Cultura
La lezione catalana
sull’europa
delle minoranze
Come mai la causa degli indipendentisti catalani attira tanta simpatia? Il principio di legittimità su cui si fondano le nostre democrazie è la partecipazione dei cittadini al governo attraverso il voto. Non è sempre stato così ma oggi la grande maggioranza di noi pensa di dovere obbedienza allo Stato non perché esso fornisce servizi utili (per esempio l’amministrazione della giustizia o la difesa nazionale), ma perché chi lo guida è stato eletto dal popolo. Nonostante la storia ci ricordi che il popolo ogni tanto è ben felice di scegliersi un padrone, l’idea di limitare la democrazia ci risulta odiosa. Se la legittimità dei governi si fonda sul voto, un governo che ne impedisce l’esercizio può essere legittimo?
Il plebiscito catalano era, com’è noto, illegale per la Costituzione spagnola, che non prevede il diritto di secessione. Ma raramente un movimento secessionista può procedere «legalmente», dal momento che desidera produrre una frattura. Ciò non significa che esso debba essere violento. Islanda, Norvegia e, più recentemente, Slovacchia sono riuscite a raggiungere l’indipendenza senza spargimenti di sangue. Questo è un progresso, non un’eventualità da scongiurare.
Cosa deve fare il resto d’Europa? Dalla risposta a questa domanda può dipendere il futuro del processo d’integrazione. Se l’Unione Europea è un «cartello» di Stati, per forza deve prendere le parti di Madrid, come ha fatto il portavoce della Commissione, Martin Schinas. Ma se l’Europa, come ci è stato raccontato in questi anni, è invece qualcosa di più, allora questa scelta non è affatto scontata. I catalani vogliono rimanere nell’Unione Europea, non mettono in discussione il mercato comune né la libertà di circolazione. Anni fa gli europeisti più convinti predicavano il «principio di sussidiarietà», per il quale le decisioni politiche debbono avvenire non necessariamente al livello del governo nazionale, ma nel luogo in cui è più opportuno e efficace che vengano prese. Questo può voler dire una devoluzione «verso l’alto» (se si discute di politica doganale) ma anche «verso il basso» (se si parla di come organizzare servizi ai cittadini come sanità o scuola). L’una è probabilmente impossibile senza l’altra.
Ciò non è in contrasto con la globalizzazione economica. Una maggiore integrazione economica, come ricordano gli studi di Alberto Alesina, allenta la necessità di mantenere vivi Stati nazionali che sono sorti anche come blocchi commerciali e «protezionisti». Un’economia aperta non ha bisogno di essere un grande mercato nazionale, perché per i suoi prodotti sceglie come mercato il mondo.
Se uno sforzo va fatto al di fuori della Spagna, a Bruxelles e negli altri Paesi europei, dev’esser quello per rendere questo processo quanto più possibile ordinato e compatibile con la tutela delle minoranze. Un plebiscito può rivelarsi un atto politico violentissimo. Il referendum catalano doveva essere efficace con una maggioranza semplice, e indipendentemente dal livello di partecipazione raggiunto.
Il che è assolutamente coerente col principio democratico, ma è pure problematico. Anche nelle assemblee parlamentari, cambiamenti di rilievo costituzionale di solito hanno bisogno di maggioranze «rinforzate». Meccanismi di questo tipo rassicurano le minoranze e impongono alle maggioranze di cercare di convincerle, anziché schiacciarle con la forza dei numeri. È vero che in Catalogna ha votato sì il 90%, e che la partecipazione (42%) è stata disincentivata dalla polizia: regole diverse, però, avrebbero aiutato a legittimare il referendum innanzi alla comunità internazionale.
L’idea di nazione è da sempre ambigua. Una nazione può essere un patto che si rinnova ogni giorno fra chi ci vive; oppure «sangue e suolo». La prima versione dell’idea di nazione è compatibile con un sistema politico nel quale le teste si contano e non si tagliano, la seconda no. Questo non è un dettaglio. Come per le persone, anche per le comunità legalizzare il divorzio può rappresentare un modo per risolvere i conflitti, prima che diventino esplosivi.
Alberto Mingardi