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Ma a voi sembra normale che il capo dimissionario della Volkswagen riceva 31 milioni e rotti di buonuscita? Il rapporto causa-effetto vacilla. Martin Winterkorn non lascia l’Auto del Popolo per meriti acquisiti, ma perché la fabbrica di cui è il manager supremo è stata travolta da uno scandalo senza precedenti e dalle ricadute gigantesche.
Il buonuscente ha già messo le mani e il portafogli avanti, dicendo che il taroccamento dei motori diesel è avvenuto a sua insaputa. Ma non può sottrarsi alle responsabilità, quantomeno di mancato controllo. Perché delle due l’una: o sapeva della truffa e allora come capo è colpevole, o non ne sapeva nulla è allora come capo è scarso. In entrambi i casi i 31 milioni rappresentano un riconoscimento ingiustificato. Ed è stupefacente che proprio i tedeschi, così attenti alle ragioni del merito e così ossessivamente connessi al concetto di colpa, concedano a Winterkorn un compenso che sa di insulto al buonsenso oltre che al buongusto. Ma il contratto lo prevede, si dirà. Di sicuro prevedrà delle eccezioni per i casi in cui il manager abbia arrecato un grave danno all’azienda, che lo pagava così bene anche perché all’occorrenza si assumesse il ruolo di capro espiatorio. Altrimenti uno dovrebbe concludere che per una ristretta categoria di superuomini non valgano le regole applicate ai comuni mortali. Si fa fatica a immaginare che un operaio della Volkswagen licenziato per avere avvitato male un bullone avrebbe ricevuto 31mila o anche solo 31 euro di bonus.
Massimo Gramellini