Italia
Raduno nazionale stile-elfi nei boschi del Modenese: “Rinnoviamo il rapporto con la natura”
Raduno nazionale stile-elfi nei boschi del Modenese: “Rinnoviamo il rapporto con la natura”
Da un paio di settimane, sul sentiero impervio della via Vandelli, a monte di Pievepelago, c’è un viavai di gente con lo zaino in spalla: la meta è una grande radura immersa nel bosco dove stanotte almeno cinquecento persone celebreranno la luna piena intorno al falò acceso per il raduno italiano del Rainbow, movimento hippy che discende più o meno direttamente dai fasti di Woodstock. Qualcuno li chiama «popolo degli Elfi», identificandoli con l’omonima comunità nel Pistoiese con cui condividono ideali e vicinanza con la natura, ma qui siamo di fronte a una realtà molto fluida, priva di gerarchie organizzative e sedi stabili, pronta a spostarsi di paese in paese per accamparsi in località sperdute, dove vanno in scena riti mutuati dalla tradizione dei nativi americani.
Il raduno europeo quest’anno si è svolto in Lituania, ma proprio le montagne di Pievepelago nel 2002 furono teatro di un Rainbow di proporzioni monumentali, con diecimila persone che non lasciarono neanche una carta per terra: «Hanno lasciato il bosco meglio di come lo hanno trovato – racconta Roberto Ponsi, barista del locale più vicino, in località Casoni, a un paio di chilometri - raccolgono solo legna secca per fare il fuoco e ripuliscono il sottobosco, qui hanno buoni rapporti con tutti».
Per raggiungere il luogo del raduno tocca scarpinare per una quarantina di minuti fra faggi e castagni, con sosta intermedia al Punto Welcome, dove un ragazzo scalzo con le treccine offre tisane e un cartello multicolore elenca usi e costumi della «famiglia Rainbow» nel nome di «amore, unità e rispetto»: «Non portare alcol, droghe, armi, apparecchiature elettroniche, astio, discordia, egoismo ed egocentrismo». Fra i compiti che aspettano «fratelli e sorelle», «tagliare e bruciare solo legna secca, usare solo acqua e cenere per lavarsi». Arrivare nella radura a 1.400 metri di altitudine all’ora di pranzo, trovandovi duecento persone rigorosamente scalze sedute in cerchio intorno a un fuoco che viene continuamente attizzato, dà l’effetto straniante di un ritorno improvviso agli anni ruggenti del movimento hippy: ci sono molti ragazzi fra i 20 e i 30 anni, donne in gonnelloni multicolori e uomini dai maglioni ampi Anni 70-style, fricchettoni storici che hanno passato i 50 e qualche famiglia con bambini che giocano seminudi fra gli alberi. «Il cerchio è un elemento decisivo del Rainbow perché è egualitario a tutti i livelli, non ha inizio né fine - spiega Serena, di Grosseto, che all’argomento ha anche dedicato la sua tesi di laurea in semiotica – Il primo Rainbow è stato fatto nel ’72 negli Stati Uniti, dopo che il festival di Woodstock si era chiuso tre anni prima con la gente rimasta lì a pulire tutto. In Italia invece è arrivato nell’82, portato dal Living Theatre».
Narra la leggenda che proprio a Woodstock, dove allucinogeni ed erba fecero la parte del leone, forse alimentando certe visioni, agli hippy impegnati nella pulizia dei prati del concertone apparve il bufalo bianco della religione Hopi, annunciando l’avvento di una tribù arcobaleno fatta da uomini di tutte le razze e credenze che avrebbe rimesso in sesto le sorti dell’umanità. «Di qui la nascita della famiglia Rainbow», conclude Letizia, 45 anni, di professione pittrice. Le tende tepee di foggia pellerossa forniscono lo sfondo giusto, ma è sempre il cerchio il vero protagonista: «E’ qui che si discute e si prende la parola passandosi il bastone della tradizione indiana – dice Roberto, 55 anni, di Milano -. Le decisioni vengono prese all’unanimità, si va avanti finché non c’è l’accordo di tutti».
Lorenzo, del Torinese, parla delle difficoltà di questo campeggio estremamente spartano, dove lo scopo è ritrovare se stessi in comunione con gli altri, anche a prezzo di docce con l’acqua gelida di fonte, servizi igienici fai-da-te (ci si allontana e si seppellisce, ndr), temperature notturne rigide e un’umidità feroce che penetra fin nel sacco a pelo: «Il freddo di notte è un’esperienza interessante, serve a farti riscoprire che la tua casa è troppo calda. Ognuno qui condivide il suo sapere: se sei esperto di yoga, danza o teatro ti metti a disposizione degli altri per i workshop».
Teatro-natura e yoga della risata sono fra le attività in programma. Per le spese comuni, a cominciare dalla cucina prettamente vegana, a fine pasto scatta la colletta, quando un gruppo di ragazzi passa cantando col cappello in mano a raccogliere le offerte. Per i compiti pratici, soprattutto far legna e cucinare per tanta gente, la parola d’ordine è «spontaneismo»: «Qui vai in cucina e ti autoproclami chef, e se manca gente per aiutarti urli “help in the kitchen” e arrivano gli aiutanti – dice Tomaso, architetto 40enne di Novi Ligure – E’ una sorta di autogestione con poche regole comuni».
Stasera è plenilunio, il culmine del Rainbow, poi tutto finirà entro il 13 settembre, con la luna nuova, dopodiché la parola ripasserà al cerchio, per decidere la sede del prossimo raduno: «L’impatto con la natura è zero, prima di andarcene ripuliremo tutto, come abbiamo sempre fatto, per questo la gente del posto ci adora – spiega Alina, 57 anni, di Empoli – Il bastone della parola che passa fra le persone in cerchio è un segno di fratellanza».
franco giubilei