Economia
Tornare alla crescita con i soldi della Bce
Per rilanciare i consumi Francoforte potrebbe varare a breve il “Quantitative easing”: un acquisto massiccio di titoli privati e pubblici già sperimentato negli Usa che però non piace a Berlino e divide gli economisti. Ecco perché
Non sempre ciò che è bello è anche vero»; tempo fa Olivier Blanchard, capoeconomista del Fmi riassumeva così il dramma della «scienza triste» dopo lo scoppiare della Grande crisi. La regina d’Inghilterra aveva già umiliato gli economisti chiedendo con sublime, finta ingenuità perché nessuno di loro l’avesse vista arrivare. Ma il problema di fondo è che molti modelli matematici, per quanto eleganti, sono ormai da rottamare. E che non si capisce più bene cosa potrebbe rimettere in moto l’economia europea, afflitta dal rischio di una lunga stagnazione. In particolare sulle politiche monetarie, Blanchard ammetteva che d’ora in poi la teoria «sarà molto più disordinata di come l’abbiamo conosciuta ad oggi». E uno dei capitoli più dibattuti riguarda il «quantitative easing», l’acquisto di titoli pubblici e privati in grande quantità che molte banche centrali stanno già facendo da anni e che la Banca centrale europea potrebbe decidere a breve. Ma sui suoi effetti, gli economisti sono ancora divisi.
L’obiettivo di un acquisto ampio di bond è quello, aumentando la domanda, di abbassare i rendimenti sui prestiti e sui titoli, dunque di battere la deflazione e stimolare l’economia. Infatti, in genere le banche decidono una mossa del genere dopo aver esaurito gli strumenti ordinari, in primo luogo dopo aver tagliato i tassi di interesse ufficiali ai minimi. Soltanto con un acquisto massiccio di titoli privati e pubblici si può sperare di ottenere un ulteriore calo. Se la Bce sta pensando di azzardare una misura del genere, molto osteggiata dai tedeschi, è perché l’inflazione sta scendendo a ritmi talmente rapidi da suscitare ansie su un possibile scivolamento dell’Eurozona verso la deflazione. Inoltre, schiacciando i rendimenti sui bond governativi e privati, la speranza è anche quella di dirottare i soldi in circolo su altro, su investimenti, consumi, azioni, riattivando l’economia.
Non è un caso che prima della Grande crisi sia stato il Giappone - Paese immerso per un ventennio nella deflazione - a tentare la carta del cosiddetto «alleggerimento quantitativo». Ma dopo il 2007 anche negli Usa, nel Regno Unito e in Svizzera sono state avviate operazioni del genere, per riavviare la crescita. Dopo lo scoppiare della bolla immobiliare americana, la Federal Reserve è corsa ai ripari con ben tre operazioni di «Qe», la prima delle quali annunciata a novembre del 2008, in un momento in cui il sistema finanziario internazionale stava rischiando il collasso planetario per il fallimento di Lehman Brothers, il 15 settembre.
La banca federale statunitense ha comprato negli ultimi anni, in diverse «puntate» di Qe, migliaia di miliardi di bond governativi e privati, soprattutto quelli legati al settore immobiliare, epicentro della Grande crisi. L’ultimo «Qe» è stato deciso dall’ex governatore della Fed alla fine del 2012, quando Ben Bernanke ha annunciato che avrebbe acquistato 85 miliardi di titoli legati all’«housing», cioè ai mutui per le case.
Ma quando, un anno dopo, il numero uno della Fed ha fatto sapere che avrebbe iniziato a comprare meno titoli perché intenzionato a uscire dalla fase emergenziale e che, in prospettiva, avrebbe anche ricominciato anche ad alzare i tassi di interesse non appena la disoccupazione fosse scesa sotto il 6,5% e l’inflazione si fosse stabilizzata al 2%, in Europa qualcuno ha cominciato a tremare - banchieri centrali in primo luogo - temendo fughe di capitali verso gli Stati Uniti e squilibri nei mercati dei rendimenti ma anche in quello delle valute. Di recente, invece, la notizia che l’attuale presidente della Fed, Janet Yellen, potrebbe avvicinare il momento per un aumento del costo del denaro, ha avuto l’effetto di rafforzare il dollaro, perché significa che la previsione di un recupero economico degli Stati Uniti è solida. Una buona notizia anche per l’Europa, che ha bisogno di raffreddare l’euro ed esportare di più per garantirsi una ripresa meno anemica.
Per la Bce, che al momento è lontanissima dagli obiettivi dichiarati di inflazione - il 2% - perché nell’eurozona è scivolata ormai allo 0,4%, la difficoltà maggiore di una mossa del genere non è di natura economica, ma politica. La Germania, aggrappata ai suoi modelli economici classici, convinta che un eccesso di liquidità produca solo bolle finanziarie o inflazione, è restìa a operazioni del genere e pensa che non si possa andare oltre una rivitalizzazione del mercato delle cartolarizzazioni Abs, già annunciata dall’Eurotower, che tuttavia è troppo limitato per produrre effetti davvero importanti, come notano molti critici. Inoltre, siccome si parla della possibilità di comprare bond governativi in proporzione alla grandezza dei Paesi, resistono all’idea di aiutare Paesi iper-indebitati come l’Italia.
tonia mastrobuoni