Italia
Federica, la “secchiona”
che schiva le polemiche
Preparata sui dossier, prudente sull’iniziativa politica
Preparata sui dossier, prudente sull’iniziativa politica
La telefonata dagli uffici di Jean-Claude Juncker è arrivata che il vertice informale dei ministri degli Esteri a Milano era appena terminato. E, come logico, la richiesta era che in vista del Consiglio europeo che l’avrebbe nominata Mrs Pesc Federica Mogherini si recasse immediatamente a Bruxelles. E così è stato, nonostante l’interessata e la Farnesina abbian fatto di tutto perché la notizia non trapelasse fino all’ultimo minuto, fino a quando Mogherini è stata ricevuta proprio da Juncker.
L’idea era: fatta la nomina, conferenza stampa subito. E così è stato. Giusto il tempo di scrivere un breve e semplice discorso, compitamente pronunciato a fianco del nuovo presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk. Il quale parlava polacco, e Mogherini invece in inglese e francese ha ringraziato «per la fiducia riposta in me», citato Schumann, evocato le «grandi sfide che oggi sono attorno e anche sul suolo europeo». Plauso per la nomina anche di Giorgio Napolitano, «è un’importante riconoscimento per l’Italia».
Ora, per il ministro degli Esteri italiano si aprirà una procedura lunga sino all’insediamento il prossimo 1° novembre, e che molti paventano come un salto ad ostacoli: le audizioni al Parlamento. In realtà difficilmente il piano dell’esame da parte dei parlamentari si farà inclinato per Federica Mogherini, che da sempre e quasi per carattere si tiene lontanissima da qualunque argomento di qualche consistenza polemica. Difficile insomma che si replichi il caso di Rocco Buttiglione, che venne rispedito al mittente per manifesta omofobia. Oltre al sostegno pieno e ripetuto della compagine socialdemocratica, Mogherini ci metterà del suo perché tutto fili via liscio. Con il metodo di sempre, e sperimentato nelle audizioni al Parlamento italiano: rispondere alle punture polemiche con gli argomenti, con la conoscenza, approfondita, che ha dei dossier. E lasciar correre tutto il resto. Un metodo, se si vuole, di antica tradizione nella politica italiana. Per comprendere poi di quale tipo sarà la sua guida della politica estera dell’Unione occorre dimenticare il Trattato di Lisbona - e i poteri che assegna a quel ruolo - e esaminare l’ultima conferenza stampa di Mogherini, proprio a Milano poche ore prima di volare a Bruxelles. Con Lady Ashton è stato quasi un passaggio di consegne. Grandi sorrisi e abbracci, con la futura Mrs Pesc vestita di bianco e la non ancora ex d’argento, e l’una che cedeva la parola all’altra. «Sto andando a Bruxelles» diceva la baronessa inglese, «incontrerò il presidente ucraino Poroshenko e poi riferirò al Consiglio europeo, e i capi di Stato e di governo prenderanno le loro decisioni...». Faceva eco Mogherini, «stasera l’Europa deciderà». Insomma, un Alto rappresentante della politica estera dell’Unione che si fa tramite, che istruisce i dossier lasciando che sia il vituperato metodo intergovernativo ad avere la meglio. Molto rassicurante per i governi nazionali, molto poco per il progredire dell’effettiva unità politica dell’Europa per il quale il Trattato di Lisbona appunto aveva previsto di dotare di poteri almeno il presidente del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante.
Dalla sua Mogherini ha l’eponimo di «secchiona»: pur essendo assurta a capo della diplomazia italiana solo da pochi mesi, ha registrato consensi pressoché unanimi del Pse e infine anche di Angela Merkel proprio per la sua serietà e senso di responsabilità. Occorrerà vedere se, superata una fase di rodaggio e avvantaggiandosi della struttura di lavoro di cui oggi l’Alto rappresentante è dotato («grazie a Chaty per il servizio esterno»), nei prossimi anni Mogherini avrà voglia e modo di assumersi anche la responsabilità dell’iniziativa politica. Come ha detto Hermann Van Rompuy dandole atto di esser stata ministro magari per poco ma «sempre in prima linea e viaggiando in tutto il mondo», ci si aspetta che Mogherini «si rivelerà una ferma negoziatrice». Il primo banco di prova è la crisi Ucraina.