Cultura
C’è molto di più del ritorno alla scrittura e al dettato quotidiano in questa riforma dei programmi della scuola francese annunciata con una lettera a Le Monde dalla giovane ministra dell’Éducation nationale: c’è il tentativo della Francia di ritrovare se stessa, la «grande nation», quel Paese che si è perso nello tsunami della globalizzazione e che nell’ultimo anno ha fatto di un libro intitolato «Suicide français» il best seller del sentimento nazionale.
È un Paese dominato dal fantasma di Marine Le Pen che non è solo la sfidante più annunciata delle prossime presidenziali (primavera 2017) ma è la nuova Giovanna d’Arco di un riscatto che si nutre di un risentimento nazionale e popolare che fa della crisi francese un unico nel contesto delle crisi della vecchia Europa. Ecco perché la riforma della ministra Najat Vallaud-Belkacem va letta con attenzione. Il passaggio chiave è questo: «I programmi di storia sono stati rielaborati per non eludere nessuno dei passaggi fondamentali, facendo così dell’insegnamento della storia di Francia il cuore degli insegnamenti della scuola elementare, sviluppando poi al Collège (la scuola media) la narrazione di ciò che la Francia ha portato all’Europa e al mondo...».
In sintesi un ritorno ai «fondamentali», come ha scritto da sinistra il Nouvel Observateur, dove è evidente il tentativo di arginare l’accusa portata da destra nei confronti delle élites culturali e politiche francesi di aver snaturato l’identità di una nazione cedendo al conformismo. È una risposta alla «Soumission» (la sottomissione) denunciata da Michel Houellebecq nel suo ultimo romanzo uscito in una profetica e drammatica casualità il giorno della strage di Charlie Hebdo. È un tentativo di replicare alla battaglia culturale di un intellettuale come Alain Finkielkraut divenuto il capofila di un intellighenzia che si è smarcata dalla dittatura di una sinistra spesso caricaturale nella sua «sottomissione». Scrive Il filosofo nel suo ultimo saggio «L’identité malheureuse» (pubblicato in Italia da Guanda con il titolo «L’identità infelice»): «Dobbiamo evitare di soccombere alla tentazione penitenziale di perderci per espiare i nostri errori». Ma in questo mondo che ha sostituito alla lettura paziente l’interconnessione permanente e che ha messo al bando «l’alta cultura nel nome dell’uguaglianza» sarà ancora possibile la trasmissione di un patrimonio culturale?
Alla domanda di Finkielkraut la riforma della scuola dà una risposta illuminista (e si vedrà fino a che punto utopista) con la pedagogia dell’allenamento quotidiano alla scrittura e la pratica ripetuta della lettura per «riappropriarsi del patrimonio letterario». È il ritorno a strumenti «antichi» che certo connettono la politica del governo di François Hollande al sentimento conservatore e reazionario ormai dominante nel Paese, ma chissà quanto saranno efficaci e realizzabili sul terreno dei «territori perduti» della République, una vasta terra di nessuno dove le scuole appaiono spesso come zattere in un mare in tempesta.
Quello che però stupisce di più nella lettera della ministra Vallaud-Belkacem (che ha 37 anni, è di origina maghrebine, ha un papà che fa di nome Ahmed e una mamma che si chiama Fatiha) è l’assenza totale di qualunque riferimento al mondo dell’immigrazione, come se la scuola fosse soltanto un affare dei francesi. In un Paese che ultimamente sta persino riabilitando la figura del collaborazionista Pétain (l’ha fatto il giornalista Zemmour nel best seller «Suicidio francese» e naturalmente il vecchio Le Pen con nuova, sfacciata disinvoltura) è un dettaglio che dà un tono politico alla riforma dei programmi scolastici.
D’altra parte il tema scuola è per il momento il principale terreno di scontro nel partito dell’opposizione di destra dove si sta combattendo una battaglia già furibonda tra i due principali contendenti nelle primarie per candidarsi all’Eliseo: l’ex presidente Nicolas Sarkozy e l’ex primo ministro e attuale sindaco di Bordeaux Alain Juppé. Quest’ultimo, che è il portavoce di una linea moderata del tutto alternativa all’oltranzismo del suo avversario, è entrato in campagna con una proposta di riforma della scuola ed è stato immediatamente attaccato da Sarko. In breve lo scontro è questo: Juppé è per l’integrazione, Sarkozy per l’assimilazione. Integrazione significa rispetto delle origini e valorizzazione delle differenze; assimilazione significa che gli immigrati devono diventare innanzitutto francesi per lingua e modo di vita o, sottinteso, sono fuori dalla società.
Ecco che così la battaglia sulla scuola rivela nascondere in realtà la vera questione di attualità e cioè il rapporto con le grandi migrazioni che stanno scuotendo la vita dell’Europa. Ed ecco perché la Francia contraddicendo l’idea stessa di universalismo che da due secoli è connaturata alla sua storia, appare così riluttante e impaurita di fronte alle aperture tedesche. È il fantasma di tutto quello che Marine Le Pen riesce a rappresentare nella sua macchina propagandistica che paralizza e ormai determina la politica francese. E dunque bene il dettato, la scrittura, lo studio della storia della «grandeur» francese. Ma per dire cosa?
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Cesare Martinetti