Cultura
un ciclista
per l’italia
Nel 1965 mi entusiasmai alla vittoria di Gimondi e sperai in un avvenire migliore. Nel 1998 mi emozionai per Pantani e sperai in un ciclismo pulito. Mi riconosco in quella parte della mia generazione che «ha perso» e le mie attuali speranze sono infime e faticose, ma la vittoria di Vincenzo Nibali al Tour 2014 mi ha suggerito alcune riflessioni.
Arriva dalla Sicilia, quella di Borsellino e Falcone. A 15 anni è migrato in Toscana a studiare ciclismo. Si prepara con scrupolo alle grandi corse, talvolta vincendole. Non ha atteggiamenti sopra le righe. Ha stupito la sua gentilezza in interviste prima e dopo grandi fatiche; tra l’altro rispondendo in italiano nella Francia di Sida, ordinateur e ratòn.
Il suo compagno di camera è, da otto anni, un «padano» bergamasco.
Potremmo riconoscerci in Nibali per la preparazione, il lavoro, la semplicità dei gesti? Moltissimi italiani non sono raccomandati, evasori fiscali, delinquenti organizzati, affondatori di navi, urlatori razzisti e omofobi, dispensatori di pseudo medicine, utilizzatori finali di case e minorenni a propria insaputa. Sono cittadini onesti.
Un campione dello sport potrebbe indicare a tutti valori non effimeri e vincenti.
Nel 1948 le parole di Togliatti e le vittorie di Bartali evitarono all’Italia guai maggiori; ora i problemi sono di tipo economico, e si spera mai sfoceranno in violenza.
Politici e intellettuali di allora, reduci da resistenza, esilio e prigioni non esitarono l’alleanza con un ciclista. Potrebbero farlo gli attuali? Transitati dalle porte girevoli di finanza, aule giudiziarie, redazioni di giornali e studi televisivi temono il confronto con un campione del pedale?
Ho esitato a lungo prima di esternare questa mia, desiderando che qualche intellettuale, imprenditore illuminato, giovane politico mi precedesse. Così non è stato.
Pensionato, ex cicloturista
Michelangelo Ferragatta
Post
