Economia
Si applicherà alle aziende che fatturano oltre 5 milioni e non pagano le tasse in Italia
Il debutto è previsto nel 2017, ma Renzi spera che prima arrivi un meccanismo europeo
Il debutto è previsto nel 2017, ma Renzi spera che prima
A ventiquattro ore dall’annuncio del presidente del Consiglio Matteo Renzi sulla «digital tax», si conosce poco della norma che dal 2017 dovrebbe servire a far pagare le tasse in Italia ad alcune multinazionali dell’economia digitale. Oggi tanti attori dello scenario digitale, da Google a Facebook a Apple, vendono software, servizi e contenuti in Italia, ma la fattura viene emessa in Lussemburgo o Irlanda.
Renzi aveva lamentato l’assenza di una direttiva uniforme europea, spiegando che senza un intervento di Bruxelles, l’Italia introdurrà la tassa dal 2017.
Ieri, tra dichiarazioni politiche per lo più favorevoli, il segretario di Scelta civica e sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, è provato a intestarsi la partita, rivendicando la paternità della proposta. Il testo in questione è stato presentato in Parlamento a giugno da Stefano Quintarelli. Ma, come spiega l’interessato, «non è una tassa». La proposta prevede l’assoggettamento al regime fiscale italiano per i soggetti non residenti che realizzano transazioni digitali con una continuità di sei mesi e una significatività in termini di fatturato, pari ad almeno 5 milioni di euro all’anno. In alternativa viene prevista una ritenuta alla fonte sulle transazioni del 25%.
Il gettito stimato sarebbe attorno ai 2-3 miliardi di euro. Ma la misura non dovrebbe essere inserita nella Legge di Stabilita. La riflessione è in corso e Renzi potrebbe anche decidere di scegliere una terza via rispetto al testo di Scelta civica. Con la consapevolezza che la vera partita, comunque, andrà giocata in Europa.