ebook di Fulvio Romano

giovedì 14 agosto 2014

Uno zoo politico sempre più cupo: dal tacchino sul tetto ai gufi ed avvoltoi

LA STAMPA

Italia

Dal tacchino a gufi e avvoltoi

Lo zoo politico s’è fatto cupo

Etologia al potere: dai detti campagnoli di Bersani alla nuova stagione

Matteo Renzi propone che l’inaugurazione dell’Expo sia «un no gufi day»; e l’altra sera, intervistato da Mia Ceran a Millennium, ha evocato la parola «zoo»: «Tra gufi, sciacalli e avvoltoi ormai potremmo fare uno zoo». Ma se evochi lo «zoo» la minima cosa che ti puoi aspettare è che a chi ascolta torni in mente... il tacchino. Con effetti imprevisti.

Sì, il tacchino sul tetto, proprio quello. Cioè Bersani e la metafora più clamorosamente infelice della recente storia politica. Anche lì eravamo in campo zoologico, era il novembre del 2012, il faccia a faccia tv tra l’allora segretario e il sindaco di Firenze. Renzi aveva spiegato poco prima che occorreva un accordo per la Svizzera per tassare i capitali esportati illecitamente dall’Italia, e Bersani replicò a modo suo, masochistico (anche se involontariamente divertente). Disse di aver parlato col presidente dei socialdemocratici tedeschi: «Anche lui ama le metafore. Su questa storia dell’accordo con la Svizzera, dice: “So anch’io che c’è tanta gente che preferisce un passerotto in mano piuttosto che il tacchino sul tetto, però questo è un condono. E fino a questo punto di trattativa, se non cambia nei prossimi giorni, è un condono”». Grande fu lo sconcerto nel pubblico; non per il contenuto (a chi importava?), ma per quell’assurda frase, il tacchino, il tetto. Si scoprì poi che il segretario aveva per lo meno mal tradotto il detto tedesco («meglio un passerotto in mano piuttosto di un piccione sul tetto», che è l’equivalente tedesco del nostro «meglio un uovo oggi che una gallina domani»). Cosa che in alcuni (non in tanti, a quel tempo, erano pro Renzi) rafforzò la sensazione istintiva che il bersanismo fosse anche linguisticamente qualcosa di arcaico.

Anche altri animali piacevano molto a Bersani; chiuse una campagna gridando «lo smacchiamo, lo smacchiamo (il giaguaro)», a quel punto l’imitazione di Crozza era diventata già proverbiale, un genere. Passerotti, tacchini, giaguari, alla fine il minimo che potessero fare fu presentargli il conto facendogli fare la figura del pollo.

Ma gli animali bersaniani tradivano un immaginario tutto sommato solare, lo zoo era uno zoo per bambini e nonne di campagna; con Renzi è diverso. Mettendo qui tra parentesi le cose serie - l’economia, sulla quale permangono seri problemi - il premier si sta cucendo addosso da solo un immaginario fatto di animali cupi (i gufi), per non dire palesemente profittatori (gli sciacalli e gli avvoltoi), o iettatori, gli «uccellacci del malaugurio» di cui scrisse. È una visione del mondo che Renzi naturalmente addebita a chi lo critica, non a sé, ma gli finisce appiccicata addosso, ci pensi; rischia di essere dal punto di vista della comunicazione un purissimo autogol, la sensazione di qualcosa di buio, e di una lingua troppo aggressiva. Si dirà che è la politica, bellezza; anzi, lo zoo della politica.

jacopo Iacoboni


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