ebook di Fulvio Romano

sabato 9 agosto 2014

Cattaneo: i pensieri "mignon" (140 caratteri) del governo applicati alle riforme costituzionali...!

LA STAMPAweb

Cultura

Senato, occasione persa

Caro Direttore,

ho partecipato alla discussione e al voto sulla riforma del Senato senza posizioni precostituite. Mi interessava capire contenuti e metodo. Cioè come si riforma uno Stato. Un’occasione unica per imparare come in un altro ambito di impegno pubblico, diverso da quello in cui lavoro, «si cambia per migliorare». Ho ben compreso l’impegno dei relatori, della Commissione e di tutta l’Aula. Ho ascoltato in silenzio molti interventi di ogni appartenenza politica e seguito la discussione fuori, in un Paese distratto dal periodo balneare e schiacciato dai dati dell’Istat che parlano di economia in recessione. Ho apprezzato alcune modifiche al testo del Governo. Ma nel complesso prevale la delusione.

Delusione per aver sprecato l’occasione per condividere e confrontarsi sulle visioni del Paese che vogliamo consegnare ai nostri figli. Le risorse umane, professionali ed intellettuali per fare meglio c’erano tutte, in Senato e fuori. Attraverso la scelta di più opzioni sul nuovo modello costituzionale ci saremmo potuti interrogare sul futuro. Sarebbe stato utile provare a simulare, per meglio scegliere, le conseguenze attese da una riforma di tale portata. Lo si poteva trasformare in un progetto culturale per l’Italia, in un auspicato riavvicinamento alla politica, e viceversa.

Ma non ho visto il coraggio di volare alto, di spiegare ai cittadini quel che serve per riqualificare sia la composizione che le funzioni delle camere, nel quadro di un ordinamento nuovo e ben coordinato.

Ho cercato novità nei ragionamenti proposti, offrendo le mie riflessioni, per quel che valevano. Ma nella rincorsa al consenso elettorale la strategia comunicativa usata dal Governo è fatta di pensieri mignon, di 140 caratteri, strutturalmente estranei alla competenza, all’esperienza e ai saperi specialistici. Mi pare che l’obiettivo della riforma del Senato sia altrove e miri prevalentemente a consolidare una governabilità con tenui contrappesi a scapito della partecipazione diretta dei cittadini nella scelta dei loro rappresentanti. Perché, ad oggi, il risultato delle riforme costituzionali ed elettorali in cantiere è un Senato di cooptati dalle segreterie di Partito e una Camera di nominati. Il cittadino non c’è più. Voglio essere chiara: si potrebbe anche discutere, per assurdo, una simile soluzione, se i criteri di scelta per cooptare o nominare fossero quelli che valgono in alcune tecnocrazie, le cui economie corrono alla velocità superiore al 5% di crescita da almeno vent’anni.

Il mio voto di astensione è stata dettato da questo disagio e da tre motivi:

Il primo riguarda il contesto generale in cui si sono svolti lavori. Di scarso ascolto e di linguaggio inadatto a un momento tanto importante. Si è parlato di «allucinazioni» e «professoroni», con un sentimento «di sufficienza verso accademici ed esperti politicamente impegnati». Il linguaggio deriva dal pensiero e gli illustri studiosi di storia politica presenti in Senato mi insegnano che l’anti-intellettualismo è un indicatore di crisi culturale e civile per un sistema liberaldemocratico.

Il secondo motivo riguarda il metodo utilizzato, troppo condizionato da pressioni esterne, come riconosciuto ieri da uno dei relatori, e dalla disciplina di partito, con cui si sono dettati contenuti, paletti e tempi, decisi fuori dall’aula. È un metodo sbagliato perché non si può condurre un esperimento che presuppone libera condivisione democratica senza la disponibilità a esaminare davvero e analiticamente i risultati che questo esperimento è destinato a produrre. Se si sbaglia il metodo nel fare un esperimento, i risultati saranno inutilizzabili. Quando va bene.

Il terzo motivo riguarda il progetto. Gli interventi ascoltati e i miei colloqui con i colleghi dell’emiciclo, mi fanno concludere che quello in esame è un progetto pasticciato e frettoloso, decontestualizzato rispetto ad altre riforme. E’ un progetto che non è in grado ora di indicare l’esito, l’equilibrio, la visione del nuovo assetto costituzionale che stiamo costruendo.

Non mi convincono le motivazioni a sostegno di un Senato non elettivo, le scelte sulle funzioni assegnate a questa Camera, la mancata riduzione del numero dei deputati, l’incertezza circa le garanzie di bilanciamento dei poteri e circa l’effettività del pluralismo della futura rappresentanza parlamentare. Non mi convince come è stata affrontata la questione dell’elezione del Presidente della Repubblica e la mancata ricerca di un metodo per acquisire al nuovo Senato «personalità abituate a disegnare le frontiere del mondo», che sarebbero utilissime in queste contingenze economiche.

La distanza con cui parte dell’aula ha accolto la proposta di rafforzare nel nuovo Senato le competenze culturali, accademiche o in generale espressione di eccellenze internazionalmente riconosciute nei diversi settori dell’attività umana, utili per inquadrare le sfide mondiali che il Paese dovrà affrontare negli anni a venire, mi ha chiarito le complessità da risolvere nel perseguire prospettive comuni d’innovazione.

La riforma costituzionale è auspicata da tutti. Essa deve garantire i futuri cittadini e non essere piegata alle convenienze dell’oggi. Per questo ho espresso un voto di astensione che in Senato equivale a contrario, perché nel suo piccolo, sia un segnale per i cittadini e per i colleghi dell’altro ramo del Parlamento, affinché i loro lavori possano essere più sereni, autonomia e positivi. Questa è la prima lettura, i costituenti ne vollero quattro, c’è ancora molta strada da fare. Per migliorare.

Elena Cattaneo*


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