso i catalani da un punto di vista sentimentale? «Quando uno Stato perde, come minimo, la metà della popolazione e soprattutto la parte più dinamica e quella che ha più futuro, guardi i giovani, vuol dire che ha perso questo territorio». Da quello politico? «Amministrativamente oggi, il 2 ottobre, facciamo parte dello Stato spagnolo. Ma è questione di tempo». Quanto tempo?«Il più breve possibile. Ci saranno novità presto. Tra l’indipendenza dichiarata e quella reale, con uno Stato che realmente esercita il potere passa sempre un lasso di tempo. Sarebbe successo in Scozia se avesse vinto il sì al referendum». Con la differenza che lì sarebbe stata una transizione accordata. Qui è tutto il contrario, state facendo tutto da soli. «Certo, succede quando l’interlocutore, è in realtà un aggressore». E voi come pensate di trattare se nelle prossime ore dichiarerete l’indipendenza? «Anche quando l’indipendenza sarà dichiarata, continueremo a cercare dialogo a Madrid e Bruxelles». Il governo Rajoy dice: la responsabilità per gli incidenti ai seggi sono di chi ha organizzato un referendum illegale. Come risponde? «Questa non è una disputa sulla legittimità o meno del referendum. Quel tipo di discorsi si fanno in tribunale, e io lo so bene visto che mi hanno condannato per la consultazione del 2014. Qui siamo davanti a una cosa diversa: lo scandalo non è che lo Stato spagnolo non consentisse di votare, lo scandalo è che picchiava quelli che votavano. È molto diverso». Il Tribunale costituzionale lo ha detto chiaramente: quel referendum era completamente illegale. «Sì, ma le persone che stavano in coda non stavano commettendo un reato. Si possono processare quelli che non rispettano le sentenze del Tribunale Costituzionale. Un conto è dire: “Non riconosco la validità del tuo voto”. Un’altra è: “Se voti ti picchio”. Ecco lo Stato spagnolo ha scelto la seconda strada. “Voti: ti meno”». È una novità? «In Spagna no. Ma negli ultimi 40 anni soltanto altre due volte si è avuta una violenza di Stato: il tentato golpe di Tejero nel 1981 e le azioni dei Gal, i paramilitari che agivano contro l’Eta. Qui, come immagina, il contesto è molto diverso». Non c’è nessun ponte con Madrid. «Ora no. Prima sì». Lei è un uomo di grandi relazioni, anche a Madrid. Davvero non si può parlare? «Per iniziare a parlare ci chiedono una condizione: arrendetevi e abbandonate tutti i progetti politici che avete portato avanti in questi anni». Anche voi mettete una condizione: il referendum. «Sì, ma non l’indipendenza. Chiediamo di votare, una cosa che non è proibita dalla costituzione. Ci facessero una proposta e poi si vota: o la soluzione spagnola, o quella del governo catalano». Come se ne esce: si potrebbe riformare lo Statuto? «Un tempo sarebbe stata una soluzione possibile. Oggi non più. È cambiato il quadro ormai, la società catalana ha fatto un suo percorso diverso». Lei è stato condannato, con altri 8, a pagare un cauzione di 5,3 milioni per l’organizzazione del referendum del 2014. Sono molti soldi, ce li ha? «Non ce li ho. Si sta organizzando una raccolta. Fra meno di 20 giorni dobbiamo pagare, altrimenti mi tolgono la casa dove vivo. È una vendetta politica, perché ho osato sfidare lo Stato».