ebook di Fulvio Romano

mercoledì 4 ottobre 2017

1946-48 1946-48, così l’Italia ritornò al futuro

LA STAMPA

Cultura


La Repubblica inquieta: nel nuovo libro di Giovanni De Luna

gli slanci e i conflitti da cui nacque la Costituzione

Con la Costituzione, i partiti della Resistenza, oggi possiamo dirlo, avevano vinto e il loro processo di legittimazione, iniziato con le armi nel biennio 1943-45, poteva dirsi definitivamente concluso. Non era certo la Costituzione dei Cln e tuttavia i Cln ne avevano segnato in modo marcato l’impronta «partitocratica». È vero, il prezzo pagato alla «continuità dello Stato» fu molto alto, ma a pagarlo furono soprattutto «gli uomini della Resistenza», non tanto nelle loro carriere professionali o nei loro destini individuali, quanto nell’improvviso e drastico smarrimento di quel potere costituente che per un momento era sembrato appartenere a essi e solo a essi. 

Il momento della scelta

Era un percorso probabilmente inevitabile, che quando era cominciato aveva guardato agli uomini in armi come ai depositari di una sovranità popolare che, sulle macerie dello Stato totalitario, si affermava direttamente nelle coscienze dei singoli. Le bande partigiane furono, lo disse Guido Quazza, «un microcosmo di democrazia diretta»; lo furono non tanto perché applicarono il principio della collegialità nei processi decisionali (le esperienze in questo senso furono davvero molto ridotte), quanto perché permisero a un’intera generazione di affacciarsi alla politica scavando nella propria coscienza, attingendo alle proprie motivazioni individuali, proponendo la propria scelta partigiana come il fondamento di una rigenerazione collettiva che avrebbe potuto realizzarsi soprattutto in un apparato istituzionale rifondato dal basso.

In questo senso, ancora prima della «banda», ancora prima del suo definirsi intorno a un’opzione partitica, ci furono gli uomini che scelsero dopo l’8 settembre di impugnare le armi: venuta meno la sovranità statale ognuno di loro si trovò in una condizione di «naturale assolutezza», ognuno, nel momento di andare in banda, divenne «sovrano». E in quella scelta del singolo come atto sovrano c’erano le potenzialità per produrre, attraverso la lotta armata, un nuovo ordine giuridico e politico. Fu l’emergere di un concetto nuovo di sovranità il cui titolare non era più il popolo come entità unica (questo si era detto e scritto prima), ma tutti i singoli cittadini che lo compongono e ciascun cittadino esercita la sovranità attraverso le sue libertà e i suoi diritti politici.

Resistenza degli uomini

Queste istanze, nella banda, si raccolsero intorno ai concetti chiave della partecipazione e dell’autogoverno; in uno stadio successivo, nelle prime formulazioni a caldo dei partiti, divennero il «via i prefetti» dei liberali, la «democrazia progressiva» dei comunisti, la «rivoluzione progressiva» dei democristiani, la «rivoluzione democratica» degli azionisti, la «repubblica socialista dei lavoratori» dei socialisti; trovarono poi la loro compiuta definizione nella «Costituzione dei partiti». Oggi che di quei partiti, della loro forma organizzativa ma soprattutto della loro storia, non è rimasto niente se non macerie, forse è il caso di ripartire dalla Resistenza degli uomini.

La Resistenza fu qualcosa più grande dei Cln e dei partiti che la guidarono, perché la Resistenza fu soprattutto la «moltitudine delle vite concrete dei resistenti», di quanti interpretarono l’8 settembre 1943 come la fine di una stagione di carestia morale e di avvelenamento delle coscienze, vivendola come il momento in cui finalmente non ci si doveva vergognare di sé stessi e si potevano riscattare venti anni di passività e di ignavia. E fu quella scelta che contribuì a fare del 25 aprile 1945 una data fondamentale della nostra religione civile. Perpetuarne il ricordo significa ritrovare la scintilla di allora in chi oggi mette in atto scelte altrettanto consapevoli, violando deliberatamente le regole del conformismo e del compiacimento, in chi si avventura nei luoghi dell’emarginazione e della sconfitta, in chi sfida il male nel silenzio delle istituzioni, in chi testimonia la volontà di rompere la crosta dell’egoismo e degli interessi particolari.

Ed è proprio la Resistenza degli uomini che oggi ci dà speranza, ci invita a essere ottimisti rispetto alle nostre inquietudini. Quelli che diventarono partigiani erano uomini e donne che, come tutti, avevano slanci e coraggio, debolezze e fragilità, forza d’animo, generosità e limiti caratteriali. Erano persone normali. Eppure, all’appuntamento con la storia, diedero il meglio di sé; combattendo diventarono migliori e migliorarono questo paese.

Non fu sufficiente per «fare la rivoluzione». Ma servì a darci una democrazia. Non fu in grado di spezzare la vischiosità della «continuità dello Stato». Ma ci restituì la libertà. Non riuscì a scalfire lo zoccolo duro del familismo e della diffidenza verso la cosa pubblica. Ma in soli tre anni scatenò una somma di energie vitali che portarono al «miracolo» della ricostruzione. Non fu capace di riunire e pacificare le molte Italie che si confrontarono nel nostro paese. Ma ne fece emergere una, affollata di uomini liberi, che si rivelò decisiva per riscattare il nostro passato e garantire il nostro futuro. Lasciò intatto un apparato istituzionale nostalgico del fascismo. Ma ci diede una classe politica che si rivelò pienamente all’altezza dei suoi compiti e seppe resistere alle serpeggianti tentazioni autoritarie.

Da partigiani a elettori

Ed è proprio sulla Resistenza degli uomini che oggi trova fondamento la nostra Costituzione. «La costituzione» affermò Piero Calamandrei in un suo citatissimo discorso del 1955 «è la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo. Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori - il caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo - io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui - queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese, della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese». I partigiani, gli uomini in armi, erano diventati elettori, ed erano restati uomini, proponendo direttamente il proprio vissuto come l’elemento indispensabile «perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su quella carta».

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Giovanni De Luna


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