Economia
Dopo la truffa globale il Paese ha smesso di sentirsi invulnerabile
Dopo la truffa globale il Paese ha smesso di sentirsi invulnerabile
Il perfezionismo è una patologia, secondo gli psicanalisti; ma in Germania è la più grande delle virtù. I tedeschi adorano sentirsi dire che tutto funziona, che tutto è in ordine, che tutto è impeccabile. Martin Winterkorn era l’emblema di questa virtù. E quando si appannano gli idoli come lui, che incarnano questo perfezionismo, tutto il sistema vacilla. Raccontano a Wolfsburg che quando Winterkorn e il patriarca del gruppo Volkswagen, Ferdinand Piech, si sedevano nelle auto nuove per i collaudi, gli ingegneri tremavano come foglie. I due erano noti per la cura maniacale dei dettagli, per la straordinaria competenza tecnica, per la severità dei giudizi, per i modi bruschi. E i tedeschi si riconoscevano in loro. Del resto, sono le caratteristiche che hanno reso grande la Germania. Così come si ritrovano in un’azienda che produce automobili accessibili a tutti. E i tedeschi continuano a comprare in massa, da decenni, un modello che sembra intramontabile e che da solo rappresenta le teutoniche virtù dell’affidabilità, della solidità, della semplicità: la Golf. Per questo la caduta degli dei di Wolfsburg fa tanta impressione. Ieri il titolo di un giornale tedesco riassumeva il clima che si respira in questi giorni in Germania attorno al caso Volkswagen: «Hybris». Attivismo tracotante che offende gli dei.
Se la crisi scaturita dallo scandalo Volkswagen sta terremotando un Paese intero, non è solo per una truffa mondiale da gas di scarico. E neanche perché l’industria automobilistica tedesca è la spina dorsale della prima economia europea, e dà lavoro a un tedesco su sette. E’ una questione di identità. Nel Settecento, i francesi dicevano che essere prussiani era «un onore ma non un piacere». Ma nel regno del Re Soldato che fece grande la Prussia, le virtù principali erano quelle di Winterkorn: ordine, disciplina, puntualità, senso del dovere, autocontrollo, operosità. E i tedeschi sono fieri di aver ereditato quelle virtù che Federico Guglielmo inculcava ai suoi soldati e ai suoi sudditi come un codice morale. Ma alla fine si è scoperto che l’ex amministratore delegato di Volkswagen, si era dimenticato la più importante: l’onestà.
Ora viene fuori, oltretutto, che non era solo. Anche Bmw, un altro pilastro dell’industria tedesca, è sospettata di aver superato i limiti alle emissioni. Cosa ha spinto i manager Volkswagen a imbrogliare per dimostrare che la tecnologia tedesca può unire le migliori prestazioni di un motore diesel con un rispetto estremo dell’ambiente? A Winterkorn mancava la conquista del mercato americano per venire incoronato re dell’auto, per allontanare da sé i nemici in azienda. Primo di tutti il patriarca Piech, che proprio su quel punto debole aveva cercato l’affondo ad aprile, aveva tentato la defenestrazione (fallita, allora). Bmw, probabilmente, perseguiva lo stesso obiettivo: dimostrare che l’impossibile era possibile, che si poteva combinare coscienza ecologista con il possesso di un automobile diesel.
E nello scandalo, c’è una beffa autoprodotta: i severi criteri sulle emissioni che queste aziende hanno violato erano volontari. Solo chi voleva fare pubblicità ad automobili particolarmente pulite poteva far riferimento a quei limiti. Non erano indispensabili, per stare sul mercato americano. Erano indispensabili per sembrare i migliori.
Non è il primo scandalo che colpisce l’economia tedesca, né sarà l’ultimo. E gli scandali più famosi degli ultimi anni, quelli che hanno colpito Siemens o Deutsche Bank, sono forse anche più gravi. Riguardano aziende che si sono macchiate di corruzione, che hanno mentito, che hanno peccato di avidità, ma hanno colpito meno l’immaginario collettivo. Volkswagen sembra uno scandalo più «tedesco» perché ne ha scalfito il mito più grande, quello che ha ucciso anche Sigfrido: l’invulnerabilità.
tonia mastrobuoni