Esteri
Il demografo Rosina: da noi situazione simile alla Germania
Germania e Italia sono i Paesi a maggior tasso di invecchiamento d’Europa, e tra i primi nel mondo dopo il Giappone. Come tutti gli esperti confermano, molto presto questo fenomeno in progressivo aggravamento rischia di creare gravi conseguenze. «Non solo sull’economia, ma anche sul welfare, sulla spesa sanitaria - spiega Alessandro Rosina, professore di Demografia alla Cattolica di Milano - e in ultima analisi anche dal punto di vista della sostenibilità sociale». Sì, perché un Paese ha bisogno del motore produttivo economico e culturale assicurato dalle giovani generazioni. Che in Europa si stanno riducendo, contraendo la quota di popolazione potenzialmente produttiva, e al contrario incrementando - per quanto si sposti sempre più in avanti l’età di pensionamento - la popolazione anziana.
Italia e Germania hanno una struttura demografica assolutamente analoga, con la fecondità e la natalità in calo, e tanti anziani (nel Belpaese un pochino più longevi). Nella triste classifica del tasso di dipendenza strutturale degli anziani - il rapporto tra la popolazione di 65 anni e più, e quella tra 15 e 64 anni - noi abbiamo 33,1 anziani ogni 100 «attivi», loro 31,5. La Turchia ne conta 11,3, la Nigeria solo 4,5. Ma il problema si affronta in modo molto differente, come mostra la decisione della cancelliera Angela Merkel di accogliere per diversi anni 500 mila immigrati l’anno. «La differenza è tutta qui - afferma il demografo - la Germania sa cogliere per tempo le trasformazioni in corso, cercando di capire come guidarle per ridurre i rischi».
Si sa che nel Paese della Merkel da sempre si investe sulla qualità, puntando sulla ricerca, la formazione e la valorizzazione del capitale umano. Ma ora c’è anche un problema quantitativo che riguarda le giovani generazioni. Che vengono rafforzate attirando in Germania talenti - la scelta di molti giovani «cervelli» italiani - ma anche immigrati extraeuropei.
Secondo Rosina, l’Italia in questi anni ha fatto politiche di contrasto e non di valorizzazione della qualità dell’immigrazione, attirando le persone più «necessarie» e più facili da includere. La Germania, al contrario ha saputo guardare lontano, «sa di quali competenze dispone e quali deve attirare». E dunque, c’è il serio rischio che mentre i giovani italiani più qualificati andranno all’estero, «noi attrarremo immigrati con professionalità inferiori, badanti al nero, braccianti agricoli sfruttati o manovali».
Detto questo, secondo le inesorabili leggi della demografia l’apporto di nuovi giovani non basterà alla Germania (e non basterebbe neanche per noi, va da sé) per arrestare in modo efficace lo sbilanciamento demografico. «È impossibile pensare che all’invecchiamento si possa rispondere esclusivamente attraverso più immigrazione, a meno di muovere flussi migratori tali da essere ingestibili anche per Paesi ricchi», chiarisce Alessandro Rosina. C’è un impatto nell’immediato; ma i nuovi arrivati cominciano anche loro ad invecchiare. E dal punto di vista della natalità dopo due generazioni anche gli immigrati tendono a convergere sulla media della popolazione autoctona».
Insomma, il gap tra noi e il resto d’Europa e del «Primo Mondo» si restringerebbe, ma non si chiuderebbe. Servirebbe per forza un aumento della natalità.