Settantatre anni alle porte, studi d’arte e architettura in gioventù, ma affermatosi poi come pacifista full time, Adolfo Perez Esquivel ha sul curriculum una plueriannale detenzione per reati d’opinione da parti di più di una dittatura sudamericana, un premio Nobel per la Pace, una famosa scultura di Ghandi in una piazzetta di Barcellona e un presente da attivista per i diritti degli indigeni del nord del Paese, in quelle stesse terre in cui ora si vorrebbe trasferire la capitale argentina. «Non è mica male, come idea», dice il grande saggio della cultura nazionale, «Buenos Aires dev’essere per forza decentralizzata e va smantellato il retaggio coloniale per cui la capitale è uno scalo per esportare le materie prime all’estero. Un centro in cui convergono tutte le strade, tutti i treni e tutti gli aerei».
Quindi non è rimasto sorpreso quando la presidente Kirchner ha proposto di traslocare lo Stato a Santiago del Estero? «No, me ne aveva già parlato il presidente della Camera, Julian Dominguez, e gli ho detto che ero d’accordo, poi bisogna vedere i modi, fare un programma a tappe e rassegnarsi a dei tempi lunghi». Nell’86 si provò senza successo a trasferire la capitale a Viedma, in Patagonia, anche allora era d’accordo? «No, non mi sembrò una buona idea. Si tornava a concentrare tutto il potere su una zona costiera. Santiago invece è nel centro del nostro territorio e la cosa avrebbe un carattere più integrale per lo sviluppo collettivo». E i popoli indigeni che vivono nei dintorni, ne saranno beneficiati o così si invade la loro quotidianità? «Questo è un problema più grande, che dobbiamo risolvere come argentini al di là della questione della nostra capitale: dobbiamo riconoscere che siamo una Nazione multiculturale e rispettare gli spazi dei popoli originari. Ma credo che avendo le istituzioni più vicine, per loro sarà più facile accedervi quando avranno un reclamo da presentare». Per i cittadini di Buenos Aires, invece? Non sarà dura viaggiare tanti chilometri per sbrigare solo una pratica? «In Brasile la cosa funziona e non vedo perché non dovrebbe andar bene anche qui. Brasilia è una città meravigliosa, io ci sono stato più volte e conoscevo bene quel genio di Oscar Niemeyer, l’architetto che l’ha progettata. Abbiamo manifestato diverse volte spalla a spalla per la pace. Credo sia l’esempio che dobbiamo seguire, Brasilia oggi è un luogo che vive di vita propria, non una città fantasma. Pensa che spostando la capitale argentina ci saranno delle conseguenze anche all’estero? «Mettendola a Santiago saremmo certamente più integrati con gli altri Paesi del Sudamerica e del Mercosur in particolare. Primo fra tutti il Brasile, poi, certo, anche il Paraguay, il Perù e il Cile. È una sfida complessa, ma molto interessante». [f. fio.]