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venerdì 29 agosto 2014

Sblocca Italia. Legge tagliola sulle opere pubbliche

LA STAMPA

Economia

Legge tagliola sulle opere pubbliche

Lo Sblocca Italia introduce un principio che imporrà tempi certi pena la perdita del finanziamento

La promessa di mobilitare fino a 43 miliardi di euro si è rivelata troppo ottimista. Nella migliore delle ipotesi, il decreto Sblocca-Italia permetterà di finanziare opere per poco più di tre miliardi di euro. Ma far ripartire gli investimenti è un problema di qualità prima ancora che di quantità: «Tutti chiedono soldi, a partire dai sindaci e dai presidenti di Regione. Poi però non si mettono nelle condizioni di spenderli», spiega una fonte governativa. Basti citare il caso dei fondi europei deliberati nel 2007 e che le Regioni del Sud non sono ancora riuscite a spendere. Ecco perché nella versione finale del provvedimento troverà spazio un principio che d’ora dovrebbe essere applicato a tutte le opere: se un progetto non partirà entro una certa data il finanziamento verrà cancellato. Ad esempio la linea Napoli-Bari, uno degli interventi prioritari del decreto: la scadenza dovrebbe essere fissata in un anno.

Sul testo che il consiglio dei ministri dovrebbe approvare oggi c’è tuttora molta incertezza. Il preconsiglio tecnico che ieri doveva discutere dei dettagli è stato spostato a oggi. La comunicazione fra i ministeri è difficoltosa, la sensazione è che si senta la mancanza di quella cabina di regia a Palazzo Chigi che Renzi ha annunciato ma non ancora organizzato. Quando i singoli progetti sono finiti sul tavolo del Tesoro, sono stati quasi tutti respinti per mancanza di coperture. È il caso dell’ampio pacchetto proposto da Lupi: una lunga lista di opere da finanziare, la conferma fin d’ora degli ecobonus per le ristrutturazioni edilizie anche nel 2015, uno sgravio per chi acquista nuove case e le affitta a canone concordato per almeno otto anni.

Dopo qualche mese di maggiore disponibilità a spendere, il peggioramento delle stime di crescita ha convinto il Tesoro a tornare al massimo rigore. «Il tre per cento non verrà assolutamente superato, le spese verranno coperte là dove servono», diceva ieri Padoan. Quel «là dove servono» conferma la linea imposta da Via XX settembre che punta a rinviare alla legge di Stabilità ogni euro di spesa corrente che non sia possibile finanziare con fondi esistenti. Fuori la scuola (mancano quelli per l’assunzione del precari), gli ecobonus, e spuntata la lista delle infrastrutture da finanziare, nel pacchetto potrebbe entrare in extremis lo sgravio per l’acquisto e l’immediato affitto delle case. Gran parte delle opere potranno contare sullo spostamento di poste rimaste inutilizzate. A disposizione ci sono fra i 3 e i 3,5 miliardi di euro: di questi, meno di un miliardo sono nuovi finanziamenti. A questi si aggiungono i fondi per il dissesto idrogeologico, in questo caso legati all’uso di quelli europei. Per rafforzare le coperture del decreto c’è chi ha proposto di dare un taglio netto alle partecipate degli enti locali. Le strade sono due, entrambe difficili da percorrere: o si impongono sanzioni ai Comuni che non adempiono - ad esempio bloccando l’uso delle addizionali - o si sceglie la strada degli incentivi. Alla prima è contraria l’Anci, la seconda ha bisogno di essere finanziata: l’ipotesi è quella di concedere uno sblocco del Patto di stabilità interno per il quale non ci sono più di 250 milioni di euro.

In tempi di vacche magre per le infrastrutture meglio puntare su norme che permettano di rendere più semplice il coinvolgimento di banche, imprese e della Cassa depositi e prestiti. Uno dei pochi capitoli sui quali Tesoro e Infrastrutture si sono trovati d’accordo è di tentare il rilancio dei project bond, uno dei tanti modi per spingere i privati a contribuire al finanziamento delle opere pubbliche e utilizzato finora solo per il passante di Mestre. Strada in discesa invece per le misure a costo zero: alle semplificazioni edilizie per provati e cantieri minori, al silenzio assenso per le autorizzazioni paesistiche e in caso di ritrovamento di reperti archeologici di importanza secondaria.

alessandro barbera


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