ebook di Fulvio Romano

mercoledì 30 settembre 2015

così l’italia dice addio a 8 metri quadrati di terra al secondo

LA STAMPA

Cultura


Otto metri quadrati ogni secondo che passa, questa è la vera emergenza ambientale italiana, che pesa più dell’inquinamento, più dell’amianto e del traffico. Otto metri quadrati al secondo è la spaventosa quantità di territorio vergine che viene ricoperto da asfalto e cemento e perduta per sempre nella nostra penisola. Negli ultimi cinquant’anni il nostro territorio è stato consumato a un ritmo di novanta ettari al giorno di conversione urbana. Se questa spirale non verrà interrotta nei prossimi venti anni quasi 660 mila ettari saranno perduti (come un quadrato di 80 km di lato, una superficie quasi ampia quanto il Friuli Venezia Giulia). Il territorio ricoperto dal cemento in Italia dal secondo dopoguerra è quadruplicato ed è oggi valutabile intorno al 7,5% della superficie nazionale, contribuendo a rendere più precario l’equilibrio idrogeologico, dissipando le nostre risorse naturali e amplificando i fenomeni estremi causati dai cambiamenti climatici. Se le nostre alluvioni fanno così tanti danni e vittime dipende soprattutto dal consumo di suolo.

Questo fenomeno ha già trasformato la memoria storica e l’identità del nostro Paese, mentre in Europa si va nella direzione contraria: in Germania si è arrivati a 43-44 mila ettari all’anno, un sesto appena dei nostri consumi più recenti. In Gran Bretagna l’allarme per l’erosione dei suoli liberi e/o agricoli venne fatto suonare già negli Anni Trenta e si concretizzò con la individuazione delle green belts, cioè delle cinture verdi. In questo modo la punta di 25 mila ettari consumati in dodici mesi negli Anni Trenta è stata abbattuta ad appena 8 mila ettari annui nel decennio. Molto di più di quanto consuma la Sicilia ogni anno. 

Tutto ciò ha portato da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività, che significano a loro volta nuove domande di servizi e così via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella che si può definire la città continua, come in Pianura Padana fra Torino e Venezia. Dove esistevano paesi, Comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una conurbazione ormai senza fine per molte aree del paese. In molti casi le nuove costruzioni hanno impegnato aree che dovevano essere lasciate libere perché a rischio naturale elevato, come è il caso delle abitazioni abusive costruite alle pendici del Vesuvio, nella zona rossa di Sarno, lungo le coste tirreniche a rischio tsunami e ovunque ci siano vecchie frane o corsi fluviali che possono esondare.

Ma perché gli italiani costruiscono così tanto e, se il fenomeno è così grave per l’ambiente, il rischio idrogeologico, il paesaggio e la memoria collettiva, come si dovrebbe agire per limitare i danni? Legare i movimenti economici all’edilizia è un vizio tutto italiano che non ha nessuna ragione di esistere in un Paese già così gravemente ingombro di costruzioni come il nostro. Un popolo di muratori che dimentica il valore del paesaggio, vera ricchezza del Paese, ormai devastato dagli insediamenti in cambio di enormi periferie di una bruttezza disarmante con milioni di vani che ormai restano invenduti. E da più di due anni giace una proposta di legge in Parlamento per ridurre il consumo di suolo e raggiungere entro il 2050 l’obiettivo europeo di consumo di suolo netto zero. Basterebbe approvarla.

Mario Tozzi