Spettacoli
“Mi rivelo senza cappello”
Cambio di look in scena dopo 20 anni, canta “Anema e core” con la moglie
Dopo Modena e Torino, il cantautore in tour nei club di Europa e Usa
Cambio di look in scena dopo 20 anni, canta “Anema e core” con la moglie
Dopo Modena e Torino, il cantautore in tour nei club di Europa e Usa
Se a levarsi il cappello dopo vent’anni buoni è un artista qualsiasi, chi se ne importa, ma quando è Francesco De Gregori a farlo, nella data di debutto del nuovo tour in Europa e negli States, anche un dettaglio futile come questo suscita curiosità, per poi scoprire dalla viva voce del cantautore che, siccome ha accorciato la capigliatura, «i capelli corti stanno male col cappello e me lo sono tolto». Magro e nerovestito, il Principe ha affrontato il pubblico nella dimensione intima del club, in questo caso il Vox di Nonantola, con una scaletta di 23 brani e la sorpresa finale del duetto con la moglie Francesca Gobbi in un classico della grande canzone napoletana, Anema e core, legato a un ricordo personale di De Gregori con la compagna in un ristorante a Napoli.
«Molti artisti amano i posti piccoli e anch’io preferisco vedere il pubblico da vicino - ha detto De Gregori subito dopo il concerto -, anche Springsteen suona sempre nello stesso teatro, una dimensione che bilancia l’esperienza live degli spazi più grandi, poi io non è che canti per 50 mila persone. Sono dieci anni che faccio 40-50 concerti all’anno, ora ho chiesto di staccare e di andare all’estero». Quattro date in Italia, ieri sera la seconda a Torino, e poi via a Bruxelles e a Parigi: «Vado al Bataclan perché lì si è fatta e si farà sempre musica, ed è una risposta di normalità al terrorismo che vorrebbe sospenderla». Di tournée all’estero ce ne sono già state, ma negli Usa sarà la prima volta: «Così quando smetterò di suonare potrò dire di averlo fatto al Folk Studio, al Vox e al Town Hall di New York».
In scaletta c’è pure un pezzo di Bob Dylan, Un angioletto come te, un omaggio al vecchio maestro che assumerà un sapore particolare quando lo canterà agli americani: «Non credo che mi tireranno i bicchieri addosso per questo, del resto lo stesso Dylan cantò Les feuilles mortes a Parigi e lo fece in inglese». Va detto che il brano dell’americano è uno dei momenti migliori dello show di De Gregori, performance su toni sommessi accompagnata da Guido Guglielminetti a basso e contrabbasso, Carlo Gaudiello piano e tastiere, Paolo Giovenchi chitarre e Alessandro Valle a pedal steel guitar e mandolino. Un concerto double face, con rarità mai o quasi mai eseguite dal vivo, a cominciare da Deriva, mai fatta prima, per proseguire con Numeri da scaricare, I matti e Falso movimento.
Poi una seconda parte con pezzi noti, La leva calcistica della classe ‘68, Generale, Buonanotte fiorellino, Viva l’Italia, Rimmel, Titanic, La donna cannone, Alice, «perché non sono scemo e così la gente se ne va a casa contenta», commenta con sano realismo De Gregori, che torna anche su una sua vecchia abitudine di stravolgere i propri brani dal vivo: «Il pubblico ha il diritto di sentire l’artista che sul palco si esprima con assoluta sincerità. Forse una quindicina d’anni fa li stravolgevo troppo, ma d’altra parte se Dylan avesse eseguito Like a Rolling Stone come fa sul disco avrei pensato ‘ammazza com’è bravo a rifare se stesso».
Alla domanda se, fra le nuove leve di autori italiani, ce ne sia qualcuno degno di raccogliere l’eredità dei cantautori italiani old school, risponde con un secco «No, non li ascolto», la stessa risposta riservata alla domanda se stia componendo qualcosa di nuovo: «Ho il pianoforte aperto dentro casa ma me ne tengo alla larga, lo scanso». Una parola finale per Vasco, di cui ha cantato Vita spericolata, ricambiato dal Blasco con Generale - «Vasco è molto riservato, lo ammiro anche per questo» -, e una per Ligabue, che rispetto al primo «ha forse meno barriere intorno; anche lui è molto riservato e forse più curioso di Vasco: mi interessava la sua voce da orco, a contrastare la voce di adolescente in Alice».
Franco Giubilei