ebook di Fulvio Romano

sabato 26 settembre 2015

Carol Rama Appassionata e irriverente ha raccontato il dolore del ’900

LA STAMPA

Cultura

La “grande vecchia” dell’arte contemporanea si è spenta a Torino. Aveva 97 anni

Carol Rama si è spenta l’altra notte a Torino. Aveva 97 anni. Come il cappello di feltro di Beuys o la parrucca bionda platinata di Warhol, la sua treccia bionda a corona, detta «alla francese», era una sorta di aureola vecchio stile che sottolineava la straordinaria carica di espressività ironica e appassionata del suo volto da attrice. Un volto che in vecchiaia era diventato sempre più affascinante, mantenendo una vitalità che trasmetteva tutta l’energia trasgressiva e visionaria interna, quella che ha alimentato e impregnato tutta la sua lunghissima e accidentata avventura creativa. E questo fino agli anni recenti, quando finalmente attraverso mostre sempre più importanti e anche il Leone d’oro alla carriera alla Biennale, il valore della sua opera è stato definitivamente legittimato a livello internazionale. Ed è così che la sua figura è entrata nell’iconica categoria delle «grandi vecchie», pioniere dell’arte al femminile, al pari di artiste come Louise Bourgeois o Meret Oppenheim. 

Ma contro tutto ciò, nonostante la soddisfazione, aveva fortemente polemizzato, non avendo proprio digerito il fatto di essere stata «scoperta» solo a ottant’anni. Cosa non proprio vera perché non erano mancati riconoscimenti nel lungo percorso della sua carriera, anche se la sua posizione per troppo tempo era stata effettivamente relativamente marginale, come succede spesso alle personalità fuori schema, non inquadrabili nelle tendenze più omologate dal sistema dell’arte. Ironia della sorte, la sua consacrazione è avventura (giustamente) sull’onda lunga della cultura femminista, il cui movimentismo per la verità la lasciava abbastanza indifferente, essendo lei, per così dire, una femminista anarchica ante litteram per vocazione.

Il momento cruciale della svolta verso un’affermazione crescente avviene intorno al 1980, quando per la prima volta viene esposta, in particolare nella mostra «L’altra metà dell’avanguardia» curata a Milano da Lea Vergine, una esplosiva serie di acquerelli degli Anni 30/40 decisamente «scabrosi», caratterizzati da una libera e intensa tensione immaginifica, con soggetti carichi di valenze feticistiche e esplicitamente erotiche. Entrano in scena qui protesi di legno (quelle dei mutilati di guerra), dentiere, orinatoi e falli maschili, scopini per gabinetti, pennelli da barba, scarpe femminili e colli di volpe. E le sue ormai famose Appassionate e Dorine («perversi» ribaltamenti della sdolcinata sartina di Addio giovinezza), inquietanti e patetiche figure femminili in atteggiamenti erotici o costrette in letti di contenzione, con arti amputati. Tutti questi temi sono strettamente connessi con la dimensione autobiografica, con le sue libere esperienze personali, e con le tragedie familiari come il suicidio del padre dopo il fallimento dell’azienda e l’internamento in manicomio della madre. E questo vale in generale per quasi tutte le opere dei successivi periodi, da quelle con connotazioni più surrealiste degli Anni 60 ai lavori realizzati con le gomme usate di pneumatici, fino alle ricerche più recenti che riprendono con rinnovata fantasia i vecchi temi (per esempio il ciclo della Mucca pazza). 

Olga Carolina Rama, nasce nel 1918, in una famiglia della borghesia di Torino. Inizia a dipingere intorno al 1930 come autodidatta, ma la sua formazione culturale e artistica è di alto livello grazie alla frequentazione dello studio di Casorati e all’amicizia di intellettuali, scrittori, artisti e architetti come Sanguineti, Mila, Mollino, Galvano e Paola Levi Montalcini. Negli Anni 30/40 dipinge autoritratti e ritratti di amici con originale espressività e il ciclo di acquerelli «proibiti». Dopo una mostra personale (1945) subito chiusa perché troppo provocatoria, negli anni successivi aderisce al Movimento Arte Concreta elaborando una personale pittura astratta (con cui partecipa a due Biennali veneziane). Uno scarto netto avviene negli Anni 60 con lavori più surreali, pitture informali incrostate di oggetti perturbanti e aggressivi (denti veri, unghie di animali, occhi di bambola) e macchie equivoche. Con il suo gallerista Luciano Anselmino viaggia a Parigi dove tra l’altro diventa amica di Man Ray, e a New York dove incontra Warhol. E poi dagli Anni 80 inizia il lento decollo della sua fama. 

Francesco Poli