Esteri
“Buenos Aires addio
Spostiamo la capitale”
L’idea della Kirchner: a Santiago del Estero per aiutare le aree più povere
L’idea della Kirchner: a Santiago del Estero per aiutare le aree più povere
C’è un proverbio in Argentina che tutti conoscono, ma la cui sopravvivenza viene ora minacciata da un progetto politico che sta diventando sempre più concreto. Dice: «Dio è ovunque, ma riceve solo a Buenos Aires» e significa che per sbrigare le faccende serie, sbrogliare i garbugli burocratici e chiudere gli affari veri, è comunque e sempre qui che bisogna andare a parare. Così è stato dall’Ottocento a oggi, ma così ora potrebbe non essere più, da quando ieri l’altro la presidente, Cristina Kirchner, ha detto che «è tempo di trasferire la capitale del Paese altrove», e, magari, di metterla proprio nella sperduta cittadina del Nord da cui stava parlando: la povera Santiago del Estero.
«È solo un’idea», ha chiarito Cristina poco dopo aver lasciato attonita la platea. Ma è anche un’idea di cui il governo parla sempre più spesso: in nome della deregolamentazione, della sicurezza militare e della necessità di stimolare le zone depresse, si è cercato un punto equidistante tra gli oceani Pacifico e Atlantico, trovandolo in questa località termale, governata da un fedele alleato della Kirchner e perciò coccolato con regali politici come questo.
Così, la «Regina del Plata», in cui vive il 33% della popolazione, che produce il 40% del Pil e dove si concentra il 60% dei servizi, vede il suo prestigio messo a repentaglio da un abitato di 250 mila anime, raggiungibile quasi unicamente attraverso una statale a doppio senso di marcia lunga 1000 km e per di più, disseminata di buche.
Santiago è un posto ricco di storia gaucha e tradizioni, ma dove il passato brilla più del presente: le famiglie di contadini che costituiscono il grosso delle sue genti, l’hanno abbandonata con costanza per tutti gli ultimi vent’anni. Si vendono i campi ai latifondisti e si va a cercare fortuna nelle problematiche baraccopoli di Buenos Aires. Così è stato anche, per esempio, per i genitori di Carlos Tevez: partiti da Santiago e finiti a fare i conti con la mala nel quartiere di Fuerte Apache, in cui è cresciuto l’attaccante della Juve.
D’altra parte, la proposta di usare questo posto come punto di leva per risollevare tutta la regione è ambiziosa, rischiosa ma non del tutto fantascientifica: il vicino Brasile ha infatti creato Brasilia nella seconda metà degli Anni Cinquanta, senza che Rio de Janeiro o San Paolo sprofondassero nel degrado.
La stessa cosa, poi, fu tentata anche in Argentina nel 1986. Si chiamava Progetto Patagonia e prometteva di trasferire i tre poteri dello stato da Buenos Aires a Viedma. Quella volta mille chilometri erano da fare verso il gelido sud. Ricardo Alfonsin, il primo presidente dell’Argentina democratica dopo il crollo della dittatura militare, ci mise la faccia e un sacco di soldi, perdendo irrimediabilmente entrambi. Le conseguenze furono gravi: migliaia di persone erano già emigrate a Viedma nella speranza di trovarsi a vivere nella nuova capitale, altre, avevano investito tutto in terreni e attività che non partirono mai.
filippo fiorini