Da La Stampa
L’INCHIESTA SU PALAZZO LASCARIS
I rimborsi folli dei consiglieri regionali
Le spese sospette sfiorano il milione
I pm Andrea Beconi e Enrica Gabetta cominceranno domani la lettura dell'ampia relazione della Finanza
In nota spese persino il cambio delle gomme per l’auto: è probabile l’intervento della Corte dei Conti
CLAUDIO LAUGERI
Poco meno di un milione di euro: a tanto potrebbero ammontare le spese sospette dei gruppi consiliari. Dopo gli accertamenti della Guardia di Finanza, c’è anche chi in Regione ha incominciato a fare qualche conteggio, nell’eventualità che prima o poi qualcuno chieda conto di quei pagamenti. A conoscere i segreti di quelle spese sono proprio i consiglieri o i loro collaboratori.
Le cifre
Seguendo il modello delle contestazioni già fatte dai pm Andrea Beconi e Enrica Gabetta con i primi quattro avvisi di garanzia per peculato, è facile immaginare una cifra vicina al milione di euro. Gli investigatori del Nucleo di Polizia Tributaria, però, hanno fatto un lavoro più approfondito, come già nella prima tranche dell’inchiesta. Anche allora, i militari avevano evidenziato le spese palesemente illecite, separandole da quelle soltanto «sospette», che richiedono una più attenta valutazione da parte dei magistrati: un 15-20 per cento in più rispetto alle spese considerate illegali a prima vista. Così, la cifra arriverebbe a superare il milione.
E potrebbe lievitare ancora, se osservata con la lente della Corte dei Conti. Alla magistratura contabile non serve una condanna penale per attribuire responsabilità e quantificare il «danno erariale». È sufficiente la «colpa grave», cioé un comportamento improntato a «negligenza massima» o ancora «un atteggiamento di estremo disinteresse nell’espletamento delle proprie funzioni».
Il meccanismo
La relazione di oltre 400 pagine della Finanza su dieci gruppi consiliari è stata appena consegnata in procura. I militari tacciono, lo stesso vale per i pm. Ma i consiglieri regionali e loro collaboratori conoscono bene il meccanismo. Qualcuno ha assistito ai «rimborsi allegri», ma anche soltanto agli sprechi. Sovente, i soldi venivano utilizzati per organizzare eventi oppure trasferte di iscritti al partito di riferimento del gruppo consiliare, ma con incarichi in altre amministrazioni più «povere». Nessun problema, basta mungere «mamma Regione». C’è anche chi racconta di bollette da migliaia di euro per smartphone di ultima generazione utilizzati all’estero senza disinserire la funzione di «roaming». Tanto paga la Regione. Il collaboratore di un gruppo consiliare non ha ancora digerito i rimborsi ottenuti da un politico per il cambio degli pneumatici e per la revisione della propria auto.
Doppio binario
Qualcuno non ci sta, nell’anonimato rivendica la propria correttezza. Assicura che in mezzo alle migliaia di documenti esaminati dalla Guardia di Finanza ci sono pure le ricevute di ristoranti, gli scontrini di bar con tanto di annotazione sul retro per spiegare tipo di manifestazione e numero di ospiti. Massima trasparenza, che magari è finita nello stesso scatolone assieme a spese per cene di gruppo o trasferte in località turistiche, senza uno straccio di ulteriore giustificativo. Eppure la massima trasparenza e assoluta opacità hanno qualcosa in comune: la stessa firma in fondo all’autorizzazione al pagamento. Già, perché la legge affidava quel compito al capogruppo. Possibile che la differenza così palese delle richieste di rimborsi sia passata inosservata? In una situazione del genere, sembra difficile riuscire a sostenere la buona fede.
La prassi
Nel tempo, la prassi ha dilatato le già ampie maglie del sistema. La percezione dei confini tra lecito e illecito sono diventati sempre più difficile. Certo, le serate al night, le sedute di solarium, i tosaerba e gli pneumatici per l’auto paiono al di là di ogni possibile giustificazione. Ma fino a qualche anno fa (e forse anche in tempi più recenti), c’erano abitudini consolidate assai distanti dal rigore sabaudo. Come il «giro» di pizze ordinate a tarda sera quando le sedute consiliari andavano per le lunghe. Secondo prassi consolidata, il conto veniva saldato dal gruppo con il maggior numero di consiglieri. O in alternativa, da un altro gruppo della maggioranza di governo. L’appetito è trasversale, tutti erano d’accordo. Risultava una «spesa di funzionamento del gruppo consiliare».
Nella stessa categoria venivano fatte rientrare anche le cene (una decina di persone) in chiusura di Consiglio. Ristoranti di livello, non troppo lontani da Palazzo Lascaris. Erano invitato anche i collaboratori, che magari si accontentavano di una pizza. Qualche consigliere faceva lo stesso, altri approfittavano dell’occasione per concedersi filetto, gamberi e vini adeguati alle pietanze. Sovente, in quelle tavolate sedevano anche i capigruppo, che dovevano approvare le spese dei colleghi. A pancia piena, è difficile negare una firma.
Party a spese pubbliche
Lo stesso vale per i «coffee break», in voga nelle riunioni di qualche gruppo consiliare. A metà mattinata (o pomeriggio), spuntavano tavole attrezzate di tutto punto: dai croissant, ai panini, ai tramezzini, alle bevande .
Aneddoto nell’aneddoto, per qualche tempo a rifornire i politici era un bar vicino a Palazzo Lascaris. Faceva persino sconti sul prezzo di bibite e panini. Poi, qualcuno ha deciso di cambiare fornitore, scegliendo un locale alla moda. E prezzi raddoppiati. Tanto, era a spese della Regione.
In mezzo a tanti esempi di gestione «allegra», a qualcuno è rimasto impresso anche un altro episodio, di tutt’altro segno. Pomeriggio d’autunno, giornata fredda, ma non troppo. Il capogruppo decide di ringraziare i collaboratori per il lavoro fatto. Così, chiama uno di loro e gli chiede di andare a prendere una vaschetta di gelato con un po’ di cioccolata calda. E visto l’andazzo, non credono ai propri occhi quando il politico apre il portafogli e paga di tasca propria. Mai più accaduto.