ebook di Fulvio Romano

martedì 26 agosto 2014

Un tempo la politica chiudeva per un mese, poi arrivarono Bossi e Ponte di Legno...

LA STAMPA

Italia

L’estate orfana di Berlusconi
aggrappata a bikini e Di Battista

Un tempo la politica chiudeva per un mese, poi arrivò Bossi. Ora le polemiche dal Nepal

Il grande fuoriclasse è stato Umberto Bossi. L’agosto del 1994 fu già suo: si alzò un mattino e, mentre il resto del mondo era impegnato a coordinare costume da bagno e cono gelato, spiegò come stavano le cose al nord. Nell’86 o nell’87, disse, ho fermato trecentomila bergamaschi che stavano venendo giù dalle valli per fare la rivoluzione. La rivoluzione ci fu, ma soltanto nelle redazioni, fin lì abituate ad arrampicarsi lungo il mese di vacanza senza l’appiglio d’una riunione di governo o di una disputa parlamentare. Nella Prima repubblica si chiudeva tutto, la serranda e la bocca, e se ne riparlava a settembre. Infatti si racconta ancora con toni da leggenda dell’agosto del 1964, quando i cronisti politici furono tutti richiamati dalla spiaggia perché il giorno 7, dopo un litigio con Giuseppe Saragat (allora ministro degli Esteri), il presidente della repubblica, Antonio Segni, impallidì e svenne: Saragat aveva insinuato qualcosa a proposito di un ruolo avuto da Segni in quello che sarebbe stato definito scandalo Sifar. In capo a quattro mesi Segni avrebbe mollato per motivi di salute lasciando il Quirinale proprio a Saragat. Due settimane dopo, il 21, da Yalta arrivò notizia della morte del segretario comunista Palmiro Togliatti, e insomma altro dietrofront, di nuovo tutti alla scrivania. Ma un agosto così quando mai sarebbe ricapitato? Se c’era crisi in maggioranza - come sa chiunque abbia letto un paio d’articoli sugli andazzi del tempo - si metteva in piedi un governo detto balenare con l’idea di rimpiazzarlo con quello buono in autunno.

Su questa disposizione d’animo - appena turbata nei suoi ritmi dalle indagini del pool Mani pulite - arrivarono i bombardamenti di Bossi. Aveva capito per primo quale sciupìo fosse tutto quell’inutile silenzio accaldato, e quanto fosse facile e utile romperlo. Una volta erano i proiettili che costano poco, un’altra era la secessione come programma per la seconda metà dell’anno, poi il papa polacco nemico delle ambizioni varesine, e così via, a guadagnare titoli, servizi al telegiornale, applausi scroscianti sopra una certa latitudine e fischi sotto. Ogni giornale aveva l’inviato fisso a Ponte di Legno: aspettava che Bossi scendesse di casa, ne sparasse un paio delle sue, e la settimana era salva. Anche perché poi c’era l’indotto: vergogna, demenziale, vaneggiamenti, chiamate lo psichiatra, dicevano gli avversari della Lega ad alimentare un nulla fragoroso. La Seconda repubblica è trascorsa così, fra tafferugli sempiterni che ad agosto rimbombavano nel vuoto: federalismi fiscali, separazioni delle carriere, revisioni dell’aborto, aumenti salariali, riforme indifferibili, tutta roba buona per passare le giornate e la cui evoluzione transitò soprattutto sotto la bandana di Silvio Berlusconi. Lui da un certo punto in poi smise di dare le notizie, la notizia divenne lui. Altri inviati, stavolta a villa Certosa, Porto Rotondo, per contare gli scoppi del finto vulcano, le ragazze sullo yacht in uscita pomeridiana, gli ospiti in arrivo alla sera in camicia bianca. Aiutavano le procure con le inchieste, le intercettazioni, tutta Italia leggeva e parlava di lenoni di periferia, di olgettine. Aiutò l’Europa, eccome, nell’estate delle trecento manovre correttive. Un aiuto si trovò fino all’anno scorso, con la condanna in Cassazione per frode fiscale. E poi, di colpo, ci siamo trovati nella prima estate senza Berlusconi. Da Arcore giungono notizie così: ha trascorso i giorni prima e dopo Ferragosto in serenità, a fianco di Francesca, facendo qualche telefonata, seguendo una dieta iperproteica...

All’improvviso è tutto finito. Niente Berlusconi, niente Bossi, nessuna polemica da diporto fra remoti leader di piccole opposizioni, nessuna inchiesta fluorescente della magistratura, le migliori energie impegnate a controllare - ai margini del nostro interesse - la levigatura e la pienezza di cosce e seni ministeriali. I capi di partito si sono riconquistati l’ombra, lasciando il sole a Matteo Renzi e, per qualche sortita quotidiana e affannosa, a Beppe Grillo. Ci è rimasto soltanto Alessandro Di Battista, il grillino che risolve i problemi del mondo via Facebook dal lontano Nepal, e a indurre qualche ferragostana indignazione, e giusto fra seconde e terze file.

mattia feltri


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