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martedì 15 settembre 2015

Padoan rinvia la riforma delle pensioni e Renzi pensa alla digital tax...

LA STAMPA

Economia


Il ministro: “La flessibilità in uscita oggi non è in agenda”. Nel 2017 arriva la digital tax

Renzi fa lievitare la manovra: “Sarà da 27 miliardi. Crescita di quest’anno allo 0,9%”

L’esito del braccio di ferro era scritto nei numeri. Da una parte chi voleva liberare dalla fatica del lavoro un po’ di sessantenni (nella speranza di fare posto ai più giovani), dall’altra chi temeva di far aumentare i costi - ancora altissimi - della previdenza italiana. Da un lato il ministro Poletti e un bel pezzo di maggioranza, dall’altra il Tesoro. Al dunque ha prevalso la linea della prudenza: «Riguardo alle pensioni il principio della flessibilità in uscita per chi va in pensione è giusto, va valutato in termini di meccanismi e coperture», ma «per il momento non è all’ordine del giorno della legge di Stabilità», dice Pier Carlo Padoan intervistato da Sarah Varetto su Sky. I pensionandi che speravano di lasciare il lavoro con uno o due anni di anticipo dovranno attendere. Le parole di Padoan escludono anche la possibilità di un intervento a costo zero. 

Era scritto tutto nei numeri. La manovra per il 2016, che ieri Renzi ha fatto lievitare da 25 a 27 miliardi, è già impegnata per 16, quanto serve per strappare la cambiale con l’Europa che avrebbe fatto schizzare all’insù Iva e accise. C’è la cambiale «Corte costituzionale», più di un miliardo di maggior spesa causata da due sentenze: quella che ha abolito la Robin tax sulle imprese energetiche (700 milioni) e quella che ha dichiarato illegittimo il blocco delle indicizzazioni delle pensioni (altri 500). Per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, sugli immobili agricoli e i grandi macchinari - i cosiddetti «imbullonati» - ci vogliono cinque miliardi. Per le nuove spese del 2016 restano meno di quattro miliardi. Il dibattito su cosa farne è apertissimo. In cima alla lista delle priorità c’è la conferma della decontribuzione. Il 31 dicembre scade la norma che permette, per chi assume a tempo indeterminato, lo sconto totale degli oneri previdenziali per tre anni. La conferma secca della norma è costosissima. Si stanno valutando alcune alternative: dalla conferma dello sconto solo al Sud (riducendolo al Centro-Nord) oppure la conferma della decontribuzione ovunque ma per un periodo inferiore. La decisione è delicata: qualunque riduzione dello sgravio rischia di far scendere il numero dei nuovi assunti stabili, finora uno dei cavalli di battaglia di Renzi per dimostrare che la ripresa c’è ed è solida. 

Per far tornare i conti Palazzo Chigi e Tesoro hanno rivisto al rialzo le stime della crescita di quest’anno (è deciso che salirà da +0,7 a +0,9 per cento) e del 2016 (il ritocco dovrebbe essere da +1,4 a +1,6 per cento). Ci sarà anche «qualche entrata una tantum», ammette Padoan. Sono quelle che il Tesoro spera di ottenere grazie al ritorno dei capitali all’estero. L’Agenzia delle entrate ha annunciato che ci sarà un mese in più per presentare i documenti di chi vuole regolarizzare la propria posizione con il fisco. Una nuova tassa arriverà, ma solo nel 2017. Renzi la definisce «Digital tax» altro non è che la «Google tax» che alcuni suoi colleghi di partito (il pugliese Boccia su tutti) invocano da tempo. Non è ancora deciso se l’Italia sceglierà la strada di Cameron (in Gran Bretagna ora c’è una imposta secca del 25 per cento) o se invece si allineerà al tentativo dell’Europa di introdurre una norma valida per tutti. «Aspettiamo di vedere cosa fa Bruxelles, nel frattempo immaginiamo una tassa per far pagare nei luoghi dove vengono fatte le transazioni e gli accordi». Per il premier l’annuncio «politico» è sufficiente a incassare una serie di risultati: manda un messaggio all’Europa, dice una cosa gradita alla sinistra del Pd, e soprattutto può mettere a bilancio un’entrata supplementare per far tornare i conti del 2017. Gli euroburocrati guardano con attenzione anche quelli. 

alessandro barbera


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