ebook di Fulvio Romano

mercoledì 16 settembre 2015

Inflazione e bolla finanziaria I pericoli che deve evitare la signora della Fed

LA STAMPAweb

Economia


Sulla Yellen la responsabilità di un ritocco che manca dal 2008

La Federal Reserve è come Harry Potter. Un po’ nerd, senza tanti amici e con un compito che fa rabbrividire, la banca centrale americana deve dimostrare al mondo intero di essere capace di fare magie. L’incontro della Fed che incomincia oggi e si conclude giovedì, è il momento più importante per l’economia mondiale dai tempi della crisi finanziaria. Se Janet Yellen e i suoi decidono di alzare i tassi d’interesse per la prima volta dal caos del 2008, le ripercussioni sui mercati, gli Usa e il resto del pianeta saranno enormi e non tutte prevedibili. 
Se la Fed decide di non fare nulla e di tenere i tassi a zero per continuare a stimolare l’economia, potrebbe contribuire alla creazione di una bolla finanziaria che già si vede nelle Borse, nell’industria della tecnologia e in parti del mercato immobiliare Usa. E c’è di peggio: l’inattività potrebbe dare ossigeno al Lord Voldemort di tutte le banche centrali: l’inflazione che erode il valore del denaro, riduce i consumi e manda le economie in recessione. 
Giovedì si decide
Che cosa faranno i nostri eroi? Gli investitori scommettono sul fatto che la Fed non farà nulla ma nessuno lo sa per certo. Non i mercati, non i cosiddetti esperti e non, a quanto ho capito, gli stessi membri del potente comitato che si siederà intorno alla Yellen domani e giovedì. Quest’incertezza non è normale, soprattutto per una banca centrale che ha da tempo promesso di telegrafare le sue decisioni per evitare sconquassi nei mercati. Ma non siamo in una situazione normale: come in tutte le storie fantasy che si rispettano, la trama è complicata e influenzata da fattori che non sono né razionali né visibili. Mi spiego. Di solito, i banchieri centrali seguono la massima di Harold Geneen, il leggendario amministratore delegato del conglomerato Itt: «Il lavoro ingrato dei numeri ti libererà». La prassi per la Fed, la Banca centrale europea e tante altre consiste nell’analizzare i dati economici e poi decidere cosa fare. Ma in questo caso, i Potter-banchieri sono prigionieri di numeri oscuri e sibillini. 
Prendiamo l’inflazione, il punto focale di tutte le battaglie della Fed. Negli Usa, di rialzo dei prezzi non c’è assolutamente traccia. Il mandato della Fed stipula che la banca centrale si debba preoccupare - ovverosia alzare i tassi - quando la crescita dei prezzi al consumo si avvicina al 2% l’anno. Ma all’ultimo rilevamento, a luglio, l’inflazione stava crescendo dello 0,2%, molto, molto lontana dall’allarme rosso. Anche questo è un po’ un mistero: l’economia americana sta crescendo ormai da anni, creando milioni di posti di lavoro e stimolando i consumi di beni-chiave quali macchine e case, eppure i prezzi non si muovono. Ci sono spiegazioni plausibili ma non del tutto soddisfacenti: il dollaro alto riduce il valore di beni importati; il crollo del prezzo del petrolio e di altre materie prime aiuta le aziende a contenere i costi e la rivoluzione del commercio online permette ai consumatori di spendere meno che nei negozi.
Qualunque sia la ragione, la realtà è che i prezzi in America non stanno assolutamente salendo. Punto e a capo per la Yellen? Non proprio. Il compito della Fed non è solo di sorvegliare l’inflazione attuale ma anche quella futura. Certe volte i prezzi salgono di nascosto, prima di essere rilevati dai dati. Gli alti funzionari della Fed dicono di essere preoccupati da questa inflazione-fantasma che potrebbe saltare fuori nei prossimi mesi, se i tassi rimangono bassi. Il «colpevole» è il crollo della disoccupazione Usa. A prima vista, in questo campo, le notizie sono positive: il settore privato ha creato più di 13 milioni di posti-lavoro negli ultimi 66 mesi, spingendo il tasso di disoccupazione al 5,1%, il livello più basso degli ultimi sette anni. 
Il nodo dei salari
Ma i signori e le signore della Fed vedono il bicchiere mezzo vuoto. Secondo loro, siamo arrivati a un punto in cui i datori di lavoro saranno costretti ad alzare i salari per attrarre impiegati qualificati. Ed è nelle buste paga che, secondo la banca centrale, si nasconde il Voldemort dell’inflazione. E’ un’idea logica e interessante se non fosse per il fatto che i numeri non la supportano. I salari americani sono cresciuti meno della metà che in periodi simili negli Anni 80 e 90, in parte perché la Grande Recessione del dopo-crisi ha distrutto tanti posti di lavoro che le aziende possono permettersi di non pagare tanto per assumere. Ricapitolando, i numeri non dicono che la Fed deve assolutamente alzare i tassi questa settimana, anzi. I dati, però, non sono l’unico elemento che aleggia sulla banca centrale. La politica non è mai distante dalle stanze dei bottoni di Washington e il Congresso non ama l’indipendenza totale (e costituzionale) della Fed. Deputati e senatori sia repubblicani sia democratici, per non parlare di candidati presidenziali col vocione tipo Donald Trump a destra e Bernie Sanders a sinistra, non perderanno l’occasione di criticare la Yellen se la Fed non fa nulla e, dio ne guardi, si dovesse sviluppare una nuova bolla immobiliare e nei mercati. 
Il rischio bolla finanziaria 
Chi vuole che la Fed si dia una mossa dice che una bolla c’è già, nel mercato del capitale. I fautori di questa teoria sostengono che tenere i tassi a zero per così tanto tempo ha abbassato il costo del denaro a livelli pericolosi. Investitori, imprenditori e speculatori si sono talmente abbuffati di soldi che le azioni sono salite alle stelle, società-bambine come Uber hanno ottenuto valutazioni miliardarie e case in zone «calde» del Paese come la California sono ormai patrimonio esclusivo di nababbi. Lasciare aperto il buffet del capitale porterà ad un indigestione dolorosa. Sono appena tornato da San Francisco e concordo con l’idea che la California sia in una bolla tecnologico-immobiliare non sostenibile. E quando un guru dei mercati come il premio Nobel Robert Shiller dice che le azioni sono molto care, bisogna prestare attenzione.
Non si torna indietro
Ma alzare i tassi per frenare questi eccessi è come utilizzare un martello pneumatico per spaccare una noce. Una fonte che conosce bene la situazione mi ha ricordato di un principio fondamentale di ogni banchiere centrale: «Quando inizi ad alzare i tassi, non puoi tornare indietro». Ossia: bisogna essere sicuri che l’economia, i mercati e i consumatori possano sostenere una politica monetaria più dura perché fare retromarcia e abbassare di nuovo sarebbe un disastro. Ed è qui che i segnali della Fed sono interessanti. I governanti del denaro Usa non sembrano sicuri che il mondo sia pronto a tassi più alti. Non solo per via della ripresa, che rimane fragile, ma anche perché i Paesi emergenti sono sull’orlo di una crisi vista la situazione traballante della Cina, e perché i mercati azionari sono nervosi e in stato confusionale. Per non parlare dell’Europa assediata dagli emigranti, una crisi socio-economica senza soluzioni chiare. 
Una stretta leggera
E’ questa congiuntura delicata che porta gli investitori a predire, attraverso il mercato dei derivati, che ci sono meno del 30% di possibilità che la Fed alzi i tassi giovedì e quasi il 40% che non faccia niente fino al 2016. Io non sarei così sicuro, in parte perché la Fed ha la forza, l’immaginazione e il potere di fare magie. Una di queste, di cui si parla nei corridoi del potere di Washington, sarebbe di aumentare i tassi questa settimana ma di spiegare ai mercati che non ci saranno altri rialzi per un lungo periodo. Lo chiamano «soft tightening», una stretta leggera. E’ un ossimoro pieno di rischi. Una mossa del genere dovrebbe spaventare il Voldemort dell’inflazione ma potrebbe anche far deragliare l’economia e non solo negli Usa. Come nei libri della J. K. Rowling, la strada per la Fed-Harry Potter non è mai in discesa. Speriamo che la bacchetta magica di Janet funzioni. 
francesco guerrera