ebook di Fulvio Romano

lunedì 4 agosto 2014

Lepri: ecco gli errori che ci hanno portato alla recessione (e, forse, al declino)

LA STAMPAweb

Economia

  Ecco gli errori che ha  nno complicato le cose

I governi tardarono a ammettere la gravità della situazione, cercando di   difendere le banche nazionali. Poi è partita la corsa all’austerità assoluta

Un annuncio di Merkel e Sarkozy ha scatenato il contagio dalla Grecia a Por    togallo e Irlanda. Finché s’è scoperto che il rigore ci ha riportati in recessione

Per consolarci di questa lunga crisi ci hanno detto che il mondo ha saputo evitare disastri come quelli degli anni ’30 – un disoccupato ogni 4 o 5 lavoratori, la caccia agli ebrei in Germania, le purghe di Stalin in Russia – sboccati nella seconda guerra mondiale. Ma, fino al 2007, ci avevano assicurato invece che di crisi non ce ne sarebbero state più. Nei primi anni, sono cadute le certezze neoliberiste: lasciare i mercati a sé stessi, senza regole, aveva scatenato una micidiale instabilità. Negli anni seguenti tutti i rimedi, vecchi o nuovi, hanno mostrato limiti. La politica democratica ne è messa in difficoltà: in America polarizzata come non mai tra destra e sinistra, in Europa erosa da xenofobie e qualunquismi.

Fin dall’inizio è stata una crisi globale. Il crollo del castello di carte finanziarie costruito sui mutui casa in America sparse paura nella City di Londra, a Singapore, a Tokyo, a Shanghai; alle difficoltà di una banca parigina rispose da Francoforte la Bce con interventi disposti da un suo dirigente italiano. Poche settimane dopo, file di correntisti impauriti si affollavano agli sportelli di una azienda di credito inglese; il panico aizzava invece le banche dell’Islanda a moltiplicare gli azzardi. Richiederebbe ora soluzioni condivise un mondo con troppi disoccupati in molte parti, abbondanza di capitali in altre (governo cinese, Paesi del petrolio, imprese americane e tedesche).

Al contrario ha aggravato le difficoltà l’egoismo delle classi dirigenti nazionali a tutela dei propri poteri; e in un circolo vizioso i cittadini sconfortati spesso tendono a chiudersi ancora di più nelle nazioni. Se non altro, oggi alcuni errori commessi stanno diventando evidenti. Tornare indietro non si può, ma è utile ragionare su chi ha sbagliato e perché.

1. gennaio 2008

I governi del mondo insistono a credere che la crisi riguardi soltanto la finanza. Non è vero: decine di migliaia di famiglie americane che non riescono a pagare le rate dei mutui frenano consumi, credito, edilizia. Il Fondo monetario internazionale se ne è accorto, e con una svolta di 180 gradi invece di predicare l’austerità invita i governi a stimolare l’economia.

Ma non viene ascoltato; dietro le quinte, è perfino accusato di allarmismo. E’ vero peraltro che il direttore generale Fmi Dominique Strauss-Kahn (poi travolto da uno scandalo sessuale) ambiva soprattutto a diventare presidente della Francia.

2. luglio 2008

In Europa la Bce addirittura alza i tassi di interesse per contrastare l’inflazione, dato che il prezzo del greggio e di altre materie prime è in forte salita.

Ma la crisi finanziaria non è affatto finita; le banche continuano ad aver paura una dell’altra, il denaro non circola. Lo sanno bene le famiglie con mutui casa a tasso indicizzato, le cui rate si sono molto appesantite; o le imprese che già stanno pagando il credito molto caro.

3. ottobre 2008

Dopo il crac della Lehman Brothers, si avviano quasi ovunque le misure di rilancio rifiutate all’inizio dell’anno. Ma in Europa i governi non vogliono riconoscere che le banche sono infette di «titoli tossici» americani; ognuno tenta di proteggere le proprie. Oggi Mario Draghi lo definisce un errore cruciale. L’Irlanda compie la mossa tra donchisciottesca (in sé) e piratesca (verso gli altri Stati) di garantire tutti i depositi nelle proprie aziende di credito, per evitare una colossale fuga di capitali. Autorevoli economisti chiedono un intervento comune europeo che sostenga le banche se necessario esautorandone i gruppi dirigenti; non vengono ascoltati.

4. giugno 2010

Il vertice del G-20 di Toronto stabilisce che la recessione è finita, dunque niente più stimoli all’economia, occorre tornare al rigore di bilancio. La Germania ne è convintissima, anche data la crisi europea del debito partita dalla Grecia, gli Usa meno. Piercarlo Padoan sostiene ora che fu uno sbaglio; ammette di esserne stato, come capo economista dell’Ocse, corresponsabile.

5. ottobre 2010

A Deauville Nicolas Sarkozy e Angela Merkel annunciano che nelle future crisi debitorie di Stati anche i creditori privati saranno chiamati a pagare. A porte chiuse, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet la definisce una follia.

In linea di principio sarebbe giusto, in pratica darne annuncio scatena definitivamente il contagio dalla Grecia agli altri Paesi deboli dell’euro. La cancelliera voleva soprattutto rassicurare i propri elettori che non sarebbero stati loro a sopportare il costo del salvataggio greco. Il risultato fu invece che di interventi di soccorso se ne dovettero presto decidere altri, un mese dopo l’Irlanda, in capo a sei mesi il Portogallo.

6. agosto 2011

I mercati si scatenano contro l’Italia dopo aver constatato che il governo di Roma non è capace di intervenire con coerenza sul deficit. La Bce chiede garanzie pesanti per continuare interventi di sostegno che la Bundesbank accetta a fatica; non le ottiene, anzi la sua lettera riservata viene resa pubblica come strumento di lotta politica tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti.

Se un Paese grosso come l’Italia può cadere, può disgregarsi l’intera unione monetaria europea. E’ in questa fase che la speculazione finanziaria sulla frattura dell’euro raggiunge il suo picco. Poi tre cambi di governo la fermano: in Italia dal centro-destra a un governo tecnico, in Grecia dal centro-sinistra a un governo tecnico, in Spagna, con elezioni, dai socialisti ai popolari. Agire troppo tardi, però, costa: per ritrovare equilibrio occorrono sacrifici più pesanti.

7. gennaio 2013

Il Fondo monetario internazionale, dopo approfondite analisi, trova infondata la dottrina prima sostenuta degli effetti positivi dell’austerità (meno deficit uguale più fiducia, ovvero più investimenti privati). In pratica significa che le misure di risanamento dei bilanci decise in Europa, pur inevitabili, avrebbero dovuto essere più distribuite nel tempo; attuarle tutte in un colpo ha causato una seconda recessione. La Commissione europea non accetta la critica.

Stefano Lepri


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