Cultura
Il Pil che non sale
senza investimenti
Se la ripresa è come l’estate, che «magari un po’ in ritardo, ma arriva», come dice il premier, allora ci sarebbe da sperare che la curva dell’economia dia in questi giorni segnali di cielo sereno con tendenza al miglioramento.
Purtroppo, invece, i dati sul Pil che l’Istat renderà pubblici questa mattina non promettono schiarite improvvise e temperature in aumento. Anzi, con ogni probabilità certificheranno un nuovo lieve ribasso nel secondo trimestre del 2014 rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, inchiodandoci così ancora all’immagine - e alla realtà - del Paese che più di tutti stenta a crescere in Europa.
In questo contesto la diatriba sull’efficacia degli 80 euro che da tre mesi si sono aggiunti alle buste paga più basse sembra al momento prematura. Ieri i toni si sono scaldati tra la Confcommercio – che sostiene come finora gli 80 euro non si siano trasformati in acquisti – e Matteo Renzi che ovviamente ne rivendica l’utilità. Ma per avere indicazioni più precise bisognerà aspettare anche in questo caso i dati sui consumi certificati dall’Istat: un dato piatto o addirittura negativo darebbe fiato alle ragioni della Confcommercio, anche se il premier potrebbe sempre sostenere che ci vuole più tempo perché gli effetti di questa iniezione di liquidità nei bilanci delle famiglie appaiano evidenti. Viceversa, se il dato sui consumi sarà positivo si potrà avere una prima indicazione non di parte sui possibili effetti espansivi di un’operazione su cui il governo ha scommesso molto.
Il problema di fondo resta comunque quello della crescita, non si risolve tanto con gli 80 euro quanto con maggiori investimenti. Investimenti che finora latitano. Certo, l’umore collettivo di questa estate appare meno angosciato e angoscioso di quello di un anno fa, almeno per quel che riguarda i temi dell’economia. Le imprese, però, con poche eccezioni, stentano a mettere in cantiere investimenti importanti. E i capitali esteri, che mai come adesso sarebbero essenziali per la ripresa, arrivano più spesso sotto forma di investimenti finanziari – ad esempio quelli massicci di Pechino sui maggiori nomi della nostra Borsa – pronti a disimpegnarsi se qualcosa non dovesse andare, o di acquisizioni di marchi già affermati. Latitano invece gli investimenti cosiddetti «a prato verde»: quasi nessuno straniero decide di aprire dal nulla un’impresa in Italia, sfidando i labirinti della burocrazia e le incertezze del diritto.
Ecco allora che per ripartire servono, accanto agli 80 euro in busta paga, anche misure strutturali che magari non incideranno subito e direttamente sui portafogli, ma che sono altrettanto importanti perché potranno spianare il terreno all’arrivo di nuovi investimenti e disboscare un po’ la giungla italiana in cui anche per gli indigeni che tentano di fare impresa è difficile perdersi. Riforme come quella del processo civile o un’azione sulla burocrazia ancora più decisa di quella che si è vista finora possono servire anch’esse a mettere in moto quel Pil che al momento non promette raggi di sole.
Francesco Manacorda